Pad e Pradeep, vittime innocenti di una guerra che non si arresta
Sono saltati su una mina il 10 aprile. Lavoravano per i minori in difficoltà con Caritas Jaffna: morti per una violenza che continua a dilaniare lo Sri Lanka
Si chiamavano Pathmanathan Shanmugaratnam e Salvendra Pradeepkumar, 55 anni e due figli il primo, 29 anni il secondo. Per tutti, negli uffici di Hudec - Caritas Jaffna, erano, semplicemente, Pad e Pradeep. Sono morti la mattina del 10 aprile, ammazzati da una mina di tipo claymore, indirizzata a una camionetta dell’esercito srilankese. Andavano in auto a Kilinochchi, nella uncleared zone, l’area controllata dalle forze ribelli dell’Ltte (le cosiddette Tigri Tamil), un territorio devastato da venti anni di guerra civile e duramente colpito dallo tsunami del dicembre 2004. In quella zona si trovano alcune delle strutture d’accoglienza per orfani e minori in difficoltà seguite dal “Children Programme”, il programma per il quale lavoravano i due operatori di Caritas Jaffna, supportato anche da Caritas Italiana e da alcune Caritas diocesane e delegazioni regionali d’Italia.
Chi ha collocato e azionato la mina, ovviamente, non ha nome né volto: l’attentato non è stato rivendicato, come quasi sempre accade da trent’anni. Ma che dietro questa ennesima tragedia srilankese vi possano essere le Tigri è decisamente più di un sospetto: Tamilnet, la velina dell’Ltte, ricostruendo l’episodio ha provato ad addossare una parte di responsabilità all’imperizia del conducente, “accusato” di aver tentato il sorpasso del convoglio militare proprio nel momento in cui è stata azionata la mina, una mossa che nella uncleared zone non si deve mai fare.
E, infatti, non c’è stato alcun sorpasso, come ha chiarito prontamente il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari: il veicolo di Hudec, vessillo dell’organizzazione ben in vista, procedeva in senso contrario sulla A9, la strada principale, percorsa ogni giorno da tutti i convogli umanitari.
Sangue nonostante i negoziati
Con Pad e Pradeep sono stati ammazzati anche cinque soldati dell’esercito srilankese, obiettivo della mina. Feriti, invece, il conducente dell’auto (che ha perso un occhio) e l’altro operatore di Caritas Jaffna. Altre sette vittime di una striscia di sangue che non accenna ad arrestarsi, nonostante il cessate il fuoco stipulato nel 2002 e i negoziati attualmente in corso: sono circa 65 mila le vittime dall’inizio del conflitto, oltre duecento da gennaio all’11 aprile, quando a Trincomalee un ordigno a frammentazione ha fatto saltare un autobus della marina militare srilankese, uccidendo dodici persone e ferendone otto.
Ma Pad e Preedep erano due tamil, operatori di un’organizzazione locale che da vent’anni opera sia nella zona in mano alle Tigri che in quella controllata dal governo, senza essere mai stata coinvolta in incidenti legati al conflitto. Un elemento che ha sconvolto lo staff della Caritas diocesana e ha scosso anche una città come Jaffna, assuefatta alla violenza da decenni di guerra.
Ferme le parole di condanna del vescovo, Thomas Savundaranayagam, durante i funerali: «Invito tutti a riflettere, anche chi crede in certe forme di lotta, perché questa tragedia, più di altre, è rivolta contro il popolo Tamil». Dello stesso tenore la presa di posizione del segretario generale di Caritas Internationalis, Duncan MacLaren: «Anche in zone di conflitto l’uccisione di esseri umani non è mai accettabile; quando a morire sono civili innocenti impegnati nella ricostruzione di un paese devastato dalla guerra, ci troviamo di fronte a un vero e proprio oltraggio all’umanità».
Ma soprattutto conta la reazione della città: per quanto scossa, si è unita attorno alle famiglie delle vittime e a Hudec - Caritas Jaffna. Ai funerali hanno partecipato tantissime organizzazioni della società civile del distretto, i bambini e gli educatori delle strutture d’accoglienza in cui erano impegnati i due operatori e moltissimi cittadini. Segni di speranza, ai bordi di una tragedia.