Homepage
 
I Berretti Bianchi in Palestina


Notizie, testimonianze, informazioni

4-9 luglio 2002

Elenco contributi
Briciole
Martedì, 9 luglio 2002


Ci infiliamo nella stradina che porta verso la casa dove passeremo la notte, dopo pochi passi iniziano a sparare ma il nostro ospite ci tranquillizza spiegandoci che non sparano a noi ma ai container dell'acqua domestica sopra i tetti delle case. Lo fanno tutti i pomeriggi poco dopo le cinque. Prima o poi gli abitanti devono salire sulla terrazza del tetto a stuccare i buchi con il rischio di essere bersagliati al posto dell'acqua.
Più tardi ci portano a fare un giro lungo la linea di confine con l'insediamento, non ci sentiamo molto tranquilli, da dentro il fortino dell'IDF ci spiano con i binocoli e forse, come al solito, ci fotografano. Tuttavia i nostri accompagnatori sebrano sicuri di sé così ci rilassiamo e li seguiamo.
Una lunga rete di filo spinato separa il territorio palestinese da quello israeliano, al di là del filo si vedono i tetti rossi delle casette immerse tra gli alberi dove abitano i coloni, al di qua del filo i cingoli dei carri armati hanno lasciato i loro segni incontaminati sulla sabbia. Ieri mattina intorno alle dieci quattro tanks hanno scortato un bulldozer enorme che, di fronte ad una ressa di palestinesi attoniti, ha spianato quattromila metri quadri di serre piantati a pomodori e cipolle.
Il ragazzino quindicenne che traduce per noi mi spiega che un giorno stava dando da mangiare ai suoi conigli, proprio vicino alla strada, sotto il fortino israeliano e gli hanno sparato uccidendogli tutti i conigli - non ho avuto paura, qui siamo abituati agli spari, i soldati sparano tutti i giorni anche dentro le case - e mi mostra i fori dei proiettili sulle case vicine che guardano la linea del filo spinato. Poi aggiunge che ha perso due amici, uno si è fatto esplodere dalla rabbia vicino ad Al Tufah, l'altro è morto combattendo.
Nel frattempo raggiungiamo un area più povera delle altre che abbiamo attraversato, i rifugi per gli animali si mescolano alle povere case dove vivono un migliaio di persone. Ci mostrano la pompa dell'acqua dolce e la cisterna che fornisce acqua a tutto il villaggio. I bulldozer l'hanno semidistrutta, i segni dei proiettili sulla cisterna sono stati stuccati, lì accanto un casotto che contiene la pompa e il compressore è ancora in piedi, mentre l'altro casotto che sorgeva lì affianco è stato demolito.
Ci sediamo con alcuni anziani nel cerchio tradizionale della cultura beduina, intorno al quale si socializza e si sorseggia te o caffè beduino al cardamono. Non riusciamo a comunicare bene perché nessuno parla inglese, tuttavia il nostro ospite ci fa capire che vorrebbero parlare di politica e, a fatica, ci traduce le parole di uno degli anziani, il cui pensiero politico si basa sul seguente concetto: Bush e Sharon sono come due amanti e Arafat è il loro figliolo.
Più in là un'asina incinta si rotola nella sabbia mentre uno sciame di mosche pasteggia sul suo muso. I bambini più piccoli hanno le pancie gonfie, mentre i più grandicelli giocano a calcio in un campetto di sabbia a circa cinquanta metri dal fortino dell'IDF con relativa bandiera che sventola nel cielo terso.
La notte passa tranquilla.

Maurizio

 
Impressioni
Lunedì, 8 luglio 2002


Le impressioni di questi primi giorni in terra di Palestina sono naturalmente molte, confuse, sconcertanti, di incredulità, di che cosa sia capace l'uomo. Un aggettivo appropriato, tanto per partire, potrebbe essere 'assurdo'.
Ne abbiamo già viste. La situazione ricorda molto Sarajevo, anche se le differenze naturalmente sono molte. Ma la desolazione, la disperazione, l'impotenza ... gli odori, i rumori, la polvere, i bambini, frotte di bambini che ti sorridono e ti fanno il segno di vittoria sono gli stessi. Ci sono perfino i soliti quartieri, chi va a Tufa non può fare a meno di sussultare dalla sensazione di trovarsi a Dobrinja, la desolazione è quella, i palazzi sventrati pure e la gente poi non è granchè diversa.
Là c'era una difesa, due contendenti più o meno con le stesse possibilità, nonostante l'assedio più lungo dal dopoguerra. Qua, da una parte c'è ben poco da contrapporre. E allora le giornate per questa gente passano all'insegna dell'oggi, senza la benchè minima speranza per il domani.
In questo contesto tutto è rovesciato. Quello che per noi è normale, la libertà, la democrazia, la dignità, qui diventa anormale. Il quotidiano è ben altro, è tutto l'opposto che diventa normale e cioè essere oppressi e discriminati, la povertà, l'umiliazione, l'essere prigionieri a cielo aperto.
Questa gente tuttavia non dovrebbe preoccuparsi troppo. Qualche altro accordo di pace si andrà preparando, pensato e ideato da politici sinceramente amanti della pace e senza nessun altro interesse -sic-, accordo che non terrà granchè conto del popolo palestinese, ma questo è un dettaglio trascurabile, nel frattempo nei territori occupati ...
Saluti da Absan el Kabira, nei pressi di Khan Younis
Licio

 
Rafah City
Giovedì, 4 luglio 2002


Il quattro luglio incontro una delegazione di americani dell'International Solidarity Movement (ISM), stanno andando a Rafah per un'azione di interposizione, così mi unisco a loro.
E' già sera quando arriviamo a Rafah e veniamo ospitati dal Rafah Football Club che ha vinto il campionato di Gaza per tre anni consecutivi nel 1994/95/96.
La notte passa insonne mentre, poco distante, si sentono esplosioni sorde seguite a raffiche urlate da armi automatiche, ad ogni esplosione seguono alcune raffiche, poi il silenzio, e ancora altre raffiche e altre esplosioni che si susseguono per tutta la notte fino al canto del Muezzin, verso le quattro del mattino. Dopo il Muezzin, i galli si lanciano i loro messaggi da una parte all'altra del confine con l'Egitto fino a quando il sole illumina di nuova luce anche questa piccola fettina di mondo.
Purtroppo là dove ieri sera sorgevano nove case con rispettive famiglie che vi abitavano dentro, oggi ci sono solo macerie.
Nella notte i bulldozer hanno prima scrollato un poco le case per svegliarne gli abitanti, mentre i blindati li difendevano dalla reazione della resistenza palestinese. Poi i soldati sono entrati nelle abitazioni e hanno dato un preavviso di dieci minuti alle famiglie per evacuare le loro case che si affacciavano sulla striscia di sicurezza che separa l'abitato di El Brasil dalla linea di confine con l'Egitto, presidiata dalle forze di difesa israeliana (IDF). Una dozzina di tende sono spuntate accanto al parcheggio dei taxi di Rafah, ma nessuno ci abita veramente, tutti sono andati a stare dai loro parenti.
Insieme alla delegazione dell'ISM andiamo sul posto a vedere i danni mentre un blindato passa di corsa ad un centinaio di metri da noi, sollevando un nugolo di sabbia. Poi una famiglia ci fa salire in casa per mostrare i segni della battaglia notturna.
Ordinaria amministrazione di una cittadina di confine, quotidianità di un conflitto a bassa intensità che esplode improvvisamente per poi lasciare spazio alla calma piatta della calura estiva. Di giorno non si alza un filo d'aria e la notte l'umidità supera il 100%.
Quando la sera tentiamo di tornare sul posto per dormire nelle case più esposte e cercare, almeno per una notte, di evitare nuove demolizioni, il sindaco ci manda a prendere e ci fa rientrare nel centro cittadino dove ci intrattiene per alcune ore, spiegandoci che è per garantire la nostra incolumità che non siamo stati ospitati in quel luogo.
Said Zouarb, figlio del primo sindaco di Rafah, in carica da sei anni per due mandati, ci spiega che la città è composta da grandi clan familiari, che ogni controversia viene regolata dai rappresentanti di queste famiglie e che la sua funzione è quella di mediatore delle dispute e, naturalmente, di risolutore dei problemi. Per chi non avesse la possibilità di essere ricevuto nel suo ufficio, esiste l'opportunità di sedersi la sera in un circolo di sedie dove chiunque può presentare le sue istanze e trovare l'attenzione del sindaco.
A Rafah abitano circa 230.000 persone, sono state abbattute 245 abitazioni, 250 sono pericolanti, i senza tetto sono 10/12.000, durante l'Intifada ci sono stati 200 morti, di cui solo il 10% sono combattenti mentre il 90% sono civili tra i quali si contano 48 bambini sotto i 12 anni. I feriti sono stati circa 2.000
Oggi a Rafah ci sono 26.000 disoccupati: alcuni di loro due anni fa potevano guadagnare in Israele fino a 100 dollari al giorno. Oggi non riescono neppure a guadagnare 10 shekel perché Israele ha chiuso le frontiere di Gaza a tutti i lavoratori palestinesi.
Dopo questa piccola introduzione contenuta in un fluente discorso da politico navigato, Said ci racconta un piccolo episodio:
"Al mio amico della Banca Mondiale che era venuto a farmi visita ho detto che noi qui vorremmo vivere come vivono i cani in Europa.
-Stai scherzando- mi ha risposto.
-No. Perché i cani in Europa vivono al sicuro nelle vostre case e perché non possiamo anche noi vivere al sicuro nelle nostre case?
-Questa è la politica, amico mio- mi ha risposto il funzionario della Banca Mondiale.
-Manda all'inferno la politica, non m'importa chi comanda qui, se l'Egitto, Israele o l'ANP, noi vogliamo vivere in pace e costruire un futuro per i nostri figli. E' un anno che non posso andare a Gaza, che è a 25km da qui e sono tre anni che non posso andare al mare con i miei figli, che dista solo 3km da dove siamo seduti ora."
Poi il discorso si sposta sul problema dell'acqua dolce, una delle priorità dell'amministrazione comunale: "Gli israeliani hanno costruito i loro insediamenti sulle falde acquifere più ricche della Palestina meridionale, oggi loro prendono la nostra acqua e la distribuiscono nelle città israeliane, poi da Israele ci rivendono l'acqua razionata. Ma quella è la nostra acqua!
Qui a Rafah crediamo nella separazione tra stato e religione, a differenza di altri posti nella Striscia di Gaza dove vorrebbero condizionare lo stato con la legge islamica. Il nostro candidato alle prossime elezioni politiche in Palestina sarà Hanna Hashrawi.

Un pasticcere di Rafah insiste per offrirci uno dei suoi dolci insieme alla sua visione del problema palestinese: "Il nostro problema è che gli ebrei hanno preso tutta la nostra Palestina, ora viviamo nella Striscia di Gaza che è solo un pezzetto della nostra Palestina.
Non abbiamo le case, non abbiamo la libertà, non abbiamo l'acqua, gli ebrei uccidono la gente con le bombe dagli elicotteri.
Perché se muoiono gli ebrei a Tel Aviv tutto il mondo s'indigna, ma quando uccidono i musulmani allora è tutto normale?
Noi siamo musulmani perché seguiamo la via che Allah ha tracciato per noi, la via dell'Islam. Gli americani e i britannici dicono a tutto il mondo che Osama bin Laden ha ucciso dei civili innocenti, ma Osama bin Laden non è il nostro problema. Il nostro problema è che vogliamo vivere come voi, come gli altri popoli del mondo. Ma purtroppo in Palestina non abbiamo nulla, vorrei vedere il sorriso sul volto dei miei bambini, non sorridono forse i figli degli ebrei? degli americani? degli italiani? dei francesi?
Perché gli ebrei hanno completamente distrutto Jenin, le strade, le case, tutto? Dov'era il mondo? Dov'erano gli europei? Dov'erano le truppe americane? Solo in Afghanistan? Perché distruggono le nostre case a Rafah? Hanno distrutto trecento case in un solo anno!
Qui a Rafah non è rimasto niente, non abbiamo lavoro per la gente, non ci sono scuole per i nostri figli, non possiamo andare a Gaza perché non sappiamo quando potremo ritornare attraverso il check point di Abu Holi, intendo dire che non pretendo di andare al Cairo o a Tel Aviv, ma a Gaza, a 25km da qui!!!
Tutto ciò che desidero è di andare a lavorare tutti i giorni per vivere come voi, ma non possiamo vivere come voi perché il mondo ha ucciso la nostra speranza e ha ucciso il mio paese insieme al mio pensiero.
Se ci fosse un conflitto in Francia tutto il mondo vorrebbe aiutare a risolvere quel conflitto. Perché nessuno é venuto a vedere Jenin, perché nessuno viene a vedere Rafah? A vedere gli elicotteri che sparano sui taxi in mezzo alla strada? Dov'è il mondo?
Perché l'America e l'Europa rimangono in silenzio davanti al mio problema? Il vero problema è che i palestinesi vogliono vivere come chiunque altro popolo nel mondo. Voglimno guardare i mondiali di calcio e divertirci anche noi come voi. Ma hanno preso tutta la mia Palestina, i miei soldi, i miei pensieri, il mio cuore, mi hanno preso tutto.
Vogliamo vivere come chiunque altro nel mondo, l'Islam è solo la nostra religione, la via che Allah ha mostrato al suo popolo, per questo seguo la via tracciata da Allah.
Maurizio