Achille va alla rivoluzione: la forza signora della storia
In passato le fasi rivoluzionarie coinvolgevano singoli paesi. L’attuale riguarda tutto il mondo. La decisione unilaterale Usa di attaccare l’Iraq ha aperto un’era anti-Onu. Ispirata dai “new conservative”:Nuovo Ordine o inizio della rovina?
Da qui comincia la novella istoria. Così Carducci fa parlare Goethe, all’indomani della fatale giornata di Valmy, il 20 settembre 1792. Con la Rivoluzione francese, morivano ancien régime ed Europa cristiane. Aveva inizio un’era nuova, il nostro mondo contemporaneo. Quello della società di massa e della democrazia, che forse si sta chiudendo proprio in questo tormentato inizio di XXI secolo. Per dar luogo al mondo globalizzato, postmoderno e postdemocratico.
Il nuovo mondo. Proprio così, alla Vespucci e alla Dvo¡rák, l’amico Massimo Teodori ha intitolato un suo denso e incisivo fondo sul Giornale del 30 marzo. Egli qualificava in tal modo l’era nuova aperta dalla decisione unilaterale del governo statunitense di attaccare l’Iraq sulla base della risoluzione 1441 dell’Onu, senza attendere tuttavia una rinnovata delibera del Consiglio di sicurezza. Secondo Teodori, la mossa unilaterale degli Usa e dei loro alleati ha denunziato “la crisi d’impotenza delle Nazioni Unite”, determinata da “l’anacronismo del diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza secondo le regole stabilite 58 anni fa”. Regole ch’erano state pensate e che più o meno avevano funzionato per il sistema fondato a Yalta, quindi per la convivenza bipolare delle sue superpotenze, Usa e Urss.
Regole che, magari, avevano impedito alla “guerra fredda” di divenir calda: e durante il cui dominio la politica statunitense aveva agito secondo norme ispirate alla scuola geopolitica cosiddetta “neorealista” di Kenneth Waltz.
Ma l’età sopravvenuta, quella del mondo egemonizzato dall’unica superpotenza statunitense, richiede a detta degli innovatori americani nuove strategie e nuove regole. Il mondo, in altri termini – qui Teodori ha perfettamente ragione –, sta attraversando in questo momento una caratteristica fase rivoluzionaria: così com’è avvenuto con la rivoluzione inglese alla fine del Seicento e con quelle americana e francese alla fine del Settecento. Solo che ora la portata delle istanze rivoluzionarie, in tempo di globalizzazione, coinvolge tutto il mondo.
Si tratta di un processo rivoluzionario, nel senso tecnico dell’aggettivo. Una rivoluzione è difatti un movimento che mira a instaurare un nuovo e diverso ordine giuridico e politico: a tale scopo, è ovvio che debba affrontare un più o meno lungo momento d’illegalità, fino a quando non riesca a imporre e a far accettare il suo nuovo ordine. Se e quando vi riesce, viene salutata dai posteri come momento fondatore d’una nuova civiltà: il che è accaduto nei casi inglese, americano e francese. Se le rivoluzioni falliscono, vengono dimenticate o coperte d’infamia, come in ultima analisi è accaduto, sia pure in modo articolato, non drammatico e non universale, per la rivoluzione sovietica.
Rivoluzionaria è appunto la tesi di quel gruppo di studiosi, intellettuali, politici e imprenditori (o personaggi che sono al tempo stesso un po’ tutte queste cose) riunitisi negli anni Novanta nel think tank denominato Project for the New American Century (Pnac). Essi vengono ordinariamente definiti new conservative e costituiscono oggi il team dei collaboratori e dei consiglieri del presidente George W. Bush. Il gruppo presenta al suo interno un caratteristico, interessante, affascinante intrico di ragioni innovative politico-strategiche a livello mondiale e di interessi privati e di gruppo. I new conservative partono dalla constatazione che con il crollo della superpotenza sovietica l’assetto mondiale è mutato. Il mondo è però minacciato da un comune nemico, il terrorismo internazionale, la cui punta di diamante sono le cellule musulmane di matrice “fondamentalista” che avrebbero – teorema finora indimostrato – una struttura coerente, gerarchica e centralizzata: quella che di solito si chiama al-Qaida.
L’Onu resa impotente. Deliberatamente
La globalizzazione si è sviluppata nel mondo durante l’ultimo mezzo millennio attraverso il sistema dello “scambio asimmetrico”, che ha consentito all’Occidente di arricchirsi e di progredire gestendo materie prime e forza-lavoro dei quattro quinti dell’umanità e controllando i mercati. Il terrorismo internazionale, profondamente connesso nelle sue cause genetiche agli squilibri socioeconomici che la globalizzazione ha contribuito a provocare, ma che al tempo stesso ha messo in luce, è ora il protagonista di continue “guerre asimmetriche”, che vedono affrontarsi eserciti moderni dotati di armi potentissime contro armate invisibili, silenziose, imprevedibili.
I new conservative ritengono sia diritto e compito degli Stati Uniti determinare chi siano volta per volta i nemici dell’Occidente; definirne caratteristiche e grado di pericolosità; decretare (anche senza il bisogno di perder tempo prezioso nel mettere insieme prove convincenti) se, quando e come sia necessario procedere anche con la forza delle armi, senza consultarsi con nessun alleato, salvo con quelli che sono ritenuti, di volta in volta, i più utili e i più adatti.
In questa prospettiva c’è già, in nuce, una possibile riforma o sostituzione dell’Onu, secondo parametri che la rendano più e meglio funzionale a quelli che, senza ambagi, la classe politica dirigente americana definisce “i diritti e gli interessi degli Stati Uniti”. Rispetto ai quali non si accettano limiti e controlli da parte di nessuno. Secondo i new conservative, inoltre, il “destino manifesto” e l’obiettiva forza militare degli Usa, la loro consapevolezza d’incarnare il migliore e più perfetto sistema democratico al mondo, li pone in condizione di giudicare e li esime dall’essere giudicati. Ciò sottintende il fatto che gli Usa, attualmente e con questo governo, rinnegano la loro disponibilità ad agire di concerto con tutte le nazioni e i popoli del mondo secondo i principi che a suo tempo ispirarono la nascita degli organismi internazionali. Ciò decreta, nella pratica, la fine della credibilità dell’Onu. Il governo americano non ha agito, nei confronti dell’Iraq, unilateralmente in mancanza d’una decisione Onu; ha volontariamente destituito di fatto l’Onu di qualunque credibilità e autorevolezza, dimostrando ch’esso non possiede la forza necessaria a obbligare gli Stati Uniti a rispettare il suo volere. Gli Usa non si sono sostituiti a un’Onu impotente; hanno deliberatamente reso impotente l’Onu, per sostituirsi a essa e gestire il mondo secondo il primario criterio dei loro interessi e della loro volontà.
Lucido teorico di questo nuovo corso è Robert Kagan, il cui libro Power and Weakness sembra portarci indietro di molti secoli, fino a Hobbes e magari prima ancora: al tempo ancestrale in cui la forza si sostituiva al diritto. In realtà, l’apparente arcaismo di Kagan è molto moderno: egli “riscopre” una verità antica, quella di Achille. È la forza che fonda il diritto e lo condiziona. Secondo Kagan, la differenza tra la Sparta statunitense, cresciuta nel segno di Marte, e l’Atene europea, che segue il segno della bellezza e della dolcezza del vivere,il segno di Venere, sta nel fatto che la prima non ha mai rinunziato a pensare la guerra come possibile e applicabile alla realtà politica. Il cammino internazionale fatto dal 1945 a oggi, e teso a impedire che nuove guerre scoppiassero, viene rinnegato e respinto. La nuova sicurezza e lo sviluppo del futuro saranno garantiti dalle armi: che naturalmente legittimeranno anche le scelte di chi le detiene per quanto riguarda economia, finanza, gestione e ripartizione dei beni, sviluppo del pianeta.
La sfida è lanciata. Ed è chiara. I rischi del nuovo corso – provocare anzitutto un “effetto domino” di reazioni – sono non meno chiari. La storia ci dirà se dovremo salutare nei new conservative statunitensi i fondatori del Nuovo Ordine del terzo millennio. O se le loro scelte saranno state l’inizio di un’enorme rovina.