Mali, una situazione in bilico
Due anni fa, il 22 marzo 2012, ad un mese dalle elezioni presidenziali previste in Mali, un colpo di Stato guidato dal Capitano Amadou Haya Sanogo depone il Presidente Amadou Toumani Touré, al potere dal 2002, e getta il paese nel caos. Vari gruppi indipendentisti e islamisti prendono rapidamente il controllo del nord del Mali (in particolare le zone di Kidal, Gao e Tombouctou) con rivendicazioni divergenti.
Il 6 aprile 2012 viene proclamata l’”indipendenza dell’ Azawad”, mentre nel nord del paese viene progressivamente adottata la Sharia e aumentano le violazioni di diritti umani sulla popolazione civile, in particolare sulle donne.
L’attenzione del mondo si punta sul territorio settentrionale del Mali, in quanto corridoio strategico per il passaggio di traffici illeciti, di commercio della droga, e per le risorse del sottosuolo (tra cui l’uranio, proveniente in particolare dal Niger) e petrolio.
La situazione precipita dal mese di dicembre 2012: l’11 dicembre il Primo Ministro Diarra viene arrestato dai militari, a gennaio 2013 un’offensiva militare dei ribelli jihadisti verso le città del Sud porta alla rapida conquista delle città di Konna e Douentza, a pochi chilometri dalla città strategica di Mopti (confine dell’Azawad), con l’obiettivo di conquistare la capitale Bamako.
Il 10 gennaio 2013 il nuovo Presidente del Mali, Dioncounda Traoré‚ in un discorso alla nazione, comunica di aver chiesto e ottenuto un intervento aereo della Francia, in accordo con l'Ecowas, la comunità economica dei paesi dell'Africa occidentale, contro i ribelli dell'Azawad; l’11 gennaio il Presidente francese Hollande annuncia l’intervento militare della Francia (operazione Serval). Le Nazioni Unite, con un documento del 12 ottobre 2012, riconoscono “la questione Mali”, ma evitano di spingere per un intervento militare immediato, mentre con la Risoluzione 2085 (15 gennaio 2013) del Consiglio di Sicurezza, autorizzano il dispiegamento di una forza internazionale di supporto al Mali (MINUSMA).
La riconquista progressiva delle regioni del nord del paese (solo Kidal rimane nelle mani degli indipendentisti) apre un periodo di transizione, guidato dal Presidente Dioncounda Traoré fino alle elezioni presidenziali previste per luglio 2013. Una corsa contro il tempo, fortemente sostenuta dalla Francia e dalla comunità internazionale, per ristabilire l’ordine costituzionale e ridare stabilità ad un paese strategicamente fondamentale a livello politico ed economico nello scacchiere internazionale.
Il 28 luglio 2013 si tiene tuttavia il primo turno delle elezioni presidenziali e l’11 agosto il ballottaggio, nel rispetto dei tempi previsti. Le tornate elettorali si svolgono in un clima generalmente pacifico nonostante il rischio di tensioni con un tasso di partecipazione elevatissimo. Vince con il 77,61% dei suffragi Ibrahim Boubacar Keita, eletto nuovo Presidente del Mali.
Per il completo ristabilimento dell’ordine costituzionale va eletta l’Assemblea Nazionale: le elezioni legislative si tengono in due turni, il 24 novembre e il 15 dicembre 2013, e vedono un’alleanza di partiti di supporto al Presidente Keita conquistare 115 su 147 seggi all’Assemblea.
Il voto segna un traguardo importante per il paese, ma restano problemi fondamentali, minacce e sfide per raggiungere la stabilità socio-politica del paese nel lungo termine, con la consapevolezza che la crisi scoppiata nel 2012 è complessa, ha radici lontane, storiche, culturali, politiche, economiche, e può essere risolta solo con una visione multidimensionale dei problemi.
La sicurezza nel nord del Mali resta precaria: incidenti a febbraio 2014 nell’area di Gao tra etnie Tuareg e Peuls, attacchi frequenti contro contingenti militari e lo staff MINUSMA; l’8 febbraio MUJAO ha rivendicato il sequestro di quattro membri dello staff della Croce Rossa Internazionale; granate e razzi vengono lanciati regolarmente sugli aeroporti di Gao e Toumbouctou.
Bamako sembra tornare progressivamente alla normalità, ma nelle città di Gao e Toumbouctou la calma è fragile, mentre a Kidal, resta ancora poco chiara sin dagli inizi del 2013, quando è scattata l’operazione Serval, che costituisce un elemento forte delle negoziazioni con il governo di Bamako nelle mani del Movimento indipendentista MNLA.
La missione MINUSMA deve far fronte a numerose difficoltà per raggiungere la piena capacità operativa, prevista dal mese di settembre 2014. Solo il 60% del personale militare e civile è infatti stato dispiegato dal 28 febbraio, mentre le forze francesi dell’operazione Serval si sono ridotte a 1600 unità dallo stesso mese.
L’elevata disoccupazione giovanile e la mancanza di opportunità accrescono l’attrazione per i gruppi jihadisti nel nord del paese e costituiscono una minaccia per il processo politico in corso, così come la mancanza (o insufficienza) di risorse economiche e di volontà politica per contrastare i traffici illeciti nell’area del Sahel.
Il Presidente Keita (cfr. Afrique Magazine, aprile 2014) ritiene che l’educazione e la formazione dei giovani siano uno dei pilastri fondamentali su cui ricostruire il paese, focalizzando l’attenzione sulla formazione delle risorse umane, la formazione professionale, la promozione degli investimenti privati, l’attenzione specifica a settori di potenziale sviluppo quali l’agro-pastorale e il settore minerario.
Secondo i dati OCHA del 27 febbraio 2014, inoltre, ci sono ancora circa 200.000 sfollati interni e 170.000 rifugiati in paesi limitrofi; la campagna agricola 2013-14 non è stata particolarmente soddisfacente e ha creato nuove aree di insicurezza alimentare: più di 800.000 persone sono dichiarate dalle Nazioni Unite in urgente bisogno di assistenza in viveri, e secondo l’OIM e l’ OCHA, solo il 52% dichiara di aver ricevuto assistenza.
Il ritorno dei rifugiati, è reso difficile dall’insicurezza e dal banditismo che permangono nel nord, oltre che dall’incertezza su cosa li attende in loco. Le elezioni amministrative previste per aprile 2014 sono state invece posposte di sei mesi.
Il 20 marzo 2014 l’Assemblea Nazionale ha istituito la Commissione Verità e Riconciliazione, con l’obiettivo di fare luce sugli avvenimenti verificatisi dal 22 marzo 2012. Un’istituzione ai suoi primi passi, in cui sono implicati religiosi, capi tradizionali, mediatori e che, congiuntamente al Ministero della Riconciliazione Nazionale, ha l’arduo compito di stabilire la verità sul passato e aprire le porte a un futuro di stabilità e pacificazione. Anche la giustizia, intanto, sembra riprendere il suo corso a Bamako: il Capitano Sanogo, a capo del colpo di Stato del 2012, arrestato il 27 novembre 2013, deve rispondere davanti alla legge alle accuse di complicità in presa di ostaggi e omicidio.