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 Liana Fiorani

DEDICHE A DON MILANI dal cimitero di Barbiana

Questo libro raccoglie le numerose dediche che ogni anno i pellegrini in visita alla tomba di Don Lorenzo Milani lasciano sui quaderni del cimitero di Barbiana, in un  angolo di mondo situato "al di fuori delle mura" di ogni centro di potere. Servono a ridare vita e voce a quel prete esiliato che continua a scuoterci dal nostro menefreghismo con il suo I care ripetuto quasi ossessivamente in tantissime dediche.

DEDICHE A DON MILANI è una sorta di diario a più mani, portato avanti da cattolici e laici, tutti legati alla figura di don Lorenzo Milani per ragioni affettive ma soprattutto perché l’opera da lui svolta va ben oltre quella circoscritta dal ruolo sacerdotale; sono pensieri che, pur nei diversi “generi letterari” praticati, vengono tutti lasciati in segno di profonda gratitudine, sono ricchi di grande luminosità. Le dediche, oltre che dal nome di chi le lascia, sono accompagnate dalla indicazione della località di provenienza dei firmatari; la collocazione geografica disegna in questo modo un paesaggio sconfinato; le incancellabili parole di don Lorenzo “Io non ho confini” trovano qui conferma storica.

Il lavoro è stato affrontato per far conoscere sempre più Don Milani, oltre che per invitare tutti ad interrogarsi sul fenomeno che questo mondo di dediche rappresenta; le dediche non sono infatti che l’infinitesima parte dell’immenso fiume di firme che ogni anno viene depositato. Bisogna riconoscere che né l’isolamento e neppure la morte, avvenuta 34 anni fa, sono riusciti a far cadere il silenzio sul sacerdote di Barbiana.

Un obiettore dice che non avrebbe avuto la forza di affrontare tre volte il carcere senza il sostegno trovato nelle parole e nell’opera di Don Milani. Vi è anche chi afferma di aver trovato linfa per adoperarsi in difesa della pace (e di tutti i valori umani) solo dopo aver visitato il luogo dove Don Milani ha svolto il suo operato.

Una voce, dal Brasile, assicura di essere giunta sulla tomba di Don Milani per rinnovare la memoria della sua scuola che insieme a quella di Paulo Freire tanto hanno dato: sono stati i pedagogisti della speranza.

Hanno voluto seppellirlo vivo ma non ci sono riusciti, nemmeno da morto. La sua presenza continua. Il tempo ci conferma una sua paradossale ineluttabile verità: “Perché dovrei fare fatica ad andare io a cercare la gente? Quando è la gente che viene a cercare me?”. Verità confermata: nonostante i tanti anni che lo separano da noi in molti vanno ancora a cercarlo per la sua particolare capacità di scuotere coscienze.

Ciò che resta incancellabile del Priore di Barbiana è la sua intuizione di riscatto dei poveri, senza compromessi. Basta saper costruire uomini, non burattini. È convinto che una scuola seria e un maestro impegnato sappiano risvegliare nei ragazzi la sete del sapere, sappiano dare lo stimolo che fa vibrare i loro cuori. “Il maestro deve avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dall’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Più uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”. Il problema è tutto qui, ma uno non può dare quello che non ha.

Lorenzo, il 14 luglio 1952, scrive: “Ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammucchiato negli anni di San Donato, non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquanta anni sotto il sedere dei miei vincitori”.

Quell’esplosivo continua a scoppiettare, quei rumori richiamano a Barbiana tutti coloro che hanno condiviso e condividono ciò che ha detto e fatto e che riconoscenti ringraziano e pregano.

Liana Fiorani

 

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