Notizie,
testimonianze, informazioni
25-27 giugno 2002
Una
giornata particolare (2/2) |
Giovedì,
27 giugno 2002
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Il lavoro alla pompa non è ancora terminato, ieri i francesi
si sono esposti di nuovo per alcune ore, ma oggi ripartono
per Gaza, per cui tocca a noi quattro italiani, tre Colombe
e il solito Berretto. Pare che arrivino anche altri due stranieri:
un giornalista indiano e un ricercatore indipendente di Chicago
(USA), col suo bel passaporto verde.
Qualche dubbio sul numero esiguo, siamo solo sei, ma comunque
arriviamo a Rafah e, con i passaporti innalzati verso il cielo,
scortiamo gli operai, precedendoli, fino alla pompa. Arriva
anche un camion del comune di Rafah, che parcheggia spavaldo
in mezzo alla spianata, poco distante dalla pompa.
Passano pochi minuti e alcuni colpi ci piombano nel panico:
i primi tre sono diretti al radiatore del camion, che è
privo di passaporto straniero e quindi indifeso. uno al parabrezza,
altri al braccio meccanico sul cassone dell'automezzo. Nonostante
tutto ci ricompattiamo e, per cacciare il panico, intoniamo
"Bella ciao" impugnando il passaporto. Poi Fabrizio
inizia a fare telefonate a btselem, alla sede delle Colombe
a Rimini, a qualche giornalista e al Consolato Italiano a
Gerusalemme.
Più tardi, dopo che a gruppi di due ci spostiamo qua
e là per fare entrare una ruspa da una parte e alcuni
operai con un cavo per il traino dall'altra, il camion in
panne viene rimosso. Finalmente i telefoni della torretta
israeliana di confine, da dove ci sparano addoso, iniziano
a suonare e la tensione si allenta, arrivano le bibite e il
té bollente, il sole è altissimo e infuocato
proprio sopra di noi, il cranio pelato dell'americano è
arso dalla calura. Alcuni ramarri si rincorrono sulle macerie,
non ci sentiamo ancora sicuri, ma va già meglio.
Questa volta l'elmetto verde della guardia di frontiera egiziana
che due giorni fa ci aveva osservati per tutto il tempo ci
saluta in segno di solidarietà. Poi arriva un escavatore
e un camion con la pompa per gli spurghi che finiscono l'opera
di pulitura del pozzetto. Nel frattempo l ufficio distrettuale
di coordinamento palestino-israeliano ha raggiunto un accordo
per finire i lavori e i palestinesi ci dicono che possiamo
andare via perché si sentono tranquilli.
Così, dopo tre ore di tensione, ci allontaniamo dalla
fascia di sicurezza con la consapevolezza del pericolo scampato
ma anche con la certezza di aver fornito un valido sostegno
alle famiglie che vivono sulla linea di confine, le quali,
dopo quattro mesi, potranno finalmente tirare lo sciacquone
quando vanno in bagno. Detta così pare una barzelletta,
ma la realtà spesso supera la fantasia.
Iil nostro amico dell'UNRWA ci ha invitati a pranzo e lo raggiungiamo
con grande sollievo e buon umore, mentre l'americano e l'indiano,
che ancora non hanno ben realizzato che cosa gli sia successo
questa mattina, se ne vanno verso il semaforo di Abu Holi
per proseguire verso Gaza. Maurizio
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Una
giornata particolare (1/2) |
Martedì,
25 giugno 2002
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Quando mi sveglio sono già sul taxi con i ragazzi per
andare al centro per i diritti umani (CDU) di Khan Younis
ad incontrare un gruppo di francesi del Movimento Civile per
la Protezione del Popolo Palestinese. Purtroppo però
il pullman, atteso per le 8.00, era ancora fermo al semaforo
di Abu Holi, qualcuno aveva scattato fotografie e i soldati
avevano chiuso il semaforo e sequestrato le macchine fotografiche.
Dopo di che, tutti francesi erano scesi dal bus ed avevano
aperto una trattativa per riavere gli apparecchi. Quando,
dopo un paio d ore, verso le 10.00, la compagnia di francesi
ha recuperato il maltolto ed è finalmente riuscita
a passare, le tre ragazze dei Berretti Bianchi, sulla via
del rientro in italia, erano appena arrivate al semaforo già
diventato rosso.
ore 10.30: i francesi arrivano al CDU
ore 11.00: incontro con il sindaco di Rafah
ore 12.00: inizia l'azione di protezione dei diritti umani
del popolo palestinese.
Sulla linea di confine con l'Egitto, gli israeliani si sono
ritagliati due fasce di sicurezza, la prima di una dozzina
di metri, costeggiata da due muri prefabbricati, che separa
i due confini di stato; la seconda, di circa 50 metri, è
la fascia di sicurezza con il territorio palestinese. Su questa
fascia sono state demolite tutte le case. C'è però,
nel bel mezzo delle macerie, un casotto con una pompa per
le acque chiuse, che serve a far defluire le acque fognarie
e i liquami che vengono dall' abitato palestinese. Purtroppo,
durante le demolizioni, il pozzo nero è rimasto soffocato
dalle macerie e ogni volta che i palestinesi si azzardavano
ad andare a riparare la pompa i soldati sparavano loro addosso.
Così, da tempo il CDU aveva concordato questa azione
con il movimento spontaneo francese. I partecipanti all'azione
si sarebbero interposti tra i soldati e i lavoratori per permettere
la riparazione della pompa. Anche le autorita israeliane erano
state informate dell'azione e pare che avessero dato il loro
consenso.
Ora, questa faccenda di merda non è affatto di secondaria
importanza. La pompa era fuori servizio già da oltre
quattro mesi e questo significa che nelle case i liquami rigurgitavano
fuori dalle turche domestiche e, con il caldo che fa da queste
parti, le mosche ed altre delicatezze, il rischio di epidemie
aumentava di giorno in giorno.
Alle ore 12.00 entriamo nella desolata fascia di sicurezza,
oltre alle due dozzine di europei con passaporto francese
e belga, c'eravamo anche noi italiani; due dell'Operazione
Colomba, Fabio e Luca e io dei Beretti Bianchi. Alla compagnia
si erano aggiunti anche poco più di una dozzina di
palestinesi, tra operai, giornalisti e funzionari del CDU.
Camminiamo compatti verso la pompa, alle nostre spalle la
casamatta delle guardie di frontiera egiziane, davanti a noi
la pompa e, oltre la pompa, in lontananza, la torretta con
la bandiera israeliana. Superata la pompa, gli internazionali
si schierano in una fila di interposizione tra la torretta
israeliana e la pompa, subito la ruspa dei palestinesi con
sopra l'autista e un francese inizia a spianare l'area e gli
operai si mettono al lavoro.
Gli adulti dentro le case che guardano la fascia di macerie
faticano a trattenere i bambini eccitati da questa stranissima
novità. Qualcuno si sporge troppo dai muri pericolanti
e dai mucchi di macerie che separano le case dalla fascia
di sicurezza, così i soldati iniziano a sparare. Nessuno
di noi si muove, mostriamo i passaporti e rimaniamo con il
braccio alzato brandendo il libretto bordeaux come unica garanzia
di immunità. Tra i francesi, una palestinese naturalizzata
ha il fazzoletto in testa e l'abito classico delle donne di
qui, cìè anche una marocchina che si è
messa la camicetta tradizionale del suo paese.
Passa poco tempo e qualche altra schioppettata, quando arriva,
sferragliando in una nuvola di sabbia, un mezzo blindato che
si ferma di fronte a noi e alla pompa: gli operai continuano
imperterriti il loro lavoro, due francesi si spostano a pochi
metri dal blindato e rimangono col passaporto innalzato come
una bandiera, immobili come statue di sale, mentre gli spari
si fanno più vicini. Alcuni perdono l'iniziale sicurezza
e si accucciano. Un elmetto verde spunta da dietro l'ultimo
muro, è una guardia di frontiera egiziana che si ferma
per tutto il tempo ad osservare la scena. Poi una mano esce
da una feritoia della torretta blindata, ma dal movimento
non si riesce a capire se intende: "vieni qui oppure
vai via". Uno degli operai scambia qualche parola con
l'ufficiale corazzato, poi continua imperterrito a spalare
merda.
Uno degli operai si arrampica su di un traliccio della luce
per la riparazione, lì in mezzo tra noi e la pompa,
tutti lo guardano e trattengono il fiato. Intanto uno del
CDU mi ha detto che il sindaco è al telefono con gli
israeliani e si sta accordando perche gli operai possano finire
il lavoro in pace. Io cerco a stento di controllare la paura
e quando vedo Fabio e Luca che sono ancora con gli altri sulla
linea del primo schieramento, ancora immobili sotto il sole
che nel frattempo ha raggiunto il suo zenit - non si muove
un filo di aria, anche l'ombra sembra scomparsa - mi faccio
coraggio e m incammino verso di loro guardando bene dove metto
i piedi in quel groviglio di pavimenti, stele da lampadario
inghiottite dalle macerie e tondini per il cemento armato
che spuntano da ogni dove. Raggiunti i ragazzi, per abbassare
la tensione e recuperare un poò di coraggio, ci mettiamo
a cantare "Bella ciao" tra gli applausi dei presenti.
Poco più tardi la tensione si allenta e arrivano vassoi
con teì bollente e bottiglie di cola ghiacciata. Dopo
un oretta arriva anche il pranzo, riso con carne, e cosi l'interposizione
si trasforma in un pic nic e poi in uno svacco fino alle ore
17.00, quando, finite le riparazioni, torniamo tutti da dove
siamo venuti.
Prima di rientrare a Khan Younis, il bus si ferma da una delle
famiglie dei sei palestinesi uccisi la mattina precedente
verso le 8. Questi viaggiavano su di un taxi alla periferia
di Rafah, probabilmente per andare al lavoro, tra di loro
un ricercato. Due elicotteri Apache rombano fuori dalla linea
dell'orizzonte e sparano un missile aria-terra sul taxi, i
sei muoiono sul colpo. Nelle auto che precedono e seguono
il taxi e tra i passanti, i feriti sono più di una
dozzina, alcuni molto gravi moriranno nelle ore seguenti all'ospedale
di Rafah. Sull'asfalto rimane la macchia bruciata dell'auto,
una scarpa e un grosso buco che, attraverso l asfalto, ha
scavato anche la
sabbia sottostante.
Dopo la visita di condoglianze, lasciamo i francesi e ritorniamo
in taxi verso Khan Younis. Lì mi separo da Fabio e
Luca, che se ne vanno a casa, mentre io raggiungo il presidio
dei lavoratori disoccupati che mi hanno invitato a partecipare
ai funerali delle sei vittime di Rafah.
Sono due i bus che partono per Rafah, io sono sul taxi del
coordinatore del presidio di Khan Younis. Giunti a Rafah,
i lavoratori si uniscono ai loro compagni del presidio locale
e tutti insieme in corteo si fa il giro delle case in lutto,
dove ci si siede su lunghe file di sedie mentre qualcuno della
famiglia passa per offrire un goccetto di caffé beduino
e qualche dattero. Dopo una mezza dozzina di caffé
e una dozzina di datteri si ritorna a Khan Younis.
Finalmente a casa! Sono passate dodici ore da quando mi sono
svegliato sul taxi stamane, ma pare che non sia ancora finita.
Lle altre tre ragazze dei Berretti, Barbara, Carla e Maria
Ida, sono ancora ferme al semaforo di Abu Holi che nel frattempo
non è più stato riaperto. E' già buio
da un pezzo quando io e Fabio arriviamo in taxi a recuperare
le ragazze. Giunti al famigerato semaforo, osserviamo una
marea di auto e camion che stazionano lì da tutto il
giorno, qualcuno si sta preparando per la notte, qualcun altro
prega su di un tappeto, centinaia di persone confinate dentro
i veicoli aggrovigliati
tra di loro in un'inestricabile ressa di metalli e corpi umani
sudaticci, bambini che piangono. L'unica luce è quella
della luna piena che si affaccia ineffabile sulle miserie
umane. Recuperate le ragazze, ritorniamo a casa sul nostro
taxi.
Domani è un altro giorno.
Maurizio
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