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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Il Supplemento all’Agenda per la Pace (1995)

Il 25 gennaio 1995, in occasione del cinquantenario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Segretario Generale Boutros Ghali ha presentato all’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza un rapporto intitolato Supplemento a un’Agenda per la Pace.

Il rapporto presenta anzitutto una breve analisi quantitativa e qualitativa delle attività relative alla pace e alla sicurezza condotte nel periodo 1988-1994.

Attività relative alla pace e alla sicurezza: alcune statistiche relative al periodo 1988-1994

31 gennaio 1988 31 gennaio 1992 16 dicembre 1994
Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza nei 12 mesi precedenti 15 53 78
Controversie e conflitti nei quali c'è stato un intervento attivo dell'ONU (diplomazia preventiva o ristabilimento della pace) nei 12 mesi precedenti 11 13 28
Operazioni di mantenimento della pace dispiegate
Totale 5 11 17
Operazioni classiche 5 7 9
Operazioni multifunzionali - 4 8
Personale militare impiegato 9 570 11 495 73 393
Polizia civile impiegata 35 155 2 130
Personale civile internazionale impiegato 1 516 2 206 2 260
Paesi fornitori di personale militare e di polizia 26 56 76
Budget dell’ONU per le operazioni di mantenimen- to della pace (per anno) (in milioni di dollari USA) 230,4 1 689,6 3 610,0*
Paesi nei quali l'ONU ha condotto attività elettorali nei 12 mesi precedenti - 6 21
Regimi di sanzioni decretati dal Consiglio di Sicurezza 1 2 7

* Proiezione

Delle 5 operazioni in corso agli inizi del 1988, 4 si riferivano a conflitti tra Stati e solo una a conflitti civili. Per contro, sulle 21 operazioni lanciate dopo tale periodo, 8 soltanto si sono riferite a conflitti interstatali e 13 (cioè il 62%) a conflitti interni, sebbene alcuni di essi (come nel caso della ex-Jugoslavia) avessero una dimensione internazionale. Quanto alle 11 operazioni lanciate dopo il gennaio 1992, tranne due, sono state tutte (82%) per conflitti interni. Questi conflitti interni di nuova specie hanno delle caratteristiche particolari che pongono alle operazioni di peacekeeping dei problemi mai incontrati prima a partire dall’operazione in Congo agli inizi degli anni ’60.

Un secondo cambiamento qualitativo che il Supplemento pone in evidenza attiene all’uso delle forze Nazioni Unite per proteggere delle operazioni umanitarie. Sono state realizzate, ad esempio in Bosnia-Erzegovina e in Somalia, operazioni di mantenimento della pace appartenenti a una nuova categoria: “l’uso della forza è autorizzato in virtù del Capitolo VII della Carta, ma l’ONU resta neutra e imparziale tra le parti sul campo, e non ha come mandato quello di arrestare l’aggressore (ammesso che sia possibile identificarlo) né d’imporre la cessazione delle ostilità. Non è più il peacekeeping come l’abbiamo conosciuto finora, poiché le ostilità continuano e, molto spesso, non c’è accordo tra i belligeranti sul quale fondare il mandato dell’operazione.”

ONU flag (www.un.org) Un terzo cambiamento attiene alla natura stessa delle operazioni. Durante la guerra fredda, le missioni di peacekeeping avevano un carattere essenzialmente militare ed erano dispiegate abitualmente dopo l’adozione del cessate-il-fuoco, con l’obiettivo principale di creare le condizioni per cominciare a negoziare tra le parti. Alla fine degli anni ’80 si configura una nuova specie di operazioni: avviata a conclusione dei negoziati, essa ha il mandato di aiutare le parti ad applicare le regole alle quali sono giunte. E’ il caso delle operazioni in Namibia, Angola, El Salvador, Cambogia e Mozambico. In questi casi, oltre a questioni di ordine militare, le operazioni hanno dovuto regolare problemi di natura civile.

Ultimo elemento messo in evidenza dal Supplemento è il ruolo che l’ONU è chiamato a svolgere in questa nuova prospettiva e che miri piuttosto alle cause del conflitto.

Diplomazia preventiva e ristabilimento della pace

E’ del tutto evidente che è meglio prevenire i conflitti per mezzo di meccanismi di allerta rapida, di diplomazia discreta e, in certi casi, di dispiegamento preventivo, che non lanciare rilevanti operazione politico-militare per regolare i conflitti una volta che sono scoppiati. L’esperienza mostra che il principale ostacolo al successo di queste attività non è, come si pensa generalmente, la mancanza d’informazioni, di capacità d’analisi o di idee sulle azioni da intraprendere. In effetti, accade spesso che, sin dall’inizio, l’una o l’altra parte rifiuta d’accettare l’aiuto dell’ONU. Il che è vero sia nei conflitti internazionali sia in quelli interni, ancorché, nel primo caso, l’azione dell’ONU s’inserisce pienamente nel quadro della Carta mentre, nel secondo caso, essa deve conciliarsi col paragrafo 7 dell’articolo 2.

Nell’insieme, gli Stati membri incoraggiano il Segretario Generale a giocare un ruolo attivo in questo campo; individualmente, essi assumono spesso una posizione inversa quando sono parti di un conflitto.

Quali problemi incontra l’azione dell’ONU nel campo della diplomazia preventiva e del ristabilimento della pace? Il Supplemento ne individua sostanzialmente due: la difficoltà a trovare personalità che assumano il ruolo di rappresentante o inviato speciale del Segretario generale e gli scarsi finanziamenti a disposizione per piccole missioni.

Mantenimento della pace

Il successo delle operazioni di mantenimento della pace dipende dal rispetto di alcuni principi fondamentali, tra cui tre particolarmente importanti:
- il consenso delle parti;
- l’imparzialità,
- il non uso della forza, salvo il caso di legittima difesa.
Nei casi della Somalia e della Bosnia-Erzegovina è accaduto che questi tre principi non siano stati rispettati, allorquando si è trattato, anzitutto, di assicurare la protezione di operazioni umanitarie mentre continuavano le ostilità, oppure di proteggere le popolazioni civili in zone di sicurezza designate o, infine, di spingere le parti a realizzare la riconciliazione nazionale più rapidamente di quanto non fossero pronte ad accettare. In questi casi, le operazioni si sono viste attribuire dei mandati supplementari che esigevano l’uso della forza, allontanandosi dai principi sopra ricordati. Inoltre, erano richiesti mezzi militari molto più cospicui di quelli previsti. La logica del mantenimento della pace procede da premesse politiche e militari totalmente differenti da quelle delle misure di coercizione.

Quali problemi incontra l’azione dell’ONU nel campo del mantenimento della pace? Il Supplemento li individua nel comando e conduzione delle operazioni, nella disponibilità degli effettivi e del materiale e nella capacità d’informazione. “In queste condizioni” scrive Boutros Ghali “sono arrivato alla conclusione che l’Onu deve esaminare seriamente l’idea di una forza di reazione rapida. Questa forza costituirebbe la riserva strategica del Consiglio di Sicurezza, che potrebbe dispiegarla in caso di urgente bisogno di truppe di mantenimento della pace”.

Consolidamento della pace dopo i conflitti

Le misure che si possono applicare per consolidare la pace dopo un conflitto sono molto simili a quelle della diplomazia preventiva. Esse sono volte a smilitarizzare, a regolamentare le armi leggere, ad operare un rifacimento strutturale, a riformare la polizia e la giustizia, a vigilare sul rispetto dei diritti dell’uomo, a introdurre una riforma elettorale, ad assicurare lo sviluppo economico e sociale. E’ chiaro che questo complica l’operazione condotta dall’ONU, richiedendo un approccio polivalente, avendo comunque come obiettivo principale quello di mettere in piedi le strutture che permetteranno di istituzionalizzare la pace.

Disarmo

Considerevoli sono i progressi che gli Stati membri dell’ONU hanno realizzato nel campo del disarmo in questi ultimi anni nel campo delle armi di distruzione di massa, nucleari, chimiche, batteriologice (biologiche). Ma il Supplemento pone l’accento anzitutto sul cosiddetto ”microdisarmo”, “quello delle armi, per la maggior parte di piccolo calibro, che provocano centinaia di migliaia di morti”. “Gli esperti stimano che le spese consacrate alle armi leggere raggiungono ogni anno miliardi di dollari e rappresentano circa un terzo del commercio mondiale degli armamenti”.

Tutti i regimi di sanzioni comportano un embargo sulle armi; l’esperienza ha provato come sia difficile sorvegliare i flussi di armi che oltrepassano le frontiere dei paesi in guerra con i loro vicini o dilaniati da una guerra civile.

Tra le cosiddette armi leggere, due categorie rivestono una particolare attenzione: le armi di piccolo calibro, che sono quelle che probabilmente fanno più morti negli attuali conflitti, e le mine antipersona.

Sanzioni

Ai sensi dell’articolo 41 della Carta dell’ONU, il Consiglio di Sicurezza può invitare gli Stati membri ad applicare misure non implicanti l’impiego della forza armata per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionali. Queste misure sono generalmente designate con il nome di sanzioni. Conviene ricordare questa base giuridica per sottolineare il fatto che le sanzioni hanno per obiettivo quello di modificare il comportamento di una parte che minaccia la pace e la sicurezza internazionali e non quello di punire o infliggere un qualsiasi castigo.

Il ricorso sempre più frequente a questo strumento da parte del Consiglio di Sicurezza ha messo in luce un certo numero di difficoltà, concernenti in particolare gli obiettivi delle sanzioni, il controllo della loro applicazione e del loro impatto, e i loro effetti non intenzionali. Generalmente si riconosce che le sanzioni sono uno strumento poco preciso. La loro applicazione solleva, sul piano morale, la questione di sapere se le sofferenze inflitte a dei gruppi vulnerabili nel paese sotto tiro costituiscano un mezzo legittimo di esercitare pressioni su dei dirigenti politici la cui posizione non sarà probabilmente influenzata dalla situazione critica nella quale si trova la popolazione. D’altra parte, le sanzioni hanno sempre degli effetti non intenzionali o non auspicati.

Il Supplemento propone l’adozione di un meccanismo secondo 5 funzioni:
- valutare, prima che le sanzioni vengano imposte, il loro potenziale impatto sul paese individuato e sui paesi terzi;
- controllare l’applicazione delle sanzioni;
- misurare i loro effetti al fine di permettere al Consiglio di Sicurezza di definirle con precisione in vista di massimizzare il loro impatto politico e minimizzare i danni indiretti che ne derivano;
- assicurare la fornitura di un’assistenza umanitaria ai gruppi vulnerabili;
- studiare i mezzi per aiutare gli Stati membri che subiscono danni indiretti e valutare le richieste presentate da tali Stati in base all’articolo 50.

Azione coercivitiva

Uno dei meriti della Carta delle Nazioni Unite è di autorizzare l’Organizzazione a prendere misure coercitive contro i responsabili di minacce alla pace, di rottura della pace o di atti d’aggressione. Tuttavia, né il Consiglio di Sicurezza, né il Segretario Generale hanno la capacità di dispiegare, dirigere, comandare e controllare le operazioni condotte a tal fine, salvo che su scala molto ridotta.

Il Supplemento ricorda i casi in cui il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato degli Stati membri a intraprendere azioni coercitive: nel 1950 nella penisola coreana, nel 1990 a seguito dell’aggressione contro il Kuwait, in Somalia e Randa per consentire delle operazioni di soccorso umanitario, ad Haiti per facilitare il ristabilimento della democrazia. In Bosnia-Erzegovina, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato degli Stati membri a usare la forza per assicurare il rispetto dell’interdizione dei voli militari che esso aveva imposto nello spazio aereo di quel paese per appoggiare le forze delle Nazioni Unite in ex-Jugoslavia nel compimento della loro missione, compresa la difesa del personale in pericolo, e per scoraggiare gli attacchi alle zone di sicurezza. Gli Stati membri coinvolti hanno deciso di affidare tali compiti alla NATO: una collaborazione senza precedenti, considerando che le due organizzazioni sono dotate di mandati molto diversi e che esse concepiscono in modo molto diverso il mantenimento della pace e della sicurezza.

Coordinamento

Tutti gli sforzi compiuti dagli organi delle Nazioni Unite per gestire e risolvere i conflitti richiedono la cooperazione e l’appoggio di altri attori sulla scena internazionale: i governi che compongono l’ONU, le organizzazioni regionali, le ong e le diverse entità (fondi, programmi, istituzioni) del sistema stesso delle Nazioni Unite.

Per quanto riguarda le organizzazioni regionali, il Capitolo VIII della Carta definisce il ruolo che esse possono giocare nel mantenimento della pace e della sicurezza. Almeno 5 possono essere le forme di una tale cooperazione: la consultazione, l’appoggio diplomatico, l’appoggio operazionale, il co-dispiegamento, le operazioni congiunte.

Anche le organizzazioni non governative hanno un ruolo importante in tutte le attività dell’ONU in questo ambito.

Risorse finanziarie

Il Supplemento dice esplicitamente che “nessuno degli strumenti di cui si tratta in questo rapporto può essere utilizzato se i governi non forniscono le risorse finanziarie necessarie”.
in Biblioteca: Supplemento all'Agenda per la Pace

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