Gli italiani e l'informazione sulle guerre (2001)
Nell’ambito della ricerca su “I conflitti dimenticati” la SWG ha realizzato, alla fine del 2001, un sondaggio demoscopico su un campione rappresentativo della popolazione italiana.
Che la guerra evochi nell’immaginario collettivo prima di tutto l’idea della morte, della devastazione, della tragedia umana, non ci sono dubbi; pochi quelli che riescono immediatamente ad associare ai conflitti aperti nel mondo la possibilità, per alcuni paesi, di arricchirsi sulle tragedie di interi popoli o di singole etnie.
Quando pensa ad una guerra cosa le viene in mente?
dato medio | cattolici praticanti | |
morte e distruzione | 78% | 75% |
rifugiati e aiuti umanitari | 11% | 16% |
arricchimento e sviluppo economico | 6% | 3% |
non sa/non risponde | 5% | 6% |
Il ricordo delle guerre attualmente in corso o di quelle terminate nell’arco degli ultimi cinque anni corre lungo due direttrici, quella dell’ “informazione”: il conflitto arabo-israeliano - tanto lungo da poter attraversare la memoria di intere generazioni - continua ad essere il più noto; quella della “vicinanza”, ovvero delle guerre che hanno investito l’area dei Balcani e della ex-Jugoslavia, coinvolgendo in azioni di pace anche i contingenti italiani. In relazione a quest’ultimo capitolo si rileva una tendenza alla conoscenza un po’ distratta e superficiale: fatta eccezione per il Kosovo e la Bosnia, gli intervistati tendono a citare molto più genericamente le macro-aree (Balcani, ex-Jugoslavia, Africa) che le singole realtà territoriali con i loro specifici conflitti.
Da questo punto di vista esiste una certa consapevolezza. La maggioranza degli intervistati ritiene che l’opinione pubblica non sia sufficientemente informata sulle guerre in corso e sulle ragioni che le determinano e questo, in qualche modo, implica un giudizio negativo sui media di cui essi si servono: televisione, radio e stampa. Tuttavia, un’attenta analisi dei dati può spingere verso una lettura di taglio diverso: può anche darsi che l’informazione fornita dai media non sia sufficientemente approfondita o costante, ma è anche vero che, sebbene il 70% degli intervistati si dichiari interessato a ricevere maggiori informazioni in merito, all’interno di questo fronte prevale la componente di un interesse “medio” e non “forte”. Come a dire che il desiderio di maggior informazione non rappresenta, se non per pochi, un’urgenza.
Secondo lei sulle cause e le radici dei conflitti, l'opinione pubblica è informata in maniera:
dato medio | cattolici praticanti | |
del tutto sufficiente | 4% | 6% |
sufficiente | 36% | 35% |
insufficiente | 47% | 45% |
del tutto insufficiente | 9% | 8% |
non sa/non risponde | 4% | 6% |
Nella determinazione di conflitti quali quelli dei Balcani e dei massacri in Ruanda, si rileva una tendenza ad attribuirne le cause prevalentemente a ragioni politiche o etniche, lasciando scivolare in secondo piano aspetti economici o religiosi. Ma anche qui, soprattutto nel caso del Rwanda, l’elevato tasso di non risposte testimonia a favore della presenza di un consistente deficit di conoscenza.
Secondo lei, tra le seguenti, quali sono state le principali cause delle guerre nell’area balcanica (Croazia, Bosnia, Erzegovina, Kosovo)?
dato medio | cattolici praticanti | |
politiche | 31% | 36% |
ragioni etniche | 30% | 28% |
economiche | 18% | 17% |
religiose | 15% | 13% |
non risponde | 6% | 6% |
E quali sono state invece le principali cause della guerra in Rwanda, nella regione dei grandi laghi africani che ha avuto il suo culmine nel 1994?
dato medio | cattolici praticanti | |
ragioni etniche | 27% | 24% |
politiche | 20% | 23% |
economiche | 17% | 14% |
religiose | 9% | 10% |
non risponde | 27% | 29% |
Per quanto concerne le modalità d’intervento della comunità internazionale in situazioni extra-territoriali difficili e controverse, gliintervistati si esprimono prevalentemente a favore d’iniziative non violente,con la netta maggioranza del campione che propende per operazioni di prevenzione e mediazione politica, e un segmento numericamente inferiore favorevole ad interventi esclusivamente umanitari. Il fronte degli “interventisti” si riduce ad un intervistato su dieci.
Il campione riconosce nella Chiesa cattolica e nell’Onu le voci che più di tutte si levano contro l’ingiustizia delle guerre. In questa direzione si colloca il giudizio sugli episodi d’uccisione di missionari in zone di conflitto: per circa la metà degli intervistati essi rappresentano delle voci di denuncia troppo scomode per le realtà in cui si trovano ad operare.
Qual è secondo lei la voce che più spesso si alza in queste situazioni di crisi contro la guerra e contro l'ingiustizia?
dato medio | cattolici praticanti | |
il Papa e la Chiesa Cattolica | 37% | 46% |
l'ONU | 37% | 33% |
la Commissione Europea | 7% | 6% |
il Governo italiano | 6% | 4% |
non sa/non risponde | 13% | 11% |
A sorpresa emerge che solo il 30% degli intervistati sa come si chiama l’organizzazione internazionale armata di cui fa parte l’Italia: la Nato, evidentemente, è divenuta per gli italiani una sigla tanto celebre quanto misteriosa nel suo significato.
Allegati
- Sondaggio SWG-Famiglia Cristiana (2001) (170 Kb - Formato pdf)Leggi la sintesi completa del sondaggio demoscopicoIl documento è in formato PDF, un formato universale: può essere letto da ogni computer con il lettore gratuito "Acrobat Reader". Per salvare il documento cliccare sul link del titolo con il tasto destro del mouse e selezionare il comando "Salva oggetto con nome" (PC), oppure cliccare tenendo premuto Ctrl + tasto Mela e scegliere "Salva collegamento come" (Mac).