Armi italiane per Cina e Indonesia?
Il Consiglio dei Ministri ha approvato due disegni di legge di ratifica di accordi di cooperazione militare con Indonesia e Cina. Si tratta di intese sottoscritte al tempo dei Governi di centrosinistra e risalgono, rispettivamente, al 1997 e al 1999.
I due provvedimenti sono ora all’esame della Camera dei Deputati e non mancheranno di suscitare un caso politico. Infatti, il centro-sinistra, che all’epoca sottoscrisse gli accordi con governi liberticidi, difficilmente potrà sottrarsi dal dare un voto favorevole oggi che si trova all’opposizione.
Ricordiamo che l’allora Ministro della Difesa, Andreatta, andò in Indonesia in visita ufficiale accompagnato dai vertici delle principali industrie militari. Durante tale missione fu firmata dal Ministro e dal suo omologo asiatico l’intesa finalizzata a incrementare la cooperazione nel settore della logistica e dell’industria della difesa. Fra le forme di cooperazione c’è anche quella relativa all’esportazione a terzi di impianti per la difesa. Durante la visita due navi militari italiane sostarono nel porto di Jakarta per esi bire il meglio della tecnologia bellica italiana, alla presenza delle autorità del Paese asiatico. Si è trattato, quindi, di un tour promozionale dell’industria bellica made in Italy.
All’epoca tale intesa suscitò molti mal di pancia fra i parlamentari dell’Ulivo. Deputati della maggioranza presentarono una risoluzione alla Camera per rafforzare il divieto, previsto dalla legge 185 che regolamenta il commercio delle armi, a vendere armi ai Paesi che violano i diritti umani. È da tenere presente che fino al 1999 l’Indonesia, in spregio del diritto internazionale, ha occupato Timor est. Il regime di occupazione è stato durissimo e ha comportato innumerevoli lutti nella popolazione civile timorese. Tali proteste hanno indotto a bloccare l’iter di ratifica del provvedimento, ma oggi, si afferma nell’illustrazione del disegno di legge, “che si è avuto un positivo sviluppo delle istituzioni democratiche indonesiane e che l’indipendenza di Timor est si è pienamente realizzata, si ritiene che si siano ristabilite le condizioni politiche affinché possa essere avviato l’iter di ratifica”.
L’indicazione rassicurante del Governo non è però condivisa. Amnesty International ha denunciato nel rapporto annuale del 2003 che “nelle province di Aceh e Irian Jaya la situazione dei diritti umani è rimasta grave, con centinaia di testimonianze di casi di esecuzioni extragiudiziali (cioè politiche), sparizioni, torture e arresti illegali. Il clima d’impunità si è rafforzato dopo che il Tribunale per i diritti umani di Timor est, creato ad hoc, non è riuscito a giudicare in modo soddisfacente i gravi crimini, tra cui crimini contro l’umanità, commessi nel 1999, a Timor est”. Inoltre il generale Wiranto è candidato alle prossime elezioni presidenziali di luglio e la giustizia di Timor est lo vorrebbe processare per i crimini verificatisi nell’ex colonia portoghese.
L’Accordo con la Cina, che reitera quello precedente del 1989 e scaduto nel 1999, rinnovato poco prima dell’eccidio di piazza Tiennamen, “ha lo scopo di sviluppare la cooperazione bilaterale fra le rispettive Forze armate nel campo della tecnologia e degli equipaggiamenti militari”. Nei confronti di Pechino è in vigore un embargo dell’Unione Europea scaturito dal massacro predetto che alcuni Paesi europei vorrebbero eliminare, per conquistare importanti fette dell’appetitoso mercato cinese. Tale embargo è stato interpretato dall’Italia nel senso di vietare le vendite di armi utilizzabili in “attività repressive e di limitazione dei diritti umani”.
È da sottolineare che la presidenza italiana dell’UE si è attivata, insieme a Francia e Germania, per porre fine all’embargo, tuttora in vigore. Anche Prodi si è espresso in tal senso. Ricordiamo che il colosso asiatico occupa il Tibet da più di 50 anni e, come denuncia Amnesty International, “permangono gravi violazioni dei diritti umani e sotto certi punti di vista la situazione è peggiorata. Decine di migliaia di persone continuano a essere detenute arbitrariamente”. Inoltre Pechino è ai vertici della classifica delle condanne a morte eseguite. Ad ogni modo le vendite di armi italiane continuano: nel solo 2003 sono stati autorizzati nuovi contratti per un ammontare di 127 milioni di euro.
Il disegno di legge di ratifica ha suscitato perplessità anche in esponenti della maggioranza e lo stesso Sottosegretario agli Esteri, Mantica, ha sottolineato alla Camera “la difficoltà di distinguere con esattezza quali armi possano essere utilizzate ai fini repressivi interni”.
È auspicabile, quindi, il voto negativo in Parlamento ai due provvedimenti da parte di tutto il centrosinistra per rafforzare il controllo degli armamenti e la riconversione dell’industria bellica verso produzioni civili, altrimenti si rischia una frattura definitiva con il popolo della pace.