Gli italiani e l'informazione sulle guerre (2004)
Il sondaggio Swg-Famiglia Cristiana sul tema Gli italiani e la guerra riprende il filo di un’altra rilevazione, effettuata tre anni fa. E dimostra che qualcosa è cambiato: c’è maggior consapevolezza circa i danni provocati dall’oblio informativo. Insomma, gli italiani vogliono conoscere. Diminuisce, infatti, dal 26 al 17 per cento la quota di intervistati che non ricorda neppure un conflitto negli ultimi cinque anni. Nonostante ciò si tratta di un dato non trascurabile, segno che ampio è ancora il lavoro di chi, per mestiere, deve raccontare le guerre.
Rispetto al 2001 non cambia la percezione della guerra: il 68 per cento la mette in relazione a immagini di morte e distruzione. Al terrorismo viene associata solo dal 16 per cento del campione, che sale di due punti se si considerano i cattolici praticanti. Alla Swg abbiamo infatti chiesto di selezionare anche un campione di cattolici praticanti, come era già accaduto nel 2001, per verificare l’esistenza di scarti più o meno significativi tra la popolazione italiana e i cattolici che frequentano con assiduità le chiese, i movimenti e le associazioni.
Quando pensa ad una guerra cosa le viene in mente?
dato medio | cattolici praticanti | |
morte e distruzione | 68% | 66% |
rifugiati e aiuti umanitari | 8% | 10% |
arricchimento e sviluppo economico | 6% | 5% |
terrorismo | 16% | 18% |
non sa/non risponde | 2% | 1% |
Ebbene, alla domanda centrale sulla guerra (è evitabile, inevitabile, non sa), 76 italiani su cento rispondono, senza dubbio alcuno, che è evitabile. E la stessa quota vale per i cattolici praticanti. Se si mette in relazione questa risposta con la successiva sull’esistenza, almeno in linea teorica, di guerre giuste, si ritrova la stessa percentuale di no.
Evitabile o no, giusta o no
Ciò che deve preoccupare, però, è l’oltre 20 per certo che considera la guerra un elemento connesso alla natura dell’uomo e che accredita una giustezza alla guerra. Stupisce, forse, che chi la pensa così si trova con percentuali superiori alla media tra i giovanissimi (18-24 anni) e tra i laureati, mentre non meraviglia che tale percentuale di popolazione si trova concentrata tra quelli che votano destra o centrodestra.
A suo parere, possono esistere - in linea teorica - delle 'guerre giuste'?
dato medio | cattolici praticanti | |
sì | 21% | 23% |
no | 78% | 76% |
non sa/non risponde | 1% | 1% |
È diminuita, ma resta ancora alta, rispetto a tre anni fa la percentuale di chi non sa indicare neppure un conflitto armato su una lista di 25 in corso o terminati da poco: dal 26 al 17 per cento. La guerra in Irak non era indicata nelle risposte, poiché si è puntato su conflitti considerati dimenticati.
Se si esamina la qualità del ricordo degli italiani, se ne evidenzia la bassa intensità. E nella quasi totalità dei casi la percezione più esatta è tra i cattolici. Per esempio, rispetto al 2001 il conflitto israelo-palestinese è indicato in corso dal 14,5 degli italiani contro il 18 per cento di tre anni fa, mentre tra i cattolici quel dato non è cambiato. Al primo posto i cattolici mettono l’Afghanistan (32 per cento) contro una percentuale di poco minore (29) tra gli italiani. Il Kosovo, che dovrebbe essere un conflitto considerato finito, per oltre la metà del campione è ancora in corso. Ma lo stesso vale per il Mozambico, dove la pace è stata firmata oltre 10 anni fa, e l’Angola, che ha anch’essa da qualche tempo ritrovato una faticosa pace.
Il sondaggio, dunque, conferma l’ipotesi alla base della ricerca circa una sorta di guerra (in)finita nelle regioni di maggior crisi nel mondo, quasi che sia normale parlare di conflitti permanenti, protratti, diffusi, di paci dimenticate, poiché pochissimo raccontate. Inoltre, risulta abbastanza chiara dalle risposte l’abitudine a pensare, in assenza di informazioni certe, che sia probabile comunque l’esistenza di una guerra in Africa o in Asia.
La questione del terrorismo tre anni fa non era prevista. Oggi, 90 italiani su 100 sono convinti che nessun Paese sia al riparo da attacchi terroristici, tuttavia solo 8 su cento attribuiscono alla necessità della sicurezza internazionale la causa della guerra in Irak: per oltre la metà degli intervistati, la causa è economica, per tre su 10 è politica, per pochissimi è religiosa, con una percentuale in questo ultimo caso leggermente maggiore tra i cattolici praticanti.
Secondo lei la principale causa della recente guerra in Iraq è stata di natura...?
dato medio | cattolici praticanti | |
economica | 53% | 48% |
politica | 28% | 27% |
di sicurezza internazionale | 8% | 9% |
etnica | 1% | 2% |
religiosa | 9% | 12% |
non sa/non risponde | 1% | 2% |
Alla domanda più generale circa gli interessi economici dietro le guerre, quasi tutti sono d’accordo, anche qui con una leggera percentuale in meno tra i cattolici praticanti. È il segno, fuori da ogni dubbio, che i cattolici sono meglio informati. Le fonti di tale informazione sono la televisione per quasi tutti, i quotidiani per oltre la metà, i settimanali e i mensili per circa un terzo, e la radio per pochi di meno. Rispetto a tre anni fa acquista importanza Internet.
Il ruolo della Chiesa cattolica
È interessante vedere come è cambiata la percezione di chi parla contro la guerra e l’ingiustizia: aumenta dal 37 al 42 per cento, e si conferma al primo posto il ruolo del Papa e della Chiesa, diminuisce la considerazione per l’Onu e l’Unione europea, il Governo italiano resta al palo (6 per cento), mentre le Ong e i movimenti per la pace si prendono il 24 per cento delle risposte.
Qual è secondo lei la voce che più spesso si alza in queste situazioni di crisi contro la guerra e contro l'ingiustizia?
dato medio | cattolici praticanti | |
il Papa e la Chiesa Cattolica | 42% | 55% |
l'ONU | 13% | 8% |
l'Unione Europea | 2% | 1% |
il Governo italiano | 6% | 5% |
le Ong, le agenzie umanitarie, i movimenti | 32% | 24% |
non sa/non risponde | 5% | 7% |
Buona è anche l’informazione sulla presenza militare italiana all’estero: Irak, Kosovo, Afghanistan, Bosnia e Albania sono le missioni più ricordate, mentre c’è chi dimostra di sapere anche di piccolissimi contingenti come quelli in Marocco (vigila sulla tregua tra Marocco e Fronte Polisario), in Israele (una missione di carabinieri a Hebron), tra India e Pakistan. E, nonostante le polemiche sul contingente in Irak, la maggioranza ritiene che le missioni servano a mantenere la sicurezza e l’ordine per portare aiuti umanitari. Solo pochissimi pensano che i nostri soldati siano forze di occupazione che svolgono azioni di guerra.
Ma, benché l’immagine delle Nazioni unite risulti più sbiadita nell’analisi della situazione sul terreno, 8 intervistati su 10 ritengono che il ruolo dell’Onu vada potenziato. Sale anche di 7 punti rispetto al 2001 (dal 70 al 77 per cento) la quota di coloro che ritengono funzione della Comunità internazionale quella della mediazione politica preventiva, senza uso delle armi.
L’ultima domanda del sondaggio interrogava sull’uccisione dei missionari. Si chiedeva di indicare il motivo degli omicidi. La metà degli intervistati ha risposto: perché «denunciano o non cedono alle ingiustizie», mentre è diminuita la percentuale di chi crede che ciò avvenga perché i missionari difendono i cattolici e «non si occupano, come dovrebbero, solo delle cose spirituali».
Allegati
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