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QUALE VITA SULLE MONTAGNE DI CELESTINO? Proprio mentre andavamo preparando con cura la redazione del numero 100 di Qualevita, un crudele evento climatico avrebbe potuto segnare la fine della nostra esperienza editoriale. E allora, come sempre, rendiamo partecipi i nostri lettori di quanto è accaduto, partendo da quel 13 gennaio 2002, quando un tubo dell'acqua non ha retto agli attacchi rabbiosi di un gelo durissimo e ostinato che ha stretto nella sua morsa l'Abruzzo intero. Da quel tubo, per un giorno e una notte è uscita in continuazione acqua che ha inondato tutte le stanze dei nostri laboratori. Ogni volta che ancora adesso, a oltre tre mesi da quel giorno infausto, entriamo in uno qualsiasi di quegli ambienti, ci sentiamo come rigettare all'indietro dallo spettacolo deprimente di cartelle ricolme di carte premurosamente raccolte nel tempo, diventate come duri mattoni. Archivi di foto, documenti, ritagli di giornali, fatture, menabò, preventivi, ordini, listini, disegni, vignette, appunti, promemoria, pellicole e... libri, libri, libri resi inservibili da quell'indisturbato deposito di acqua. Ma poi ti scatta dentro qualcosa di incomprensibile: bisogna comunque ricominciare, perché non vadano distrutte le fatiche, le lacrime, le gioie, le speranze, i semi lasciati lungo ventitre anni di lavoro. L’ATTIVITÀ EDITORIALE: “QUALEVITA” Cominciammo nel 1979, in questa casa di campagna semidistrutta che abbiamo rimesso in sesto e resa vivibile (nella sala dove ora c'è il laboratorio di serigrafia c'era una strato di 5 cm. di letame di gallina). Lì abbiamo organizzato le primissime riunioni di redazione di “Qualevita”. Dobbiamo andare a constatare ci dicevamo quale vita c'è nelle campagne (bisogna sempre partire dal proprio habitat), ma poi anche nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali, nelle carceri, nelle sedi sindacali, nei partiti, nelle chiese, nei quartieri; quale vita si conduce da bambino, da donna, da giovane, da anziano, da disoccupato, da "diverso", da emarginato. La nostra attività editoriale ha avuto sempre come pungolo conduttore il desiderio di dare a questo lembo di Sud dell’Italia in cui viviamo la spinta perché esca dalle secche dell’asistenzialismo, del clientelismo e talvolta anche del vittimismo. L’UTOPIA CONCRETA DELLA NONVIOLENZA Un altro filo conduttore ha tenuto insieme in questi lunghi anni le nostre vite diffcili in una realtà a tratti dura e impermeabile, in un ambiente in cui si respira aria di mafia senza lupara né tritolo, ma con tutte le limitazioni, le gabbie, i controlli sociali, i condizionamenti, gli schiaffi alla dignità cui sono sottoposti tanti nostri concittadini che vivono un po’ più a sud di noi. Che cosa si fa in una realtà di questo genere? O ci si adegua e, inevitabilmente, si diventa un anello della catena di omertà, di sotterfugi, di furbizie, di piedistalli più o meno coscienti posti a sostegno dei vari poteri, oppure ci si ribella e si lotta. Noi abbiamo scelto la via della lotta nonviolenta. Tutte queste lotte hanno avuto come propulsore una scintilla di follia. Tutte sono state iniziate e condotte a termine da un manipolo di folli o come li chiamava Martin Luther King di disadattati: “Invito tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad essere dei disadattati, perché può ben darsi che la salvezza del nostro mondo stia proprio nelle mani dei disadattati”. VITE FUORI DAL CAMPO Aveva ragione Ezechiele, quando aveva aperto una breccia nelle mura di Gerusalemme, e l'aveva varcata, a significare che invano il popolo si sarebbe rinserrato in quelle mura e invano avrebbe cercato difese arroccandosi nei suoi spazi sacri: occorreva invece uscire dalla città, uscire dal tempio, e affrontare l'impatto con la realtà ignota e avversa. Quando abbiamo cominciato ci trovavamo nel pieno degli anni di piombo: abbiamo ricevuto anche alcune visite di polizia e carabinieri con i mitra spianati. Il nostra reato era stato appunto l'esserci collocati "fuori dal campo": fuori da ogni organizzazione partitica, anche se connotati politicamente, fuori da ogni chiesa, anche se tenacemente alla ricerca di un senso da dare alla nostra fede nel Dio che "ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili", fuori da ogni combriccola di potere. L'abbiamo pagata, e a caro prezzo questa collocazione extramuraria, anche nella nostra attività lavorativa (mai un lavoro commissionato dalla curia di Sulmona o di altri centri istituzionali). Ma in compenso, in questi oltre vent'anni, abbiamo gustato la visita, la presenza, l'amicizia di tantissime persone che con noi hanno diviso un pezzo di pane con un vasetto delle nostre marmellate ma, soprattutto, abbiamo vicendevolmente aperto le nostre menti e i nostri cuori ad un confronto serrato sulle linee di fondo che ci hanno portato a queste scelte, uscendone sempre rinfrancati, arricchiti e incoraggiati ad andare avanti. Mediante il nostro piccolo foglio "Qualevita" restiamo in continuo contatto con tante realtà marginali come la nostra, sparse in Italia e nel mondo. Gruppi, associazioni, redazioni, biblioteche, centri alternativi, comunità, famiglie, persone singole sono entrate nelle nostre stanze pur senza esserci mai incontrati; lettere, foglietti, documenti, cartoline, appelli, iniziative, seminari, conferenze, campi: sappiamo molto di quella parte di umanità che viene sistematicamente ignorata e che invece mantiene viva la fiammella della speranza. NON FUGA, MA ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ «Le spoglie degli animali il cui sangue è offerto nel santuario per il perdono dei peccati, sono bruciate secondo la legge fuori dal campo. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il suo sangue, patì fuori delle mura. Usciamo dunque fuori dal campo per andare a lui portando la sua vergogna». (Lettera agli Ebrei, 13, 11-13) Chi decide di giocare la propria vita fuori dal campo perde le sicurezze ma non la speranza. Anzi, solo dove viene meno la sicurezza col suo orgoglio, la sua arroganza, la presunzione della propria giustizia, cade l'impedimento alla speranza, e la salvezza diventa possibile. “Un po' troppo tardi abbiamo imparato diceva Bonhöffer che non il pensiero ma l'assunzione della responsabilità è l'origine dell'azione”. E oggi, proprio perché siamo nel tempo della decisione, e tutti i diversivi e le proroghe sono finiti, ci troviamo nella condizione che egli ci aveva annunciato, dandone per primo la prova resistendo senza resa nel carcere nazista: “Per voi pensiero e azione entreranno in una realazione nuova. Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo”. Ricominciare, per noi, in questo momento di buio pressoché totale, in Italia e in tante parti del mondo, in questo momento di "democratura" dilagante, ricominciare significa restare nella lotta. Anche a Sulmona, anche in un laboratorio grafico devastato dall'acqua. A tutti i lettori chiediamo scusa per l’enorme ritardo nell'uscita di questo numero. Il motivo lo abbiamo ampiamente spiegato. Chi volesse darci una mano nella ricostruzione, legga il foglio allegato «S.O.S. PER UNA TIPOGRAFIA INONDATA». Insieme con tutti voi, ricominciamo da oggi. |