Le guerre senza riflettori, chi ha straziato l'Algeria?
Questa rubrica si apre dall’Algeria, durante una missione di verifica e programmazione di progetti e interventi. La Caritas si occupa, nel paese nordafricano, di promozione della donna, formazione di formatori, assistenza ad anziani, disabili e minori, sostegno ai rifugiati saharawi, sviluppo agricolo e aiuto nelle situazioni di emergenza. Stupisce come una piccola comunità cristiana, prevalentemente straniera, abbia potuto inserirsi in modo discreto e rispettoso nel contesto sociale algerino, tanto da essere a sua volta rispettata e ben integrata anche negli interventi più delicati, come quelli a favore delle vittime della violenza o quelli a livello culturale.
E in Algeria le esperienze (anche tragiche) di violenze e di tensioni tra culture diverse certo non mancano.
Morti a migliaia. Torture e amputazioni. Attacchi terroristici ed eliminazioni sommarie di fondamentalisti, che continuano ancora oggi. In Algeria si è combattuto e si combatte una guerra intra-statale, con connessioni e cause inter-statali.
Basti pensare alle migliaia di combattenti volontari algerini inviati in Afghanistan (col benestare occidentale) per condurre la Jihad contro l’Urss negli anni ’80, che tornati in patria avevano cominciato a destabilizzare ilpaese già prima delle elezioni del ’91 vinte dal Fis (Fronte islamico di salvezza) e poi annullate. L’ondata di violenze si è poi ingigantita, sino alla fine degli anni ’90, e non può essere considerata a prescindere dalle conseguenze sociali (sulla classe media e sui ceti più deboli) del piano di aggiustamento strutturale “suggerito” all’Algeria dal Fondo monetario internazionale e fortemente voluto dal governo guidato da Zeroual nel ’96. L’impoverimento crescente di vasti strati della popolazione; la concentrazione delle ricchezze provenienti dalla vendita (all’occidente) di gas naturale, petrolio e ferro nelle mani di pochi (sempre meno numerosi); il progressivo smantellamento dello stato sociale; l’aumento della disoccupazione e la mancanza di alloggi: fattori che non possono essere ottusamente disgiunti dal reclutamento di forze da parte del Gia (Gruppo islamico armato) e del Fis. Il massacro di 300 persone, barbaramente sgozzate e trucidate in una piccola località a sud di Algeri, considerato l’atto più violento perpetrato dai guerriglieri islamici dopo l’annullamento delle elezioni del’91, non a caso avvenne proprio nell’agosto ‘97, pochi mesi dopo le decisioni governative conformi al volere dell’Fmi.
Quello algerino è uno dei 26 conflitti dimenticati che ancora oggi causano milioni di morti innocenti lungo le periferie del nostro pianeta. È un esempio delle contraddizioni di cui si occuperà questa rubrica. Che tenterà di leggere tra le righe della propaganda e dell’ideologia che ammantano molte situazioni di guerra. E affronterà alcuni temi trasversali ai diversi scenari di conflitto, giovandosi delle conoscenze messe a fuoco dalla redazione che ha curato lo studio Conflitti dimenticati, pubblicato a cura di Caritas Italiana per i tipi di Feltrinelli nel 2002. La redazione è stata di recente riconvocata, allo scopo di aggiornare lo studio, arricchirlo e dare vita a una nuova edizione. I lettori di ItaliaCaritas potranno fruire degli esiti di tale lavoro mentre esso andrà sviluppandosi. Un’occasione per conoscere realtà troppo spesso ignorate, benché non prive di legami con la nostra politica, le nostre economie, i nostri stili di vita.