Democrazia "embedded": riparte la campagna contro il nuovo codice di guerra. Intervista a Elettra Deiana
32732. ROMA-ADISTA. La delega al governo per la riforma delle leggi penali militari di pace e di guerra si ferma a Montecitorio. Lo scorso 16 febbraio, infatti, le commissioni riunite Difesa e Giustizia della Camera hanno approvato, 18 voti contro 17, un emendamento di Elettra Deiana che ha sottratto al governo la possibilità di modificare il codice militare di guerra, svuotando di fatto il provvedimento. Per la Casa delle Libertà ora è tutto da rifare: per riportare la delega nella sua formulazione originaria, infatti, il testo dovrà essere eventualmente emendato in Aula e poi ritornare al Senato per un ulteriore passaggio parlamentare.
La legge avrebbe consentito di applicare il codice militare di guerra anche alle cosiddette "missioni di pace" e di estenderlo a qualsiasi cittadino italiano che si trovasse nel territorio estero sottoposto al controllo delle Forze armate italiane, compresi gli operatori umanitari e i giornalisti. E proprio la libertà di informazione avrebbe subito pesanti restrizioni visto che il codice prevede dure condanne (dai 2 ai 20 anni di carcere) per i militari che avessero divulgato informazioni e i giornalisti che avessero pubblicato notizie riguardanti le missioni militari di pace senza l'autorizzazione degli Stati maggiori delle Forze armate (v. Adista n. 9/05).
Intanto la mobilitazione del movimento pacifista prosegue: la petizione popolare contro la delega continua a raccogliere adesioni; sono state effettuate azioni di sensibilizzazione sotto le redazioni dei due principali quotidiani italiani - "Il Corriere della Sera" e "la Repubblica" -; e si stanno sollecitando gli Enti locali (il Comune di Roma già l'ha fatto) a votare Ordini del giorno e mozioni contro l'approvazione della legge.
Di seguito una nostra intervista ad Elettra Deiana, deputata di Rifondazione comunista, fra le più impegnate a bloccare la delega.
Sei stata la prima firmataria dell'emendamento che ha bloccato la delega: cosa è accaduto precisamente?
Con il nostro emendamento abbiamo soppresso, nel primo articolo, il comma che avrebbe dato al governo la possibilità di modificare tutta la materia riguardante il codice penale militare di guerra. In questo modo il provvedimento è stato 'amputato' di una parte essenziale visto che la delega autorizzava a revisionare i due codici, quello di pace e quello di guerra.
L'allarme però non è cessato, ora cosa succederà?
In accordo con la maggioranza, abbiamo acconsentito a formare un comitato ristretto, che si è messo al lavoro lo scorso 23 febbraio, con un duplice obiettivo: mantenere vivo il dibattito sulla stampa, nel mondo militare, fra le associazioni pacifiste e nell'opinione pubblica in genere; e poi tentare, nella discussione all'interno del comitato ristretto, di apportare delle modifiche significative su alcuni elementi che abbiamo individuato e che per noi sono dei paletti invalicabili. Ovviamente tutto ciò non cambia affatto il giudizio negativo che tutta l'opposizione ha dato sulla delega: è un provvedimento micidiale, sia sul versante costituzionale, perché decostituzionalizza i vincoli che la Costituzione pone all'uso della forza militare attribuendo il potere di decidere in tale materia solo all'ese-cutivo; sia sul piano ordinamentale, perché, allargando a dismisura i reati militari contraddice la tendenza che si era affermata in Italia di ridimensionare la magistratura militare. Quindi il giudizio rimane assolutamente negativo e il voto sarà contrario. Però nello stesso tempo, dal punto di vista della logica parlamentare, stiamo cercando di vedere se è possibile renderlo meno pericoloso, soprattutto nel caso in cui la delega dovesse comunque arrivare in Aula e venisse approvata.
Quali sarebbero i "paletti invalicabili"?
Prima di tutto la libertà di stampa e la libertà di azione umanitaria nei luoghi di conflitto: occorre cioè chiarire che nulla ostacolerà il diritto di informare - insomma il principio della libertà di stampa - e la possibilità di intervento umanitario. E poi - personalmente ho insistito molto su questo - il diritto del militare di informare il mondo esterno su fatti che contravvengano al diritto umanitario, le convenzioni internazionali, i divieti internazionali di uso di armi fuorilegge. Inoltre l'eliminazione di tutti quegli elementi che prefigurano un diverso trattamento, rispetto alle sanzioni, fra militari e civili: dalla possibilità di ottenere pene alternative alla detenzione al diritto alla salute; e la depenalizzazione di quelle che, nella tradizione militare, si configurano come infrazioni, dalla raccolta di firme perché non funziona la mensa allo sciopero del rancio.
Per ritornare alla formulazione originaria della delega la maggioranza dovrebbe emendare il provvedimento in Aula e poi farlo tornare al Senato. Ti sembra che la Casa delle libertà abbia intenzione di procedere senza esitazioni?
Mi pare che ci sia un interesse molto forte soprattutto da parte degli Stati maggiori e del ministero della Difesa, mentre nella stessa maggioranza colgo qualche esitazione, soprattutto dopo i giudizi molto negativi sulla legge espressi dai Cocer; persino Gaetano Pecorella, presidente della commissione Giustizia della Camera, e Carlo Taormina hanno fatto alcuni interventi critici. Per cui credo che qualche margine di manovra ci sia. Per ora il comitato ristretto lavorerà per due settimane e a marzo la legge dovrebbe andare in Aula.
Vedi qualche collegamento fra questo provvedimento, che è anche contro la libertà di stampa, e il 'consiglio' di lasciare l'Iraq dato dal governo ai giornalisti italiani?
Certo, le due questioni procedono in parallelo. È chiaro che quando si sceglie l'uso della forza militare in imprese che non hanno nulla a che fare con la ratio della Costituzione, è nella logica delle cose che la stampa diventi un elemento di fastidio. Quindi il giornalismo deve essere patriottico, o embedded, oppure c'è una contraddizione e allora è necessaria la censura. Questo provvedimento è la conseguenza inevitabile di una politica internazionale e di una politica militare che assegna sempre più chiaramente al nostro Paese un ruolo di soggetto belligerante in giro per il mondo.