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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Diritti umani, l’ora del cattivo Consiglio

Alberto Bobbio
Fonte: "Italia Caritas" maggio 2006

È stato approvato da tutti i paesi del mondo meno quattro (tra cui Usa e Israele). Ma non è un grande affare: il nuovo organismo Onu è farraginoso come la vecchia Commissione. Servirà solo a lavare le coscienze?


L’ultimo pasticcio si chiama Consiglio Onu per i diritti umani. È stato appoggiato dai premi Nobel e dalle ong, ma farne una rappresentazione buonista non serve. L’idea di un’entità sopranazionale per vigilare sui diritti umani è ottima, però non basta. Occorre che cammini e risulti efficace. Proprio quello che il nuovo Consiglio non è. Finora a occuparsi di diritti umani c’era la vecchia Commissione, con sede a Ginevra. Era discreditata soprattutto dopo che, di recente, alla sua presidenza era stato eletto il rappresentante della Libia, paese campione del rispetto dei diritti umani… Da qualche tempo, su sollecitazione di 160 ong, si discuteva della possibilità di superare la Commissione con uno strumento più agile e ristretto, in grado di reagire con rapidità ed efficacia alle violazioni dei diritti umani nelle diverse parti del mondo. La costituzione del nuovo Consiglio è stata approvata da tutti i paesi membri dell’Onu, eccetto isole Palau, isole Marshall, Israele e Stati Uniti. Così si è gridato insieme alla vittoria e allo scandalo.

Ma cos’è il Consiglio? Una cosetta simile alla vecchia Commissione. Sarà composto da 47 membri invece di 53. Si riunirà almeno tre volte all’anno. Potrà fare studi, indagini, inchieste, ma non avrà poteri decisionali. Per qualsiasi decisione, secondo statuto, occorre la maggioranza dei due terzi; essendo la maggior parte dei membri dell’Onu paesi deficitari, per varie ragioni, in tema di diritti umani, è evidente che il Consiglio è solo uno dei tanti modi per ripulirsi pubblicamente la coscienza.

Gli Stati Uniti chiedevano maggiore potere per il Consiglio, ben sapendo che il livello di compromessi bilanciati sui quali si regge qualsiasi decisione che si prende alle Nazioni Unite avrebbe impedito di arrivare a tanto. La posizione Usa è schizofrenica: vanno in giro per il mondo a imporre democrazia in punta di fucile, ma consentono l’esistenza di Abu Ghraib e Guantanamo. Non si sono quindi dati da fare per cercare ulteriori mediazioni. Forse a Washington bastava che la vecchia Commissione saltasse al più presto, per evitare che prendesse in esame il Rapporto su Guantanamo, assai pesante per l’amministrazione americana.

Arnesi imbarazzanti
Chi siederà nel nuovo consiglio? I membri verranno eletti dall’Assemblea generale a maggioranza assoluta. Ma non è certo che si riesca a tener fuori, per esempio, Sudan, Iran o Cuba. E poi chi avrà il coraggio di analizzare i casi di Cina, Russia o Turchia, insomma di occuparsi davvero di sanzionare chi non rispetta i diritti umani?

Nell’ultimo decennio si è pensato che le sanzioni dovessero essere di tipo giudiziario, quando il mancato rispetto dei diritti umani sfociava nelle tragedie dei genocidi. Si è inventato prima il Tribunale penale dell’Aja per la ex Jugoslavia e poi quello di Arusha per il Ruanda e quello della Sierra Leone per giudicare i criminali, ma in realtà anche i sistemi politici. Eppure, anche in questi casi, le regole previste hanno bloccato qualsiasi possibilità di ricostruire memorie giudiziarie e punire i colpevoli. È sufficiente, per la scena mediatica e per la politica scellerata delle consegne in cambio di silenzio, rifilare ai tribunali ogni tanto qualche vecchio arnese che imbarazza. È accaduto per Milosevic, per il generale croato Gotovina, recentemente per Taylor, macellaio della Liberia, arrestato in Nigeria e spedito in Sierra Leone. Ma quella dei diritti umani rischia di essere una battaglia persa, se viene isolata dal contesto della giustizia economica e sociale, della costruzione della pace, della questione delle armi.


articolo tratto da IC logo


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