Nuova strategia? Uno dei fini dell'attacco (14 gennaio 1999) dei mayi mayi alla postazione antiaerea, tenuta dai ribelli, nella parte alta di Bukavu, a Karhale, oltre a motivi strategici e all'acquisizione di una partita di armi, è stato di facilitare il rientro di miliziani hutu ruandesi (interhamwe, ex militari dello sconfitto (1994) esercito ruandese). Se questo, invece di un episodio fosse una tattica, le cose potrebbero imprimere una piega diversa alla guerra nella regione. Nonostante la popolazione abbia accolto trionfalmente i mayi mayi, teme le rappresaglie degli alleati anti-Congo. Camion militari e tre mezzi corazzati sono giunti dal Ruanda e hanno bombardato la collina.
Il rientro dei miliziani hutu in Ruanda risponde
al desiderio della popolazione congolese, che da tempo chiede
agli armati di ogni fazione e nazionalità di rientrare
nel proprio paese, lasciandola in pace.
Le ricchezze del Congo e i suoi "amici". Il Congo possiede 2/3 delle riserve mondiali di cobalto, il 10% del rame e il 33% dei diamanti oltre a enormi giacimenti di manganese, di uranio e di oro. «Sotto i progetti espansionisti ugando-ruandesi, si intreccia una rete di ambizioni finanziarie, che ruotano intorno ai diamanti, all'oro ai minerali strategici. Ambizioni che, non solo finanziano le operazioni militari (con il conseguente incremento della vendita di armi, nella regione), ma spennano il paese», scrive Gerardo Gonzales Calvo.
I nuovi nemici. In questa guerra i ruandesi controllano il Kivu e stanno sfruttando e portando in Ruanda quanto possono. Gli ugandesi (4.000 uomini), che hanno occupato la Provincia orientale, compresa la capitale Kisangani, stanno rapinando l'oro e il legname. Se la maggioranza delle truppe che hanno occupato il Congo sono ruandesi, gli ufficiali sono in maggioranza ugandesi. Gli uni e gli altri appoggiati da istruttori militari afro-americani.
I nuovi alleati. Lo Zimbabwe, che ha mandato 3.000 uomini in Congo e ha già speso 200 milioni di dollari dall'inizio della guerra (1996-1997), cerca di rifarsi. Il 6 novembre 1998, in seguito a una manifestazione in cui i cittadini di Harare hanno protestato contro il caro vita, con scritte: "No al Congo", "Vogliamo acqua, non guerra", l'industriale zimbabuano Billy Rautembach è stato nominato direttore della GECAMINES (la società mineraria del Congo che sfrutta il rame, il cobalto e lo zinco). L'industriale fornirà i capitali e le attrezzature per rivitalizzare la società e riprendere lo sfruttamento delle miniere del Katanga.
Nel frattempo, la First Banking Corp, la Banca dello Zimbabwe, nella quale la famiglia Mugabe ha interessi, ha aperto una succursale a Kinshasa. La società Wheels of Africa, in mano a parenti di Mugabe, si è offerta per gestire la commercializzazione dei prodotti della GECAMINES.
E' risaputo, inoltre, che un figlio di Mugabe è
socio in affari di un figlio di Kabila.
Missionari per il Congo. In occasione
della visita di Kabila a Roma (20 novembre 1998) gli istituti
missionari e le Ong che lavorano in Congo hanno chiesto al capo
del governo D'Alema di impegnare l'Italia in un'azione diplomatica
per il cessate il fuoco nella regione, per l'apertura di canali
umanitari e una conferenza interafricana. A fine novembre 1998
i Dehoniani di tutto il mondo hanno fatto una giornata di digiuno
per protestare contro il silenzio dei mezzi di comunicazione che
avvolge il dramma del Congo, e l'inattività degli organismi
internazionali.
Domenica, 31 gennaio ha levato l'interdizione che aveva posto sulle attività politiche. Ora ogni cittadino può fondare un partito a condizione che:
- ogni formazione politica organizzi un congresso costitutivo, con almeno 300 partecipanti, provenienti da tutte le regioni del paese;
- ogni partito abbia almeno 10 soci co-fondatori, per evitare formazioni tribali;
- ogni formazione politica, che chiede l'autorizzazione, depositi una somma equivalente a 10.000 $, che, comunque, non sarà restituita.
La necessità di riempire queste condizioni
corrisponde alla volontà di "disboscare" gli
oltre 400 partiti degli ultimi anni della dittatura Mobutu.
Congo tradito? L'ennesimo summit per il Congo si è celebrato a Windhoeck (Namibia) attorno alla metà di gennaio '99. Kabila non c'è andato, come non era stato a quello di Lusaka. Ma, contro ogni speranza, l'incontro di Windhoeck ha rilevato una certa consonanza di idee tra gli aggressori (Uganda, Ruanda e Burundi) e gli alleati (Zimbabwe, Namibia, Angola) del Congo. Insieme hanno fumato il calumet della pace, dando ai congolesi e al loro governo, l'impressione di essere traditi.
Il "successo" del summit pare sia dovuto all'ingerenza di potenze straniere che avrebbero minacciato di sospendere gli aiuti agli alleati di Kabila.
Ognuno degli alleati ha poi i suoi motivi particolari per ritirarsi da questa guerra.
L'Angola deve far fronte a una recrudescenza della guerriglia di Savimbi.
La Namibia deve rispondere alle richieste degli indipendentisti di Caprivi.
In Zimbabwe, un putch militare ha rischiato di rovesciare il presidente Mugabe.
Forse i congolesi non hanno mai saputo chi fossero
i loro alleati, ma d'ora in poi sarà ancora più
difficile discernere.
Ruanda
Amnesty International (AI), il 23 giugno 1998, ha pubblicato il rapporto, "Ruanda: la violenza occulta. Continuano le sparizioni di persone e gli omicidi".
Nel documento si riferisce che tra il dicembre del 1997 e il maggio del 1998 sono stati segnalati:
* centinaia e centinaia di "desaparecidos";
* migliaia di esecuzioni extragiudiziarie;
* una sequela senza fine di violazioni dei diritti umani. Questi delitti, secondo AI hanno raggiunto proporzioni allarmanti.
Il rapporto narra casi concreti. Il 14 febbraio 1998 a Ruhengeri dei militari hanno obbligato la popolazione a raggiungere lo stadio locale per una riunione. All'ingresso gli uomini furono separati dalle donne e condotti su camion militari. Nessuno ha saputo che fine abbiamo fatto. In questo modo sono scomparse intere comunità.
La popolazione è stata costretta dall'esercito a tagliare i bananeti affinché i guerriglieri non si possano nascondere. Il fatto ha provocato la scarsità di alimenti per una popolazione già derubata di raccolti e di bestiame dai gruppi armati (da Umoya, n.14, '98).
«Mentre tutti gli occhi sono puntati sul Congo-Kinshasa la stampa internazionale sembra aver chiuso il "caso Ruanda", dove quasi ogni giorno la gente scompare».
Un passaggio della lettera di un hutu ruandese moderato
all'Agenzia stampa Misna. Un'altra conferma che la giustizia in
Ruanda equivale a farsi giustizia. «Dal semplice soldato
all'ufficiale ognuno si fa giustizia. Dove ci porterà questa
spirale di violenza?»
Bologna, 29 gennaio 1999
Giacomo Matti