[Grida Burundi] [Aderenti alla campagna] [Notiziario N. 2]
Burundi, il virus dell'etnocentrismo
In Burundi, dall'indipendenza (1962), la vita non è stata facile per la maggior parte della popolazione. E' divenuta molto più difficile dopo l'assassinio del presidente Melchior Ndadaye, ucciso il 22 ottobre 1996. La vita politica del paese è stata segnata da una serie di colpi di stato, eseguiti da militari che rivendicano un'appartenenza tutsi. Questi hanno sempre reagito con violente rappresaglie ai tentativi della maggioranza hutu di prendere il potere e il governo del paese. Gli anni 1972, 1988, 1993 sono anni di sangue che la memoria collettiva non vuole cancellare, perché testimonianze di un sopruso voluto. In questo paese si tratta di trovare meccanismi politico-sociali che permettano alla maggioranza di partecipare al governo e, al tempo stesso, garantiscano il rispetto dei diritti della minoranza.
Cercare una soluzione a questo problema significa apportare riforme costituzionali e, su queste, ridefinire composizione e governo dell'esercito oltre al sistema giudiziario.
Con questa ipotesi il 1998 è iniziato decisamente male. Il primo giorno dell'anno, i guerriglieri del Fronte per la difesa della democrazia (FDD), ala armata del Consiglio nazionale per la difesa della democrazia (CNDD), fiutato l'arrivo di un carico d'armi, hanno attaccato l'aeroporto e il campo militare di Rukaramu. Nella battaglia, secondo un bilancio ufficiale, sarebbero caduti 200 civili e 4 militari. Il portavoce del CNDD-FDD, a Bruxelles, Jêrome Ndiho, ha però dichiarato che l'esercito avrebbe ucciso almeno 500 civili per rappresaglia.
Il 19 febbraio sono state massacrate un centinaio di persone,
in maggioranza donne, vecchi e bambini, che lavoravano nei campi.
L'eccidio, secondo fonti dell'agenzia MISNA, sarebbe stato compiuto
a partire da tre postazioni dell'esercito regolare, mentre la
radio locale attribuisce l'accaduto ai "ribelli hutu".
Così, giorno dopo giorno si dissangua un paese.
L'embargo
La popolazione, costretta a vivere in campi "protetti", nient'altro che campi di concentramento, bersaglio dei miliziani come dell'esercito, è ridotta alla fame e senza possibilità di curarsi. L'embargo, che si protrae da oltre 15 mesi, sta mettendo in ginocchio l'economia del paese. Gli indici della produzione industriale e agricola sono tutti negativi, in caduta paurosa; i prezzi in aumento.
Il 17 febbraio scorso i vescovi di Burundi e Ruanda, riuniti per preparare la celebrazione del primo centenario della fede, hanno dichiarato che :"l'embargo isola il Burundi dalla comunità internazionale e fa soffrire le classi più vulnerabili della popolazione. L'ACOBER (le due conferenze episcopali) chiede di togliere il blocco economico" e fa appello alla chiesa universale e alla comunità internazionale per "salvare numerose persone in pericolo nei nostri due paesi colpiti da guerre fratricide, malattie e fame". Per "i suoi misfatti l'embargo (...) che invece di portare la pace aggrava la situazione va levato immediatamente", denunciano le donne di Ruanda, Burundi e Congo, riunite a Bukavu dal 12 al 16 marzo, per studiare l'impegno delle donne per la ricostruzione della pace nella zona.
Ma il 22 febbraio, Yoweri Museveni, presidente dell'Uganda, ha annunciato la decisione del vertice di 8 paesi della regione di mantenere l'embargo, perché "il Burundi è ancora teatro di assassinii indiscriminati. L'embargo sarà levato solo quando il Burundi abbandonerà l'ideologia del settarismo e del genocidio" (MISNA, 22.2.1998). Come mai tanto zelo per il rispetto dei diritti umani, in Burundi?
Il maggiore Buyoya, ritornato al potere con un colpo di stato il 25 luglio del 1996 (dopo la sconfitta elettorale del 1993), forse anche per rompere la morsa dei due fronti estremisti, costituiti, da una parte dai partiti PaReNa, Raddes e dallo stesso presidente dell'Uprona, Mukasi, e dall'altra dal PaLiPeHutu e da altre formazioni, all'inizio di marzo si è recato in Francia. L'8 dello stesso mese è stato ricevuto dal papa Giovanni Paolo II.
Mentre ricordiamo, per inciso, che il Vaticano fu il primo stato a riconoscere Buyoya, rileviamo la preoccupazione di organismi umanitari, quali Human Rights Watch, che la Francia possa riprendere assistenza militare e forniture di armi, al governo, come aveva fatto prima dell'agosto 1996.
In una conferenza, organizzata dalla Caritas e dal Centro missionario di Bologna, Loretta Bondì, advocacy di Human Rights Watch Arms Project, ha sottolineato che l'incendio che divampa nel Burundi è stato alimentato da assistenza militare e addestramento forniti da "Russia, Cina, Corea del Nord, Stati Uniti e Francia ... Dopo l'agosto del 1996 il Ruanda, la Tanzania, l'ex Zaire hanno permesso ai ribelli di stabilire basi sui propri territori o hanno consentito che armi dirette al Burundi transitassero sui loro territori nazionali". Se i traffici d'armi cinesi avvengono grazie a una joint-venture tra imprenditori del trasposto marittimo cinesi e tanzaniani. Le armi consegnate al porto di Dar Es Salaam vengono prese in consegna da truppe tanzaniane e ugandesi e scortate fino a destinazione. Ci sono faccendieri che operano alla luce del sole, sostiene ancora Loretta Bondì, come i trafficanti d'armi di Ostenda (Belgio). Ma esistono responsabilità anche di Londra e di Sud Africa.
Una ricerca della Caritas italiana illumina il capitolo guerra.
Il budget 1997 per le armi è aumentato del 70% rispetto
all'anno precedente. Il ministero della Difesa del Burundi, lo
scorso anno, ha speso il 39% del bilancio nazionale, privando
altri ministeri delle risorse necessarie per la spesa sociale.
Se a questi dati si aggiunge la "leva obbligatoria"
per contrastare i guerriglieri hutu, "l'imposta per gli
sforzi bellici", la crescita del numero delle banche,
l'arricchimento di pochissimi e la miseria della popolazione,
ci si rende conto che tutta la vita nazionale è condizionata
dalla guerra. Una guerra sulla quale, da una parte e dall'altra
dei vari estremismi, sono in parecchi a investire, una guerra
alimentata, nel paese e fuori dall' "etnocentrismo, virus
della divisione".
Le nostre responsabilità e il nostro impegno
Pierre Kayoya scriveva:
"Come molti altri
Io volevo diventare un uomo
Un uomo del mio popolo
Un uomo con i miei fratelli
Un uomo per l'umanità."
Se condividiamo il suo ideale occorre, da subito, togliere il
combustibile alla guerra, chiedendo l'embargo totale delle armi
nella regione dei grandi laghi africani. I cristiani d'Europa,
che si apprestano a celebrare il secondo millennio della fede,
non possono permettere che i loro governi o dei loro concittadini
continuino a vendere armi, a destabilizzare regioni, a interessarsi
dell'Africa solo quando sono in vista degli affari.
Per il Burundi
* informarsi: Rapporto Caritas Italiana da chiedere a: caritas@inet.it;
* collaborare a progetti della Caritas Italiana e dell'Azione cattolica;
* pregare.
Bologna, 14 aprile 1998
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