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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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G.Z.

Il dialogo e il martirio

"Il Regno" n. 12 del 1994

Ancora morti in Algeria, dove da circa un anno il sangue si versa ogni giorno, e si susseguono attentati e minacce contro gli stranieri: questa volta, a restare vittime della violenza, sono stati due religiosi francesi, padre Henri Vergés e suor Paul-Hélène Saint-Raymond, assassinati l’8 maggio scorso nella casba di Algeri. La data rappresenta l’anniversario delle prime grandi manifestazioni, represse poi nel sangue, che nel 1945 segnarono l’avvio del risveglio indipendentista nel paese. A poche centinaia di metri di distanza dal luogo del delitto, si era appena conclusa una marcia silenziosa, scarsamente partecipata, all’insegna della «riconciliazione nazionale per il dialogo». E forse non è una semplice coincidenza che la violenza omicida, probabilmente imputabile all’azione di musulmani fondamentalisti, abbia colpito proprio in questo giorno, quasi ad affermare la propria ostilità rispetto a ogni forma di dialogo con il potere.

Padre Henri, marista di 64 anni, in Algeria dal 1969, e Suor Hélène, delle Piccole sorelle dell’Assunzione, 67 anni, nel paese dal 1968, sono stati uccisi dinanzi alla biblioteca da loro gestita, e scelta quale luogo in cui svolgere la propria opera educativa a favore di quella casba così povera e popolosa, a favore di quel popolo algerino di cui si sentivano parte e che non hanno voluto abbandonare, nonostante i rischi crescenti e i ripetuti consigli delle autorità francesi che suggerivano di rientrare in patria. Un servizio, quello della biblioteca, che garantiva l’accesso a sale di lettura in cui poter studiare e consultare testi, a corsi di sostegno e di informatica, di cui in effetti finivano col beneficiare spesso molti giovani delle classi più povere, e soprattutto ragazze.

L’uccisione di p. Henri e sr. Hélène porta a 34 il numero degli stranieri assassinati in Algeria dallo scorso settembre. Ma, nel loro caso, è difficile comprendere se siano stati eliminati principalmente perché francesi o perché religiosi. Sta di fatto che queste morti colpiscono una chiesa, la quale, data la sua condizione di esigua minoranza, non si trova nel paese per fare concorrenza all’islam, ma per vivere, per lo più nel silenzio della parola e nell’eloquenza dell’azione, un’esperienza di condivisione, di prossimità, di dialogo, di rispetto reciproco, di amicizia con la popolazione locale. Questa chiesa, di circa 30.000 anime, suddivisa in quattro diocesi, fa grande affidamento sulle presenze straniere: sono circa 170 i preti, 100 i religiosi non presbiteri, 350 le religiose, alcune centinaia i missionari laici, che provengono dall’estero, tutti per lo più impegnati in incarichi educativi e sociali; ad essi si aggiungono le donne straniere cristiane che hanno sposato degli algerini musulmani. L’incidenza numerica dei cristiani originari dell’Algeria risulta piuttosto modesta.

La scelta di restare, che i religiosi assassinati hanno condiviso con molti altri, esprime quella tenacia e quella fedeltà che trapelano anche dalle parole di mons. Teissier, arcivescovo di Algeri: «Non vogliamo che questo crimine venga utilizzato per mettere in questione la vocazione di questi due religiosi, che è pure quella di tutta la nostra chiesa d’Algeria... Più che mai crediamo che sia indispensabile oggi moltiplicare i luoghi dove cristiani e musulmani collaborino nel riconoscersi e nello stimarsi». Si tratta, peraltro, di una condizione simile a quella di molte comunità cristiane dell’Africa del nord, come ha testimoniato il recente sinodo di vescovi africani a Roma (cf. Regno-att. 10,1994,308).

articolo tratto da Il Regno logo

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