"Populorum progressio"
PAOLO
VI
POPULORUM
PROGRESSIO
LO
SVILUPPO DEI POPOLI
26
marzo 1967
Introduzione
LA
QUESTIONE SOCIALE È OGGI MONDIALE
Sviluppo
dei popoli
1.
Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi
dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza;
che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più
attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione
verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da
parte della chiesa. All'indomani del concilio ecumenico Vaticano II, una
rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone
di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le
dimensioni di tale grave problema e convincerli dell'urgenza di un'azione
solidale in questa svolta della storia dell'umanità.
Insegnamento
sociale dei papi
2.
Nelle loro grandi encicliche, Rerum novarum di Leone XIII,(2) Quadragesimo
anno di Pio XI,(3) come pure - senza contare i radiomessaggi al mondo di Pio
XII(4) - Mater et magistra(5) e Pacem in terris(6) di Giovanni
XXIII, i Nostri predecessori non mancarono al dovere, proprio del loro ufficio,
di proiettare sulle questioni sociali del loro tempo la luce dell'evangelo.
Il
fatto maggiore
3.
Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è
che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l'ha
affermato nettamente,(7) e il concilio gli ha fatto eco con la sua Costituzione
pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.(8) Si tratta di un insegnamento
di particolare gravità che esige un'applicazione urgente, I popoli della fame
interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La chiesa
trasale davanti a questo grido d'angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore
al proprio fratello.
I
Nostri viaggi
4.
Prima della Nostra chiamata al supremo pontificato, due viaggi, nell'America
Latina (1960) e in Africa (1962), ci avevano messo a contatto immediato con i
laceranti problemi che attanagliano continenti pieni di vita e di speranza.
Rivestiti della paternità universale, abbiamo potuto, nel corso di nuovi viaggi
in Terra Santa e in India, vedere coi nostri occhi e quasi toccar con mano le
gravissime difficoltà che assalgono popoli di antica civiltà alle prese con il
problema dello sviluppo. Mentre ancora si stava svolgendo a Roma il concilio
ecumenico Vaticano II, circostanze provvidenziali ci portarono a rivolgerci
direttamente all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E davanti a quel vasto
areopago ci facemmo l'avvocato dei popoli poveri.
Giustizia
e pace
5.
Infine, recentemente, nel desiderio di rispondere al voto del concilio e di
volgere in forma concreta l'apporto della Santa Sede a questa grande causa dei
popoli in via di sviluppo, abbiamo ritenuto che facesse parte del Nostro dovere
il creare presso gli organismi centrali della chiesa una commissione pontificia
che avesse il compito di «suscitare in tutto il popolo di Dio la piena
conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da promuovere
il progresso dei popoli più poveri, da favorire la giustizia sociale tra le
nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta
in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso».(9) «Giustizia
e pace» è il suo nome e il suo programma. Noi pensiamo che su tale programma
possano e debbano convenire, assieme ai Nostri figli cattolici e ai fratelli
cristiani, gli uomini di buona volontà. È dunque a tutti che Noi oggi
rivolgiamo questo appello solenne a un'azione concertata per lo sviluppo
integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dell'umanità.
Prima parte
PER
UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL'UOMO
1.
I dati del problema
Aspirazioni
degli uomini
6.
Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria
sussistenza, la salute, un'occupazione stabile; una partecipazione più piena
alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni
che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in
una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco
l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d'essi è condannato a
vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio. D'altra
parte, i popoli da poco approdati all'indipendenza nazionale sperimentano la
necessità di far seguire a questa libertà politica una crescita autonoma e
degna, sociale non meno che economica, onde assicurare ai propri cittadini la
loro piena espansione umana, e prendere il posto che loro spetta nel concerto
delle nazioni.
Colonizzazione
e colonialismo
7.
Di fronte alla vastità e all'urgenza dell'opera da compiere, gli strumenti
ereditati dal passato, per quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto.
Bisogna certo riconoscere che le potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di
mira soltanto il loro interesse, la loro potenza, il loro prestigio, e che il
loro ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata
per esempio al rendimento di un'unica coltura, i cui corsi sono soggetti a
brusche e ampie variazioni. Ma, pur riconoscendo i misfatti di un certo
colonialismo e le sue conseguenze negative, bisogna nel contempo rendere omaggio
alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni
abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando
testimonianze preziose della loro presenza. Per quanto incomplete, restano
tuttavia in piedi certe strutture che hanno avuto una loro funzione, per esempio
sul piano della lotta contro l'ignoranza e la malattia, su quello, non meno
benefico, delle comunicazioni o del miglioramento delle condizioni di vita.
Squilibrio
crescente
8.
Fatto questo riconoscimento, resta fin troppo vero che tale attrezzatura è
notoriamente insufficiente per affrontare la dura realtà dell'economia moderna.
Lasciato a se stesso, il suo meccanismo è tale da portare il mondo verso un
aggravamento, e non verso un'attenuazione, della disparità dei livelli di vita:
i popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di
sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio: certuni producono in eccedenza
beni alimentari, di cui altri soffrono atrocemente la mancanza, e questi ultimi
vedono rese incerte le loro esportazioni.
Aumentata
presa di coscienza
9.
Nello stesso tempo, i conflitti sociali si sono dilatati fino a raggiungere le
dimensioni del mondo. La viva inquietudine, che si è impadronita delle classi
povere nei paesi in fase di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno
un'economia quasi esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza,
anch'essi, della loro «miseria immeritata».(10) A ciò s'aggiunga lo scandalo
di disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora
nell'esercizio del potere. Mentre una oligarchia gode, in certe regioni, di una
civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, è «privata
pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e
spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona
umana».(11)
Urti
di civiltà
10.
Inoltre l'urto tra le civiltà tradizionali e le novità portate dalla civiltà
industriale ha un effetto dirompente sulle strutture, che non si adattano alle
nuove condizioni. Dentro l'ambito, spesso rigido, di tali strutture s'inquadrava
la vita personale e familiare, che trovava in esse il suo indispensabile
sostegno, e i vecchi vi rimangono attaccati, mentre i giovani tendono a
liberarsene, come d'un ostacolo inutile, per volgersi evidentemente verso nuove
forme di vita sociale. Accade così che il conflitto delle generazioni si carica
di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma
rinunciare al progresso, o aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da
fuori, ma rigettare in una con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di
valori umani che contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni
morali, spirituali e religiosi del passato vengano meno, senza che l'inserzione
nel mondo nuovo sia per altro assicurata.
Conclusione
11.
In questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi
pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma
fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni
popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di scivolamenti verso le
ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema, la cui gravità non può
sfuggire a nessuno.
2.
La chiesa e lo sviluppo
L'opera
dei missionari
12.
Fedele all'insegnamento e all'esempio del suo divino Fondatore, che poneva «l'annuncio
della buona novella ai poveri» (cf. Lc 7,22) quale segno della sua missione, la
chiesa non ha mai trascurato di promuovere l'elevazione umana dei popoli ai
quali portava la fede nel Cristo. I suoi missionari hanno costruito, assieme a
chiese, centri di assistenza e ospedali, anche scuole e università. Insegnando
agli indigeni il modo onde trarre miglior profitto dalle loro risorse naturali,
li hanno spesso protetti dall'avidità degli stranieri. Senza dubbio la loro
opera, per quel che v'è in essa di umano, non fu perfetta, e poté capitare che
taluni mischiassero all'annuncio dell'autentico messaggio evangelico molti modi
di pensare e di vivere propri del loro paese d'origine. Ma seppero anche
coltivare le istituzioni locali e promuoverle. In parecchie regioni, essi sono
stati i pionieri del progresso materiale come dello sviluppo culturale. Basti
ricordare l'esempio del padre Carlo de Foucauld, che fu giudicato degno d'esse
chiamato, per la sua carità, il «fratello universale», e al quale si deve la
compilazione di un prezioso dizionario della lingua tuareg. È Nostro dovere
rendere omaggio a questi precursori troppo spesso ignorati, uomini sospinti
dalla carità di Cristo, così come ai loro emuli e successori che continuano ad
essere, anche oggi, al servizio di coloro che evangelizzano.
Chiesa
e mondo
13.
Ma ormai le iniziative locali e individuali non bastano più. La situazione
attuale del mondo esige un'azione d'insieme sulla base di una visione chiara di
tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità,
la chiesa, lungi dal pretendere minimamente d'intromettersi nella politica degli
stati, «non ha di mira che un unico scopo: continuare, sotto l'impulso dello
Spirito consolatore, la stessa opera del Cristo, venuto nel mondo per rendere
testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), per salvare, non per condannare, per
servire, non per essere servito (cf. Gv 3,17; Mt 20,28; Mc 10,45)».(12) Fondata
per porre fin da quaggiù le basi del regno dei cieli e non per conquistare un
potere terreno, essa afferma chiaramente che i due domìni sono distinti, così
come sono sovrani i due poteri, ecclesiastico e civile, ciascuno nel suo
ordine.(13) Ma, vivente com'è nella storia, essa deve «scrutare i segni dei
tempi e interpretarli alla luce dell'evangelo».(14) In comunione con le
migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, essa
desidera aiutarli a raggiungere la loro piena fioritura, e a questo fine offre
loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell'uomo e dell'umanità.
Visione
cristiana dello sviluppo
14.
Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo
autentico, dev'essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni
uomo e di tutto l'uomo. Com'è stato giustamente sottolineato da un eminente
esperto: «noi non accettiamo di separare l'economico dall'umano, lo sviluppo
dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l'uomo, ogni uomo,
ogni gruppo d'uomini, fino a comprendere l'umanità intera».(15)
Vocazione
e crescita
15.
Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è
vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini
e di qualità da far fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo
dell'educazione ricevuta dall'ambiente e dello sforzo personale, permetterà a
ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo Creatore. Dotato
d'intelligenza e di libertà, egli è responsabile della sua crescita, così
come della sua salvezza. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano
e lo circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano
su di lui, l'artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo
della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità,
valere di più, essere di più.
Dovere
personale e comunitario
16.
Tale crescita della persona, del resto, non è facoltativa. Come tutta intera la
creazione è ordinata al suo Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad
orientare spontaneamente la sua vita verso Dio, verità prima e supremo bene.
Così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c'è
di più: tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile,
è chiamata a un superamento. Mediante la sua inserzione nel Cristo
vivificatore, l'uomo accede a una dimensione nuova, a un umanesimo trascendente,
che gli conferisce la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema
dello sviluppo personale.
17.
Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all'umanità intera. Non
questo o quell'uomo soltanto, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo
plenario. Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell'alta
marea penetrano ciascuna un po' più a fondo nell'arenile, così l'umanità
avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari
del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e
non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la
cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto, per
noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere.
Scala
dei valori
18.
Siffatta crescita personale e comunitaria verrebbe compromessa ove si
deteriorasse la vera scala dei valori. Legittimo è il desiderio del necessario,
e il lavoro per arrivarci è un dovere: «Se qualcuno si rifiuta di lavorare,
non deve neanche mangiare» (2Ts 3,10). Ma l'acquisizione dei beni temporali può
condurre alla cupidigia, al desiderio di avere sempre di più e alla tentazione
di accrescere la propria potenza. L'avarizia delle persone, delle famiglie e
delle nazioni può contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare
negli uni e negli altri un materialismo che soffoca lo spirito.
Crescita
ambivalente
19.
Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo.
Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all'uomo di essere più
uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che
impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s'induriscono e gli spiriti si
chiudono, gli uomini non s'incontrano più per amicizia, ma spinti
dall'interesse, il quale ha buon giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e
nel disunirli. La ricerca esclusiva dell'avere diventa così un ostacolo alla
crescita dell'essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come
per le persone, l'avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.
Verso
una condizione più umana
20.
Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di
tecnici, esige ancor più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda,
votati alla ricerca d'un «umanesimo» nuovo, che permetta all'uomo moderno di
ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori di amore, di amicizia, di
preghiera e di contemplazione.(16) In tal modo potrà compiersi in pienezza il
vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno
umane a condizioni più umane.
L'ideale
da perseguire
21.
Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e
le carenze morali di coloro che sono mutilati dall'egoismo. Meno umane: le
strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli
del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall'ingiustizia delle
transazioni. Più umane: l'ascesa dalla miseria verso il possesso del
necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l'ampliamento delle conoscenze,
l'acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l'accresciuta considerazione
della dignità degli altri, l'orientarsi verso lo spirito di povertà (cf. Mt
5,3), la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora:
il riconoscimento da parte dell'uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la
sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio
accolto dalla buona volontà dell'uomo, e l'unità nella carità del Cristo che
ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente,
Padre di tutti gli uomini.
3.
L'opera da compiere
La
destinazione universale dei beni
22.
«Riempite la terra e assoggettatela» (Gn 1,28): la Bibbia, fin dalla prima
pagina, ci insegna che la creazione intera è per l'uomo, cui è demandato il
compito d'applicare il suo sforzo intelligente nel metterla in valore e, col suo
lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio.
Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli
strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che
gli è necessario. Il recente concilio l'ha ricordato: «Dio ha destinato la
terra e tutto ciò che contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli,
dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti,
secondo la regola della giustizia, ch'è inseparabile dalla carità».(17) Tutti
gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e
del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciarne,
bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale
grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria.
La
proprietà
23.
«Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo
fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l'amore
di Dio abitare in lui?» (1Gv 3,17). Si sa con quale fermezza i padri della
chiesa hanno precisato quale debba essere l'atteggiamento di coloro che
posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: «Non è del tuo avere,
afferma sant'Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò
che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l'uso di tutti, ciò
che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi».(18) È
come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto
incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso
esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del
necessario. In una parola, «il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a
detrimento dell'utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei padri
della chiesa e dei grandi teologi». Ove intervenga un conflitto «tra diritti
privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali», spetta ai poteri
pubblici «adoperarsi a risolverlo, con l'attiva partecipazione delle persone e
dei gruppi sociali».(19)
L'uso
dei redditi
24.
Il bene comune esige dunque talvolta l'espropriazione se, per via della loro
estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria che ne deriva
per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese,
certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità collettiva. Affermandolo in
maniera inequivocabile,(20) il concilio ha anche ricordato non meno chiaramente
che il reddito disponibile non è lasciato al libero capriccio degli uomini, e
che le speculazioni egoiste devono essere bandite. Non è di conseguenza
ammissibile che dei cittadini provvisti di redditi abbondanti, provenienti dalle
risorse e dall'attività nazionale, ne trasferiscano una parte considerevole
all'estero, a esclusivo vantaggio personale, senza alcuna considerazione del
torto evidente ch'essi infliggono con ciò alla loro patria.(21)
L'industrializzazione
25.
Necessaria all'accrescimento economico e al progresso umano, l'introduzione
dell'industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l'applicazione
tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l'uomo strappa a poco a poco i
suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre
imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso
il gusto della ricerca e dell'invenzione, l'accettazione del rischio calcolato,
l'audacia nell'intraprendere, l'iniziativa generosa, il senso della
responsabilità.
Capitalismo
liberale
26.
Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato
un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso
economico, la concorrenza come legge suprema dell'economia, la proprietà
privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né
obblighi sociali corrispondenti. Tale «liberalismo» senza freno conduceva alla
dittatura, a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell'«imperialismo
internazionale del denaro».(22) Non si condanneranno mai abbastanza simili
abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l'economia è al servizio
dell'uomo.(23) Ma se è vero che un certo «capitalismo» è stato la fonte di
tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli
effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa quei mali che
sono dovuti al nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, e per
debito di giustizia, riconoscere l'apporto insostituibile dell'organizzazione
del lavoro e del progresso industriale all'opera dello sviluppo.
Il
lavoro e la sua ambivalenza
27.
Così pure, se è vero che talvolta può imporsi una mistica esagerata del
lavoro, non è meno vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua
immagine, «l'uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e
segnare a sua volta la terra dell'impronta spirituale che egli stesso ha
ricevuto».(24) Dio, che ha dotato l'uomo d'intelligenza, d'immaginazione e di
sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde portare in certo modo a
compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano, imprenditore, operaio o
contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una materia che gli resiste,
l'operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la
sua ingegnosità e il suo spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune,
condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le volontà,
ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si scoprono
fratelli.(25)
28.
Senza dubbio ambivalente, dacché promette il denaro, il godimento e la potenza,
invitando gli uni all'egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa anche
la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il prossimo.
Più scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo
esecutore, divenuto suo schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta
intelligente e libero. Giovanni XXIII ha ricordato l'urgenza di rendere al
lavoratore la sua dignità, facendolo realmente partecipare all'opera comune: «Bisogna
tendere a far sì che l'impresa diventi una comunità di persone, nelle funzioni
e nella situazione di tutti i suoi componenti».(26) La fatica degli uomini ha
poi per il cristiano un significato ben maggiore, avendo essa anche la missione
di collaborare alla creazione del mondo soprannaturale,(27) che resta incompiuto
fino a che non saremo pervenuti tutti insieme a costituire quell'Uomo perfetto
di cui parla san Paolo, «che realizza la pienezza del Cristo» (Ef 4,13).
L'urgenza
dell'opera da compiere
29.
Bisogna affrettarsi: troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il
progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli
altri. Bisogna altresì che l'opera da svolgere progredisca armonicamente, pena
la rottura di equilibri indispensabili. Una riforma agraria improvvisata può
fallire al suo scopo. Una industrializzazione precipitosa può dissestare
strutture ancora necessarie e generare miserie sociali che costituirebbero un
passo indietro dal punto di vista dei valori umani.
Tentazione
della violenza
30.
Si danno, certo, situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando
popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza
tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni
possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e
politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie
alla dignità umana.
Rivoluzione
31.
E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una
tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali
della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte
di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si
può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
Riforma
32.
Ma desideriamo che il nostro pensiero venga rettamente inteso: la situazione
presente dev'essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie, che essa
comporta, combattute e vinte. Lo sviluppo esige trasformazioni audaci,
profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza
indugio. A ciascuno l'assumersi generosamente la sua parte, soprattutto a quelli
che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere si trovano ad
avere grandi possibilità d'azione. Pagando esemplarmente di persona, essi non
esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi dei Nostri
fratelli nell'episcopato.(28) Risponderanno così all'attesa degli uomini e
saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è «il fermento evangelico che ha
suscitato e suscita nel cuore umano un'esigenza incoercibile di dignità».(29)
Programmi
e pianificazione al servizio dell'uomo
33.
La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non
potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio
di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti,
ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli
oppressi. Sono dunque necessari programmi per «incoraggiare, stimolare,
coordinare, supplire e integrare»(30) l'azione degli individui e dei corpi
intermedi. Spetta ai poteri pubblici scegliere, o anche imporre, gli obiettivi
da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad
essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Ma devono
aver cura di associare a quest'opera le iniziative dei privati e i corpi
intermedi, evitando in tal modo il pericolo d'una collettivizzazione integrale o
d'una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono,
escluderebbero l'esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
34.
Giacché ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in
definitiva altra ragion d'essere che il servizio della persona. La sua funzione
è di ridurre le disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l'uomo
dalle sue servitù, renderlo capace di divenire lui stesso attore responsabile
del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento
pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti dire qualcosa che
investe tanto il progresso sociale che la crescita economica. Non basta
accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non basta
promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare. Coloro che
sono sulla via dello sviluppo devono imparare dagli errori di coloro che hanno
sperimentato prima tale strada quali sono i pericoli da evitare in questo campo.
La tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno temibili che il
liberalismo di ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo
ch'esse devono servire. E l'uomo non è veramente uomo che nella misura in cui,
padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso
autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il
suo Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze.
Alfabetizzazione
35.
Si può affermare che la crescita economica è legata innanzitutto al progresso
sociale ch'essa è in grado di suscitare, e che l'educazione di base è il primo
obiettivo d'un piano di sviluppo. La fame d'istruzione non è in realtà meno
deprimente della fame di alimenti: un analfabeta è uno spirito sotto
alimentato. Saper leggere e scrivere, acquistare una formazione professionale è
riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con
gli altri. Come dicevamo nel nostro messaggio al Congresso dell'UNESCO [del
1965] a Teheran, l'alfabetizzazione è per l'uomo «un fattore primordiale
d'integrazione sociale così come di arricchimento personale, e per la società
uno strumento privilegiato di progresso economico e di sviluppo».(31) Vogliamo
anche rallegrarci del buon lavoro svolto in questo campo ad opera di iniziative
private, di poteri pubblici e di organizzazioni internazionali: sono i primi
artefici dello sviluppo, perché mirano a rendere l'uomo atto a farsene egli
stesso protagonista.
Famiglia
36.
Ma l'uomo non è se stesso che nel suo ambiente sociale, nel quale la famiglia
gioca un ruolo primordiale. Ruolo che, secondo i tempi e i luoghi, ha potuto
anche essere eccessivo, quando si è esercitato a scapito di libertà
fondamentali della persona. Spesso troppo rigide e male organizzate, le vecchie
strutture sociali dei paesi in via di sviluppo sono tuttavia necessarie ancora
per un certo tempo, pur in un processo di progressivo allentamento del loro
dominio esagerato. Ma la famiglia naturale, monogamica e stabile, quale è stata
concepita nel disegno divino (cf. Mt 19,6) e santificata dal cristianesimo, deve
restare «luogo d'incontro di più generazioni che si aiutano vicendevolmente ad
acquistare una saggezza più grande e ad armonizzare i diritti delle persone con
le altre esigenze della vita sociale».(32)
Demografia
37.
È vero che troppo spesso una crescita demografica accelerata aggiunge nuove
difficoltà ai problemi dello sviluppo: il volume della popolazione aumenta più
rapidamente delle risorse disponibili e ci si trova apparentemente chiusi in un
vicolo cieco. Per cui, è grande la tentazione di frenare l'aumento demografico
per mezzo di misure radicali. È certo che i poteri pubblici, nell'ambito della
loro competenza, possono intervenire, mediante la diffusione di un'appropriata
informazione e l'adozione di misure opportune, purché siano conformi alle
esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia:
perché il diritto al matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile,
senza del quale non si dà dignità umana. Spetta in ultima istanza ai genitori
decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli, prendendo le
loro responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già
hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale appartengono, seguendo
i dettami della loro coscienza illuminata dalla legge di Dio, autenticamente
interpretata, e sorretta dalla fiducia in lui.(33)
Organizzazioni
professionali
38.
Nell'opera dello sviluppo l'uomo, che trova nella famiglia il suo ambiente di
vita primordiale, è spesso aiutato da organizzazioni professionali. Se la loro
ragion d'essere è di promuovere gli interessi dei loro associati, la loro
responsabilità è grande in rapporto alla funzione educativa ch'esse possono e
debbono nel contempo svolgere. Attraverso l'informazione che forniscono, la
formazione che offrono, esse possono molto per dare a tutti il sentimento del
bene comune e delle obbligazioni che esso comporta per ciascuno.
Pluralismo
legittimo
39.
Ogni azione sociale implica una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella
che suppone una filosofia materialistica e atea, che non rispetta né
l'orientamento religioso della vita verso il suo fine ultimo, né la libertà e
la dignità umana. Ma, purché siano salvaguardati questi valori, un pluralismo
di organizzazioni professionali e sindacali è ammissibile e, da certi punti di
vista, utile, se serve a proteggere la libertà e a provocare l'emulazione. E di
gran cuore Noi rendiamo omaggio a tutti coloro che vi lavorano al servizio
disinteressato dei fratelli.
Formazione
culturale
40.
Oltre le organizzazioni professionali sono altresì all'opera le istituzioni
culturali, il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. «L'avvenire
del mondo sarebbe in pericolo - afferma gravemente il concilio -, se la nostra
epoca non sapesse far emergere dal suo seno uomini dotati di sapienza». E
aggiunge: «Numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza,
potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto».(34) Ricco o povero,
ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate:
istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni
superiori - artistiche, intellettuali e religiose - della vita dello spirito.
Quando queste contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore
sacrificarle a quelle. Un popolo che consentisse a tanto perderebbe con ciò
stesso il meglio di sé: sacrificherebbe, per vivere, le sue ragioni di vita.
L'ammonimento del Cristo vale anche per i popoli: «Che cosa servirebbe all'uomo
guadagnare l'universo, se poi perde l'anima?» (Mt 16,26).
Tentazione
materialistica
41.
I popoli poveri non staranno mai troppo in guardia contro questa tentazione che
viene loro dai popoli ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con
l'esempio del loro successo nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un
modello di attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità
materiale. Non che quest'ultima costituisca per se stessa un ostacolo
all'attività dello spirito, il quale anzi, reso così «meno schiavo delle
cose, può facilmente elevarsi all'adorazione e alla contemplazione del Creatore».(35)
Tuttavia «la civiltà moderna, non certo per sua natura intrinseca, ma perché
si trova soverchiamente irretita nelle realtà terrestri, può rendere spesso più
difficile l'accesso a Dio».(36) In quanto viene loro proposto, i popoli in via
di sviluppo devono dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi
beni che porterebbero con sé un abbassamento dell'ideale umano, accettare i
valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il
proprio genio particolare.
Conclusione
Verso
un umanesimo plenario
42.
È un umanesimo plenario che occorre promuovere.(37) Che vuol dire ciò, se non
lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso,
insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe
apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può
organizzare la terra senza Dio, ma «senza Dio egli non può alla fine che
organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano».(38)
Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel
riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi
dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che
trascendendosi. Secondo l'espressione così giusta di Pascal: «L'uomo supera
infinitamente l'uomo».(39)
Seconda
parte
VERSO
LO SVILUPPO SOLIDALE DELL'UMANITÀ
43.
Lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale
dell'umanità. Come dicevamo a Bombay: «L'uomo deve incontrare l'uomo, le
nazioni devono incontrarsi come fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In
questa comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra, noi
dobbiamo parimente cominciare a lavorare assieme per edificare l'avvenire comune
dell'umanità».(40) E suggerivamo altresì la ricerca di mezzi concreti e
pratici di organizzazione e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse
disponibili e così realizzare una vera comunione fra tutte le nazioni.
Fraternità
dei popoli
44.
Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono
radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un
triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l'aiuto che le nazioni ricche
devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè
il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose
tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la
promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano
qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un
ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua
soluzione dipende l'avvenire della civiltà mondiale.
1.
L'assistenza dei deboli
Lotta
contro la fame, oggi e domani
45.
«Se un fratello o una sorella sono nudi, dice san Giacomo, se mancano del
sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro: "Andate in pace,
riscaldatevi, sfamatevi", senza dar loro quel che è necessario al loro
corpo, a che servirebbe?» (Gc 2,15-16). Oggi, nessuno lo può ignorare: sopra
interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentati dalla
fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in
tenera età, che la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri ne
restano compromessi, che regioni intere sono per questo condannate al più cupo
avvilimento.
46.
Appelli angosciati sono già risuonati. Quello di Giovanni XXIII è stato
calorosamente accolto.(41) Noi stessi l'abbiamo reiterato nel nostro messaggio
del Natale 1963,(42) e poi di nuovo in favore dell'India nel 1966.(43) La
campagna contro la fame, lanciata dall'Organizzazione internazionale per
l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) e incoraggiata dalla Santa Sede, è stata
generosamente accolta. La nostra «Caritas internationalis» è dappertutto
all'opera e numerosi cattolici, sotto l'impulso dei Nostri fratelli
nell'episcopato, dànno, e si prodigano anche personalmente senza riserva, per
aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di
quanti riconoscono come loro prossimo.
47.
Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli investimenti
privati e pubblici realizzati, i doni e i prestiti concessi. Non si tratta
soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. La
lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria, è insufficiente. Si tratta
di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di
religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata
dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente
padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il
povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco (cf. Lc 16,19-31). Ciò
esige da quest'ultimo molta generosità, numerosi sacrifici e uno sforzo
incessante. Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per la
nostra epoca. È egli pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni
organizzate in favore dei più poveri? a sopportare maggiori imposizioni affinché
i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo
sviluppo? a pagare più cari i prodotti importati, onde permettere una più
giusta remunerazione per il produttore? a lasciare, ove fosse necessario, il
proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni?
Dovere
di solidarietà
48.
Il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli: «Le
nazioni sviluppate hanno l'urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di
sviluppo».(44) Bisogna mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se è
normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni che le ha fatto
la Provvidenza come dei frutti del suo lavoro, nessun popolo può, per questo,
pretendere di riservare a suo esclusivo uso le ricchezze di cui dispone. Ciascun
popolo deve produrre di più e meglio, onde dare da un lato a tutti i suoi
componenti un livello di vita veramente umano, e contribuire nel contempo,
dall'altro, allo sviluppo solidale dell'umanità. Di fronte alla crescente
indigenza dei paesi in via di sviluppo, si deve considerare come normale che un
paese evoluto consacri una parte della sua produzione al soddisfacimento dei
loro bisogni; normale altresì che si preoccupi di formare educatori, ingegneri,
tecnici, scienziati, che poi metteranno scienza e competenza al loro servizio.
Il
superfluo
49.
Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai
paesi poveri. La regola che valeva un tempo in favore dei più vicini deve
essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo. I ricchi saranno
del resto i primi ad esserne avvantaggiati. Diversamente, ostinandosi nella loro
avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri,
con conseguenze imprevedibili. Chiudendosi dentro la corazza del proprio
egoismo, le civiltà attualmente fiorenti finirebbero con l'attentare ai loro
valori più alti, sacrificando la volontà di essere di più alla bramosia di
avere di più. E sarebbe da applicare ad essi la parabola dell'uomo ricco, le
cui terre avevano dato frutti copiosi e che non sapeva dove mettere al sicuro il
suo raccolto: «Dio gli disse: "Insensato, questa notte stessa la tua anima
ti sarà ritolta"» (Lc 12,20).
Programmi
50.
Questi sforzi, per raggiungere la loro piena efficacia, non possono rimanere
dispersi e isolati, tanto meno opposti gli uni agli altri per motivi di
prestigio o di potenza: la situazione esige dei programmi concertati. Un
programma è in realtà qualcosa di più e di meglio che un aiuto occasionale
lasciato alla buona volontà di ciascuno. Esso suppone, come abbiamo detto più
sopra, studi approfonditi, individuazione degli obiettivi, determinazione dei
mezzi, organizzazione degli sforzi, onde rispondere ai bisogni presenti e alle
prevedibili esigenze future. Ma è anche molto di più in quanto trascende le
prospettive della semplice crescita economica e del progresso sociale e
conferisce senso e valore all'opera da realizzare. Nell'atto stesso in cui
lavora alla migliore sistemazione del mondo, esso valorizza l'uomo.
Fondo
mondiale: vantaggi e urgenza
51.
Occorre spingersi ancora più innanzi. Noi domandavamo a Bombay la costituzione
di un grande Fondo mondiale, alimentato da una parte delle spese militari, onde
venire in aiuto ai più diseredati.(45) Ciò che vale per la lotta immediata
contro la miseria vale altresì a proposito dello sviluppo. Solo una
collaborazione mondiale, della quale un fondo comune sarebbe insieme
l'espressione e lo strumento, permetterebbe di superare le rivalità sterili e
di suscitare un dialogo fecondo e pacifico tra tutti i popoli.
52.
Senza dubbio, accordi bilaterali o multilaterali possono utilmente essere
mantenuti, in quanto permettono di sostituire ai rapporti di dipendenza e ai
rancori derivati dall'èra coloniale proficue relazioni d'amicizia, sviluppate
su un piano di uguaglianza giuridica e politica. Ma incorporati in un programma
di collaborazione mondiale essi sarebbero immuni da ogni sospetto. Le diffidenze
di coloro che ne sono i beneficiari ne uscirebbero attenuate, poiché essi
avrebbero meno ragioni di temere, dissimulate sotto l'aiuto finanziario o
l'assistenza tecnica, certe manifestazioni di quello che è stato chiamato il
neocolonialismo: fenomeno che si configura in termini di pressioni politiche e
di potere economico esercitati allo scopo di difendere o di conquistare una
egemonia dominatrice.
53.
Chi non vede d'altronde come un tale fondo faciliterebbe la riconversione di
certi sperperi, che sono frutto della paura o dell'orgoglio? Quando tanti popoli
hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini
vivono immersi nell'ignoranza, quando restano da costruire tante scuole, tanti
ospedali, tante abitazioni degne di questo nome, ogni sperpero pubblico o
privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni
estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo
il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia
troppo tardi.
Dialogo
da instaurare: sua necessità
54.
Ciò significa essere indispensabile che si stabilisca fra tutti quel dialogo già
da Noi invocato nella Nostra prima enciclica Ecclesiam suam.(46) Tale
dialogo tra coloro che forniscono i mezzi e coloro cui sono destinati consentirà
di commisurare gli apporti, non soltanto secondo la generosità e disponibilità
di impiego degli altri. I paesi in via di sviluppo non correranno più in tal
modo il rischio di vedersi sopraffatti da debiti, il cui soddisfacimento finisce
con l'assorbire il meglio dei loro guadagni. Tassi di interesse e durata dei
prestiti potranno essere distribuiti in maniera sopportabile per gli uni e per
gli altri, equilibrando i doni gratuiti, i prestiti senza interesse o a
interesse minimo, e la durata degli ammortamenti. Garanzie potranno essere
offerte a coloro che forniscono i mezzi finanziari, sull'impiego che ne verrà
fatto in base al piano convenuto e con una ragionevole preoccupazione di
efficacia, giacché non si tratta di favorire la pigrizia o il parassitismo. E i
destinatari potranno a loro volta esigere che non vi siano ingerenze nella loro
politica, né che si provochino sconvolgimenti nelle strutture sociali del
paese. Stati sovrani, a loro solo spetta di condurre in maniera autonoma le loro
faccende, di determinare la loro politica, di orientarsi liberamente verso il
tipo di società preferito. È dunque una collaborazione volontaria che occorre
instaurare, una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in un clima
di eguale dignità, per la costruzione di un mondo più umano.
55.
È un impegno che potrebbe apparire inattuabile in regioni dove la
preoccupazione della sussistenza quotidiana è tale da assorbire tutta
l'esistenza di famiglie, incapaci di concepire un lavoro atto a preparare un
avvenire meno miserabile. Tuttavia sono questi gli uomini e le donne che bisogna
aiutare, che bisogna convincere della necessità di porre mano essi stessi al
loro sviluppo, acquisendone progressivamente i mezzi. Quest'opera comune sarà
certamente impossibile senza uno sforzo concertato, costante e coraggioso. Ma
deve essere ben chiaro ad ognuno che ciò che è in gioco è la vita stessa dei
popoli poveri, è la pace civile nei paesi in via di sviluppo, ed è la pace del
mondo.
2.
Equità nelle relazioni commerciali
56.
Gli sforzi, anche considerevoli, che vengono dispiegati per aiutare sul piano
finanziario e tecnico i paesi in via di sviluppo, sarebbero illusori, se il loro
risultato fosse parzialmente annullato dal gioco delle relazioni commerciali tra
paesi ricchi e paesi poveri. La fiducia di questi ultimi verrebbe profondamente
scossa se avessero l'impressione che si toglie loro con una mano quel che si
porge con l'altra.
Distorsione
crescente, al di là del liberalismo
57.
Le nazioni altamente industrializzate esportano in realtà soprattutto
manufatti, mentre le economie poco sviluppate non hanno da vendere che prodotti
agricoli e materie prime. Grazie al progresso tecnico, i primi aumentano
rapidamente di valore e trovano sufficienti sbocchi sui mercati, mentre, per
contro, i prodotti primari provenienti dai paesi in via di sviluppo subiscono
ampie e brusche variazioni di prezzo, che li mantengono ben lontani dal
plusvalore progressivo dei primi. Di qui le grandi difficoltà cui si trovano di
fronte le nazioni da poco industrializzate, quando devono contare sulle
esportazioni per equilibrare le loro economie e realizzare i loro piani di
sviluppo. Così finisce che i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi
diventano sempre più ricchi.
58.
Ciò significa che la legge del libero scambio non è più in grado di reggere
da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando
i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate:
allora è uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si
spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi
una legge di giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano
divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano «liberamente»
sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è
il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali
che viene qui messo in causa.
Giustizia
dei contratti a livello dei popoli
59.
L'insegnamento di Leone XIII nella Rerum novarum mantiene la sua validità:
il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva
disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e la legge del
libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale.(47) Ciò
che era vero rispetto al giusto salario individuale lo è anche rispetto ai
contratti internazionali: un'economia di scambio non può più poggiare
esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch'essa troppo spesso
generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non
subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
Misure
da prendere
60.
Del resto, i paesi sviluppati l'hanno essi stessi ben compreso, dal momento che
s'adoperano a ristabilire con misure adeguate, all'interno delle rispettive
economie, un equilibrio che la concorrenza abbandonata a se stessa tende a
compromettere. Per cui li vediamo spesso sostenere la loro agricoltura mediante
sacrifici imposti ai settori economici più favoriti. Vediamo pure come, per
sostenere le relazioni commerciali che si sviluppano tra loro, particolarmente
all'interno di un mercato comune, la loro politica finanziaria, fiscale e
sociale si sforzi di ridare a delle industrie concorrenti, disugualmente
prospere, condizioni di ristabilita competitività.
Convenzioni
internazionali
61.
Non è lecito usare in questo campo due pesi e due misure. Ciò che vale
nell'ambito di un'economia nazionale, ciò che è ammesso tra paesi sviluppati,
vale altresì nelle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. Non
che si debba o voglia prospettare l'abolizione del mercato basato sulla
concorrenza: si vuol soltanto dire che occorre però mantenerlo dentro limiti
che lo rendano giusto e morale, e dunque umano. Nel commercio tra economie
sviluppate e in via di sviluppo, le situazioni di partenza sono troppo
squilibrate e le libertà reali troppo inegualmente distribuite. La giustizia
sociale impone che il commercio internazionale, se ha da essere cosa umana e
morale, ristabilisca tra le parti almeno una relativa uguaglianza di possibilità.
Quest'ultima non può essere che un traguardo a lungo termine. Ma per
raggiungerlo occorre fin d'ora creare una reale uguaglianza nelle discussioni e
nelle trattative. Anche questo è un campo nel quale convenzioni internazionali
a raggio sufficientemente vasto sarebbero utili, in quanto capaci di introdurre
norme generali in vista di regolarizzare certi prezzi, di garantire certe
produzioni, di sostenere certe industrie nascenti. Ognuno vede come un siffatto
sforzo comune verso una maggiore giustizia nelle relazioni internazionali tra i
popoli arrecherebbe ai paesi in via di sviluppo un aiuto positivo, con effetti
non solo immediati, ma duraturi.
Ostacoli
da superare: nazionalismo e razzismo
62.
Altri ostacoli si oppongono all'edificazione di un mondo più giusto e più
strutturato secondo una solidarietà universale: intendiamo parlare del
nazionalismo e del razzismo. È naturale che delle comunità da poco pervenute
all'indipendenza politica siano gelose di un'unità nazionale ancora fragile, e
si preoccupino di proteggerla. È pure normale che nazioni di vecchia cultura
siano fiere del patrimonio, che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma
tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che
abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola i popoli
contro il loro vero bene; e risulterebbe particolarmente dannoso là dove la
fragilità delle economie nazionali esige invece la messa in comune degli
sforzi, delle conoscenze e dei mezzi finanziari, onde realizzare i programmi di
sviluppo e intensificare gli scambi commerciali e culturali.
63.
Il razzismo non è appannaggio esclusivo delle nazioni giovani, dove esso si
dissimula talvolta sotto il velo delle rivalità di clan e di partiti politici,
con grande pregiudizio della giustizia e mettendo a repentaglio la pace civile.
Durante l'èra coloniale ha spesso imperversato tra coloni e indigeni, creando
ostacoli a una feconda comprensione reciproca e provocando rancori che sono la
conseguenza di reali ingiustizie. Esso costituisce altresì un ostacolo alla
collaborazione tra nazioni sfavorite e un fermento generatore di divisione e di
odio nel seno stesso degli stati, quando, in spregio dei diritti
imprescrittibili della persona umana, individui e famiglie si vedono
ingiustamente sottoposti a un regime d'eccezione, a causa della loro razza o del
loro colore.
Verso
un mondo solidale
64.
Una tale situazione, così gravida di minacce per l'avvenire, ci affligge
profondamente. Conserviamo tuttavia la speranza che un bisogno più sentito di
collaborazione, un sentimento più acuto della solidarietà finiranno con
l'avere la meglio sulle incomprensioni e sugli egoismi. Speriamo che i paesi a
meno elevato livello di sviluppo sappiano trarre profitto da buoni rapporti di
vicinanza coi paesi confinanti, allo scopo di organizzare tra loro, sopra aree
territoriali più vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo programmi
comuni, coordinando gli investimenti, distribuendo le possibilità di
produzione, organizzando gli scambi. Speriamo anche che le organizzazioni
multilaterali e internazionali trovino, attraverso una necessaria
organizzazione, le vie che permetteranno ai popoli tuttora in via di sviluppo di
uscire dal punto morto in cui paiono dibattersi come prigionieri e di rinvenire
da se stessi, nella fedeltà al genio di ciascuno, i mezzi del loro progresso
sociale e umano.
Tutti
i popoli artefici del loro destino
65.
Perché è proprio a questo che bisogna arrivare. La solidarietà mondiale,
sempre più efficiente, deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi
gli artefici del loro destino. Il passato è stato troppo spesso contrassegnato
da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le
relazioni internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e
dell'amicizia, dell'interdipendenza nella collaborazione, e della promozione
comune sotto la responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli
reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione d'un mondo migliore,
più rispettoso dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il loro appello è
legittimo: a ognuno d'intenderlo e di rispondervi.
3.
La carità universale
66.
Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o
nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità
tra gli uomini e tra i popoli.
Doveri
connessi con l'ospitalità
67.
Noi non insisteremo mai abbastanza sul dovere dell'accoglienza - dovere di
solidarietà umana e di carità cristiana - che incombe sia alle famiglie, sia
alle organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i
giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò
innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine, il sentimento
d'abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa morale, ma
anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano, che li
forza a paragonare l'estrema povertà della loro patria col lusso e lo spreco
donde sono circondati. E ancora: per salvaguardarli dal contagio delle dottrine
eversive e dalle tentazioni aggressive cui li espone il ricordo di tanta «miseria
immeritata».(48) Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore
d'una accoglienza fraterna, l'esempio d'una vita sana, il gusto della carità
cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
Dramma
dei giovani studenti e dei lavoratori emigrati
68.
È doloroso pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per
apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a
servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma
finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che
spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li
avevano visti crescere.
69.
La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni
spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po' le
famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale.
Senso
sociale
70.
La nostra seconda raccomandazione è per quelli che in forza della loro attività
economica sono chiamati in paesi recentemente aperti all'industrializzazione:
industriali, commercianti, capi o rappresentanti di grandi imprese. Si tratta
magari di uomini che si dimostrano, nel loro paese, non sprovvisti di senso
sociale: perché dovrebbero regredire ai principi disumani dell'individualismo
quando operano in paesi meno sviluppati? La loro condizione di superiorità deve
al contrario spronarli a farsi iniziatori del progresso sociale e della
promozione umana, là dove sono condotti dai loro impegni economici. Il loro
stesso senso dell'organizzazione dovrà ad essi suggerire il modo migliore per
valorizzare il lavoro indigeno, formare operai qualificati, preparare ingegneri
e dirigenti, lasciare spazio alla loro iniziativa, introdurli progressivamente
nei posti più elevati, preparandoli così a condividere, in un avvenire meno
lontano, le responsabilità della direzione. Che la giustizia, almeno, regoli
sempre le relazioni tra capi e subordinati. Che esse siano rette da contratti
regolari con obblighi reciproci. Infine, che nessuno, qualunque sia la sua
condizione, resti ingiustamente in balìa dell'arbitrio.
Missione
di sviluppo
71.
Sempre più numerosi, e ce ne rallegriamo, sono gli esperti inviati in missione
di sviluppo ad opera di istituzioni internazionali o bilaterali o di organismi
privati. «Essi non devono comportarsi da padroni, ma da assistenti e da
collaboratori».(49) Una popolazione intuisce subito se l'aiuto che vengono a
portare è dato con passione oppure no, se sono lì semplicemente per applicare
delle tecniche o non anche per dare all'uomo tutto il suo valore. Il loro
messaggio rischia di non essere accolto, se non è accompagnato da uno spirito
d'amore fraterno.
Qualità
degli esperti
72.
Alla competenza tecnica indispensabile, bisogna dunque accoppiare i segni
autentici d'un amore disinteressato. Spogli d'ogni superbia nazionalistica come
d'ogni parvenza di razzismo, gli esperti devono imparare a lavorare in stretta
collaborazione con tutti. Essi devono sapere che la loro competenza non
conferisce loro una superiorità in tutti i campi. La civiltà nella quale si
sono formati contiene indubbiamente degli elementi d'umanesimo universale, ma
non è né unica né esclusiva, e non può essere importata senza adattamenti. I
responsabili di queste missioni devono preoccuparsi di scoprire, insieme con la
sua storia, le caratteristiche e le ricchezze culturali del paese che li
accoglie. Si stabilirà così un avvicinamento che risulterà fecondo per
ambedue le civiltà.
Dialoghi
di civiltà
73.
Tra le civiltà, come tra le persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di
fraternità. L'impresa dello sviluppo ravvicinerà i popoli, nelle realizzazioni
portate avanti con uno sforzo comune, se tutti, a cominciare dai governi e dai
loro rappresentanti, e fino al più umile esperto, saranno animati da uno
spirito di amore fraterno e mossi dal desiderio sincero di costruire una civiltà
fondata sulla solidarietà mondiale. Un dialogo centrato sull'uomo, e non sui
prodotti e sulle tecniche, potrà allora aprirsi. Un dialogo che sarà fecondo,
se arrecherà ai popoli che ne fruiscono i mezzi di elevarsi e di raggiungere un
più alto grado di vita spirituale; se i tecnici sapranno farsi educatori e se
l'insegnamento trasmesso porterà il segno d'una qualità spirituale e morale
così elevata da garantire uno sviluppo che non sia soltanto economico, ma
umano. Passata la fase dell'assistenza, le relazioni in tal modo instaurate
perdureranno, e non v'è chi non scorga di quale importanza esse saranno per la
pace del mondo.
Appello
ai giovani
74.
Molti giovani hanno già risposto con ardore e sollecitudine all'appello di Pio
XII per un laicato missionario.(50) Numerosi sono anche quelli che si sono
spontaneamente messi a disposizione di organismi, ufficiali o privati, di
collaborazione con i popoli in via di sviluppo. Ci rallegriamo nell'apprendere
che in talune nazioni il «servizio militare» può essere scambiato in parte
con un «servizio civile», un «servizio puro e semplice», e benediciamo tali
iniziative e le buone volontà che vi rispondono. Possano tutti quelli che si
richiamano a Cristo intendere il suo appello: «Ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete
accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e
siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Nessuno può rimanere indifferente alla
sorte dei suoi fratelli tuttora immersi nella miseria, in preda all'ignoranza,
vittime dell'insicurezza. Come il cuore di Cristo, il cuore del cristiano deve
muoversi a compassione di questa miseria: «Ho compassione di questa folla» (Mc
8,2).
Preghiera
e azione
75.
La preghiera di tutti deve salire con fervore verso l'Onnipotente, perché
l'umanità, dopo aver preso coscienza di così grandi mali, si dedichi con
intelligenza e fermezza ad abolirli. A questa preghiera deve corrispondere
l'impegno risoluto di ciascuno, nella misura delle sue forze e delle sue
possibilità, nella lotta contro il sottosviluppo. Possano le persone, i gruppi
sociali e le nazioni darsi fraternamente la mano, il forte aiutando il debole a
crescere, mettendo in questo tutta la sua competenza, il suo entusiasmo e il suo
amore disinteressato. Più che chiunque altro, colui che è animato da una vera
carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi
per combatterla, nel vincerla risolutamente. Operatore di pace, «egli percorrerà
la sua strada, accendendo la gioia e versando la luce e la grazia nel cuore
degli uomini su tutta la superficie della terra, facendo loro scoprire, al di là
di tutte le frontiere, dei volti di fratelli, dei volti di amici».(51)
Conclusione
Lo
sviluppo è il nuovo nome della pace
76.
Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e
popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace. Come
dicevamo ai padri conciliari al ritorno dal nostro viaggio di pace all'ONU: «La
condizione delle popolazioni in via di sviluppo deve formare l'oggetto della
nostra considerazione; diciamo meglio, la nostra carità per i poveri che si
trovano nel mondo - e sono legione ìnfinita - deve divenire più attenta, più
attiva, più generosa».(52) Combattere la miseria e lottare contro
l'ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di
vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune
dell'umanità. La pace non si riduce a un'assenza di guerra, frutto
dell'equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per
giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia
più perfetta tra gli uomini.(53)
Uscire
dall'isolamento
77.
Artefici del loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma
non potranno realizzarlo nell'isolamento. Accordi regionali tra popoli deboli
per sostenersi vicendevolmente, intese più ampie per venir loro in aiuto,
convenzioni più impegnative tra gli uni e gli altri, volte a stabilire
programmi concertati: sono le tappe di questo cammino dello sviluppo che conduce
alla pace.
Verso
un'autorità mondiale efficace
78.
Questa collaborazione internazionale a vocazione mondiale postula delle
istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un
ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le
organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione allo sviluppo, e
auspichiamo che la loro autorità s'accresca. «La vostra vocazione - dicevamo
ai rappresentanti delle Nazioni Unite a New York - è di far fraternizzare, non
già alcuni popoli, ma tutti i popoli ... Chi non vede la necessità di arrivare
in tal modo progressivamente a instaurare un'autorità mondiale in grado d'agire
efficacemente sul piano giuridico e politico?».(54)
Fondate
speranze in un mondo migliore
79.
Certuni giudicheranno utopistiche siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro
realismo pecchi per difetto, e che essi non abbiano percepito il dinamismo d'un
mondo che vuol vivere più fraternamente, e che, malgrado le sue ignoranze, i
suoi errori, e anche i suoi peccati, le sue ricadute nella barbarie e le sue
lunghe divagazioni fuori della via della salvezza, si avvicina lentamente, anche
senza rendersene conto, al suo Creatore. Questo cammino verso una crescita di
umanità richiede sforzo e sacrificio: ma la stessa sofferenza, accettata per
amore dei fratelli, è portatrice di progresso per tutta la famiglia umana. I
cristiani sanno che l'unione al sacrificio del Salvatore contribuisce «all'edificazione
del corpo di Cristo» (Ef 4,12) nella sua pienezza: il popolo di Dio
radunato.(55)
Tutti
solidali
80.
In questo cammino siamo tutti solidali. A tutti perciò abbiamo voluto ricordare
la vastità del dramma e l'urgenza dell'opera da compiere. L'ora dell'azione è
già suonata: la sopravvivenza di tanti bambini innocenti, l'accesso a una
condizione umana di tante famiglie sventurate, la pace del mondo, l'avvenire
della civiltà sono in gioco. A tutti gli uomini e a tutti i popoli di assumersi
le loro responsabilità.
APPELLO
FINALE
Cattolici
81.
Noi scongiuriamo per primi tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo
non meno che altrove, i laici devono assumere come loro compito specifico il
rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è quello di
insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in
questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza
attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la
mentalità della loro comunità di vita.(56) Sono necessari dei cambiamenti,
indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi risolutamente a
infondere loro il soffio dello spirito evangelico. Ai Nostri figli cattolici
appartenenti ai paesi più favoriti Noi domandiamo l'apporto della loro
competenza e della loro attiva partecipazione alle organizzazioni ufficiali o
private, civili o religiose, che si dedicano a vincere le difficoltà delle
nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza alcun dubbio a cuore di essere in
prima linea tra coloro che lavorano a tradurre nei fatti una morale
internazionale di giustizia e di equità.
Cristiani
e credenti
82.
Tutti i cristiani, Nostri fratelli, vorranno, non ne dubitiamo, ampliare il loro
sforzo comune e concertato allo scopo di aiutare il mondo a trionfare
dell'egoismo, dell'orgoglio e delle rivalità, a superare le ambizioni e le
ingiustizie, ad aprire a tutti le vie di una vita più umana, in cui ciascuno
sia amato e aiutato come il fratello dai fratelli. E, ancora commossi al ricordo
dell'indimenticabile incontro di Bombay con i Nostri fratelli non cristiani, di
nuovo Noi li invitiamo a cooperare con tutto il loro cuore e la loro
intelligenza, affinché tutti i figli degli uomini possano condurre una vita
degna dei figli di Dio.
Uomini
di buona volontà
83.
Infine, ci volgiamo verso tutti gli uomini di buona volontà consapevoli che il
cammino della pace passa attraverso lo sviluppo. Delegati presso le istituzioni
internazionali, uomini di stato, pubblicisti, educatori, tutti, ciascuno al
vostro posto, voi siete i costruttori di un mondo nuovo. Supplichiamo Dio
onnipotente di illuminare la vostra intelligenza e di fortificare il vostro
coraggio nel risvegliare l'opinione pubblica e trascinare i popoli. Educatori,
tocca a voi suscitare fin dall'infanzia l'amore per i popoli in preda
all'abbandono. Pubblicisti, vostro è il compito di mettere sotto i nostri occhi
gli sforzi compiuti per promuovere il reciproco aiuto tra i popoli, così come
lo spettacolo delle miserie che gli uomini hanno tendenza a dimenticare per
tranquillizzare la loro coscienza: che i ricchi sappiano almeno che i poveri
sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini.
Uomini
di stato
84.
Uomini di stato, su voi incombe l'obbligo di mobilitare le vostre comunità ai
fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro
accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per
promuovere lo sviluppo e salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni
internazionali, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle
forze ceda il posto alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata
per uno sviluppo solidale dell'umanità: un'umanità nella quale sia dato a
tutti gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura.
Uomini
di pensiero
85.
E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli
uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano
Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini
di buona volontà. Sull'esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente:
«Cercate e troverete» (Lc 11,9), aprite le vie che conducono, attraverso
l'aiuto vicendevole, l'approfondimento del sapere, l'allargamento del cuore, a
una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale.
Tutti
all'opera
86.
Voi tutti che avete inteso l'appello dei popoli sofferenti, voi tutti che
lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che
non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l'economia al servizio
dell'uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità
e segno della Provvidenza.
87.
Di gran cuore vi benediciamo, e chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà ad
unirsi fraternamente a voi. Perché, se lo sviluppo è il nuovo nome della pace,
chi non vorrebbe cooperarvi con tutte le sue forze? Sì, tutti: Noi vi invitiamo
a rispondere al Nostro grido d'angoscia, nel nome del Signore.
Roma,
presso San Pietro, il 26 marzo, solennità della risurrezione di nostro Signore
Gesù Cristo, dell'anno 1967, IV del Nostro pontificato.
PAOLO
PP. VI
NOTE
(2)
Cf. Acta Leonis XIII, XI (1892), pp. 97-148; EE 3.
(3)
Cf. AAS 23(1931), pp. 177-228; EE 5/583-730.
(4)
Cf. e.g. Nuntius radiophonicus, datus die 1 mensis iunii anno 1941,
quinquagesimo exeunte anno a Litteris Encyclicis Rerum novarum a Leone
XIII datis: AAS 33(1941), pp. 195-205; EE 6/app.; Nuntius
radiophonicus, datus pridie Nativ. D.N.I.C. anno 1942: AAS 35(1943),
pp. 9-24; Allocutio catholicae Sodalitati Operariorum Italicorum, ob
commemorationem Litt. Enc. Rerum novarum congressae, habita die 14 mensis
Maii anno 1953: AAS 45(1953), pp. 402-408.
(5)
Cf. AAS 53(1961), pp. 401-464; EE 7/222-481.
(6)
Cf. AAS 55(1963), pp. 257-304; EE 7/541-712.
(7)
Cf. Litt. enc. Mater et Magistra: AAS 53(1961), p. 440; EE
7/378.
(8)
Cf. Const. part. Gaudium et spes de Ecclesia in mundo huius temporis, n.
63: AAS 58(1966), p. 1084; EV 1/1537.
(9)
Litt. apost. motu proprio datae Catholicam Christi Ecclesiam: AAS
59 (1967), p. 27; EV 2/959.
(10)
Cf. LEO XIII, Litt. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, XI (1892), p.
98; EE 3.
(11)
CONC. VAT. II. Const. past. Gaudium et spes, n. 63: AAS 58(1966).
p. 1085; EV 1/1535.
(12)
CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 3: AAS 58(1966),
p. 1026; EV 1/1323.
(13)
Cf. LEO XIII, Litt. enc. Immortale Dei: Acta Leonis XIII, V (1885), p.
127; EE 3.
(14)
Gaudium et spes, n. 4: AAS 58(1966), p. 1027; EV 1/1324.
(15)
Cf. L.J. LEBRET OP, Dynamique concrète du développement, Économie et
Humanisme, Les éditions ouvrières, Paris 1961, p. 28.
(16)
Cf. e.g. J. MARITAIN, Les conditions spirituelles du progrès et de la paix,
in libro qui inscribitur Rencontre des cultures à l'UNESCO sous le signe du
Concile oecuménique Vatican II, Mame, Paris 1966, p. 66.
(17)
CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 69: AAS 58(1966),
p 1090; EV 1/1551.
(18)
De Nabuthe, c.12, n. 53: PL 14, 747. Cf. J.R. PALANQUE, Saint
Ambroise et l'empire romain, De Boccard, Paris 1933, pp. 336ss.
(19)
Cf. Cardinalis a publicis Ecclesiae negotiis Epistola ad catholicos viros
socialis vitae studia in urbe vulgo Brest celebrantes, in libro qui inscribitur L'homme
et la révolution urbaine, Chronique sociale, Lyon 1965, pp. 8-9.
(20)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 71: AAS
58(1966), p. 1093; EV 1/1557-1559.
(21)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 65: AAS
58(1966), p. 1086; EV 1/1541.
(22)
Litt. enc. Quadragesimo anno: AAS 23(1931), p. 212; EE
5/692.
(23)
Cf. e.g. COLIN CLARK. The conditions of economic progress, III ed.,
McMillan & Co. (London). St. Martin's Press (New York), 1960, pp. 3-6.
(24)
Cf. Cardinalis a publicis Ecclesiae negotiis Epistula ad catholicos viros
socialis vitae studia Lugduni celebrantes, in libro qui inscribitur Le
travail et les travailleurs dans la société contemporaine,
Chronique sociale, Lyon 1965, p. 6.
(25)
Cf. e.g. M.D. CHENU OP, Pour une théologie du travail, Éditions du
Seuil, Paris 1955.
(26)
Litt. enc. Mater et Magistra: AAS 53(1961), p. 423; EE
7/312.
(27)
Cf. e.g. O. VON NELL-BREUNING SI, Wirtschaft und Gesellschaft, vol. 1:
Grundfragen, Herder, Freiburg 1956, pp. 183-184.
(28)
Cf. e.g. Emmanuelis LARRAIN ERRAZURIS, Episcopi Talcensis in Chilia, Praesidis
Consilii compendiariis litteris CELAM appellati, Pastorales Litterae de
civili progressu et de pace, Pax Christi, Parisiis 1965.
(29)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 26: AAS
58(1966). p. 1046; EV 1/1402.
(30)
IOANNES XXIII, Litt. enc. Mater et Magistra: AAS 53( 1961), p.
414; EE: 7/274.
(31)
Cf. Diarium quod inscribitur L'Osservatore romano, die 11 mensis
Septembris anno 1965, vel commentarium La Documentation catholique, t.
62, Paris 1965, pp, 1674-1675.
(32)
CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 52: AAS 58(1966),
p. 1073; EV 1/1486.
(33)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, nn. 50-51 cum
adnotatione n.14: AAS 58(1966), pp. 1070-1073; EV 1/1478-1484. Cf.
etiam n. 87: p. 1110; EV 1/1625-1627.
(34)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 15: AAS
58(1966), p. 1036; EV 1/1367.
(35)
Gaudium et spes, n. 57: AAS 58(1966), p. 1078; EV 1/1507.
(36)
Gaudium et spes, n. 19: AAS 58(1966), p. 1039; EV 1/1374.
(37)
Cf. e.g. J. MARITAIN, L'humanisme intégral, Aubier, Paris 1936.
(38)
Cf. H. DE LUBAC SI, Le drame de l'humanisme athée, III éd., Spes, Paris
1945, p. 10.
(39)
Cf. Pensées, éd. Brunschvicg, n. 434; cf. Maurice ZUNDEL, L'homme
passe l'homme, Éditions du lien, Le Caire 1944.
(40)
Cf. Allocutio ad viros e variis religiosis Communitatibus
non-christianis, habita die 3 mensis Decembris anno 1964: AAS 57(1965),
p. 132.
(41)
Cf. IOANNES XXIII, Litt. enc. Mater et Magistra: AAS 53(1961), p.
440ss; EE 7/378ss.
(42)
Cf. Nuntius radiophonicus, datus pridie Nativ. D.N.I.C. anno 1963: AAS
56(1964), pp. 57-58.
(43)
Cf. Encicliche e discorsi di Paolo VI, vol. IX, ed. Paoline, Roma 1966,
pp. 132-136.
(44)
CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 86: AAS 58(1966),
p. 1109; EV 1/1620.
(45)
Nuntius ad homines universos datus astantibus diurnariis scriptoribus,
die 4 mensis Decembris 1964: AAS 57(1965), p. 135.
(46)
Cf. AAS 56(1964), p. 639ss; EE 7/776ss.
(47)
Cf. Acta Leonis XIII, XI (1892), p. 131; EE 3.
(48)
Cf. LEO XIII, Litt. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, XI (1892), p.
98; EE 3.
(49)
Cf. CONC. VAT. II, Const. past. Gaudium et spes, n. 85: AAS
58(1966). p. 1108; EV 1/1616.
(50)
Cf. Litt. enc. Fidei donum: AAS 49(1957), p. 246; EE
6/1337.
(51)
Cf. IOANNES XXIII, Allocutio habita die 10 mensis Maii anno 1963, cum
praemio a Balzanio nuncupato donaretur: AAS 55(1963), p. 455.
(52)
AAS 57(1965), p. 896; EV 1/407*.
(53)
Cf. IOANNES XXIII, Litt. enc. Pacem in terris: AAS 55(1963), p.
301; EE 7/702s.
(54)
AAS 57(1965), p. 880; EV 1/381*.
(55)
Cf. CONC. VAT. II, Const. dogm. Lumen gentium de Ecclesia, n. 13; AAS
57(1965), p. 17; EV 1/318-321.
(56) Cf. CONC. VAT.
II, Decr. Apostolicam actuositatem de apostolatu laicorum, nn. 7,13 et
24: AAS 58(1966), pp. 843, 849 et 856; EV 1/941.962-964.1001-1007.