Nell'Europa con l'islam
Le elezioni del 16 novembre. La stanchezza per la violenza, le possibilità di riscatto. Tra islam, tolleranza e legalità.
L'estate scorsa tutto lasciava credere che la guerra civile algerina avesse oltrepassato ogni possibilità di controllo e fosse straripata in Francia. I sanguinosi attentati nel metro a Parigi riportavano indietro con la memoria agli anni tremendi della guerra di liberazione.
Era come se l'Algeria non fosse letteralmente in grado di risolvere i suoi problemi di democrazia e di sviluppo e la Francia fosse ancora, a trenta e più anni dall'indipendenza del suo ex-possedimento, il solo arbitro e garante della sopravvivenza delle sue istituzioni. È stato allora forse che l'Algeria ha avuto l'impennata giusta, anche se nella concitazione del momento ben pochi se ne accorsero. Lo stesso mancato incontro fra Chirac e Zeroual, che era stato fissato a New York, nei corridoi del Palazzo di vetro e che venne annullato all'ultimo istante, fu interpretato più facilmente come uno smacco per il generale, mentre nei fatti la rinuncia di Zeroual a un appuntamento che molti avevano scambiato per un avallo indispensabile anche ai fini elettorali costituì l'avvio della ripresa, per il governo algerino, intanto dell'iniziativa e più in generale dell'autonomia. I passaggi più oscuri, quelli in cui l'Algeria delegava alla Francia la liquidazione di un dirottamento aereo avvenuto sul suo territorio o lasciava al ministro della difesa francese di indagare su un attentato occorso ad Algeri, erano definitivamente alle spalle e tanto bastava perché l'Algeria potesse sentirsi ancora, se non orgogliosa, almeno fiduciosa.
Più Algeria meno Francia
Verosimilmente, questi piccoli passi non sono stati sufficienti di per sé a far trovare al generale Zeroual una via d'uscita alla tragedia algerina. I combattimenti non sono terminati. La calma irreale in cui il 16 novembre si sono svolte le elezioni potrebbe rivelarsi effimera. La spaccatura della società non è stata ricomposta. Le elezioni non hanno portato di colpo la democrazia. Le carenze di identità e di rappresentazione che hanno scatenato e alimentato la rivolta degli islamisti radicali non sono state sanate. Eppure con la decisione da un lato di sottrarre l'Algeria a quel supplemento postumo di dipendenza dalla Francia, con i suoi aiuti interessati e la sua copertura militare, e dall'altro di rivalutare la stessa Algeria, con la sua storia e i suoi progetti nazionali, contro una guerra senza sbocchi e senza confini, Zeroual ha creato le premesse per concludere positivamente la sfida che aveva lanciato non senza temerarietà.
A questo punto non è più così importante stabilire se le percentuali degli elettori che sono andati alle urne il 16 novembre e le schede a favore del candidato Liamine Zeroual siano esattamente quelle comunicate dal regime, e debolmente contestate dall'opposizione, perché l'esito del voto trascende ampiamente il computo dei numeri assumendo un altro significato. Il programma di Zeroual si è ridotto in estrema sintesi a restituire all'Algeria le sue responsabilità e a instillare nella gente, pur disorientata e demoralizzata dagli eccessi di entrambi i contendenti, la convinzione che era lui, il generale-presidente, la risposta più sicura. La scontata vittoria elettorale era solo un mezzo, non un punto d'arrivo: malgrado i ripetuti fallimenti, da ultimo con i tentativi di negoziato finiti malamente nell'ottobre 1994 e ancora nel luglio 1995, l'obiettivo reale era la rivitalizzazione delle procedure necessarie per arrivare alla riconciliazione, magari sfruttando le sconfitte politiche e militari del Fronte per la salvezza islamica (la frammentazione dei gruppi islamici armati, le diserzioni dei militanti) per trattare da una posizione di maggior forza.
Erano troppe le ombre che offuscavano la legittimazione di Zeroual e del regime le continue usurpazioni dell'esercito, il potere ininterrotto del Fronte di liberazione nazionale (FLN) come partito unico dal 1962 al 1989, l'arresto del processo elettorale nel gennaio 1992 per impedire il quasi certo successo del Fronte per la salvezza islamica (FIS) ed è probabile che il presidente sapesse meglio di chiunque altro che tutto non poteva risolversi con un voto più o meno equo e paritario. I militari avevano cominciato a esercitare il potere già da prima dell'indipendenza quando, nella competizione fra i reparti regolari e i combattenti alla macchia, le forze armate avevano fatto valere la loro supremazia e i loro tatticismi esautorando gli "interni".
Nel gioco politico della repubblica era stato ancora l'esercito ad avere l'ultima parola spegnendo sul nascere il tentativo se non democratico almeno predisposto alla partecipazione e al populismo che aveva varato Ben Bella, impostosi a sua volta, nel confronto con i rivali interni, grazie all'aiuto diretto di Boumediène e dell'armata rientrata in Algeria dagli accampamenti in Marocco e Tunisia. Da allora il predominio dell'esercito si era intrecciato strettamente con la supremazia formale e sostanziale del Fronte di liberazione nazionale.
Senonché Zeroual ha avuto l'abilità e la fortuna di sganciarsi dall'esercito che lo voleva tenere in ostaggio e insieme dall'apparato del FLN, passato per suo conto all'opposizione e sull'orlo dello scioglimento, prendendo di fatto le distanze anche dall'atto abusivo che, accettando di "dimettersi", Chadli Bendjedid, generale e uomo FLN, non aveva saputo o voluto impedire contro il FIS. Per alcuni anni il FIS aveva raccolto un indubbio consenso. Gli islamisti potevano presentarsi come vittime. La guerra dei Gia era extralegale ma non c'era vera legalità nemmeno al vertice dello stato. Le regole fissate dalla Costituzione del 1989 erano state infrante spudoratamente: la motivazione della vittoria del FIS non convinceva le masse, per le quali lo status quo equivaleva a veder perpetuate la propria frustrazione ela corruzione dei potenti, e probabilmente erodeva per la prima volta anche la sicurezza dell'esercito. Il richiamo all'Islam, dal programma di Ben Badis negli anni '30 in poi ("l'Islam è la mia fede, l'arabo è la mia lingua, l'Algeria è la mia patria"), non è estraneo alla cultura politica dell'Algeria e solo la sua presenza l'ha messa in condizione di resistere all'alienazione fatta presagire dalla francesizzazione o, in tempi più vicini a noi, dalla modernizzazione tutta appiattita sul modello proposto dall'Occidente. Non per niente si è scritto che se il FIS dovesse prendere il potere, il dispositivo legislativo della repubblica islamica sarebbe già pronto: le leggi votate dall'Assemblea nazionale in tutti questi anni prima del 1988.
Ammazzare stanca
Alla lunga però l'azione dei gruppi armati non poteva vincere, sia perché non si può continuare a uccidere orrendamente invocando il nome di Dio, sia perché l'Islam aveva cessato di essere un principio di identità, in fondo eminentemente nazionale (e paradossalmente laico), ed era diventato un fondamentalismo puramente distruttivo, un'ideologia intollerante ed esclusiva per governare lo stato.
La consultazione del 16 novembre è arrivata al momento giusto. Il popolo algerino era abbastanza stanco da non credere più alla catarsi della lotta armata, ma non abbastanza disperato da aver smesso di credere nella possibilità di un riscatto. Il parziale sollievo concesso dal Fondo monetario internazionale rinegoziando l'enorme debito estero di Algeri aveva permesso al governo di alleggerire un po' i costi sociali della repressione. Invece delle belle manifestazioni di massa che fra tante difficoltà si sono svolte in questi anni ad Algeri o in Cabilia, questa volta si doveva andare a votare e la maggioranza era disposta a raccogliere la consegna. Il "fronte dei tre fronti", quello della piattaforma di Roma, è stato costretto in un certo senso dalla sua stessa strategia a praticare la non-collaborazione e FLN, FIS e FFS di Ait Ahmed non hanno potuto cogliere nessuna occasione. Il "partito dell'astensione" all'improvviso si era dissolto, avendo perduto i suoi referenti. Contro tutte le previsioni, il solo "voto utile" rispetto a un candidato islamico, Mahfoud Nannah, che, benché con toni moderati, rappresentava l'anti-stato, e a un candidato, Sais Sadi, che appariva innanzitutto come il portavoce della componente berbera era quello per Zeroual e Zeroual ne ha approfittato non per stravincere ma per vincere. L'importante era andare oltre l'inerzia del colpo di stato bianco del 1992 e la falsa stabilità che secondo i suoi artefici doveva derivarne.
Ora è tutto pronto perché Zeroual raccolga l'eredità del FLN un'idea e una prassi con una base più o meno consapevole e organizzata e nessun dirigente evitando però di farne un involucro per restaurare un "regime". Nell'ipotesi peggiore, è il trasformismo, utile al più per vincere le elezioni amministrative e parlamentari che dovrebbero tenersi "appena possibile". Se però il presidente Zeroual vorrà essere coerente con la sua stessa analisi e fosse intenzionato a rispondere alle aspettative profonde del popolo e della nazione, colmando finalmente tutti i divari sociali, culturali e psicologici fra élites e masse, potrebbe essere un inizio per riprendere la politica "inclusiva" che lo stesso Zeroual ha dato l'impressione di prediligere a confronto della guerra per la guerra che gli volevano far combattere e in parte gli hanno fatto combattere, con metodi quasi altrettanto atroci di quelli impiegati dal terrorismo gli "sradicatori".
L'altra sponda del Mediterraneo
Oltre che da una sanzione elettorale che per le circostanze eccezionali in cui è avvenuta non va sopravvalutata, ma che ha interrotto la spirale dell'"illegalità", qualche aiuto può venire a Zeroual e all'Algeria anche dalla congiuntura internazionale.
L'Algeria è un fattore indispensabile di quel dialogo fra le due sponde del Mediterraneo che l'Europa sembra risoluta ad avviare, sottraendosi all'attrazione "fatale" del nord, verso cui l'indirizzano quasi automaticamente gli stati che per ultimi hanno aderito alla Comunità. Il Marocco di Hassan è molto promettente e collaborativo ma, se arriva all'incontro con l'Europa isolato nel Maghreb, rischia di subirne contraccolpi insopportabili per una monarchia che ha fatto fin troppi miracoli. L'Egitto è un partner di spicco, ma è fuori dalla portata dell'Unione europea. L'Europa sarebbe meglio dire la Francia non può fare a meno dell'Algeria. Anche per questo, visto che la trama principale della politica internazionale che ha l'Africa come posta è quella che contrappone fra di loro Stati Uniti e Francia, si era pensato e sussurrato, che gli americani avessero scelto gli islamisti, puntando se non su una guerra tanto feroce, almeno sull'indebolimento che l'alternativa radicale recherebbe a un "ordine" ritenuto comunque caro e fedele a Parigi.
Gli sviluppi in tutto il mondo arabo avrebbero indotto gli Stati Uniti a essere più cauti. La "minaccia" islamica ha sfiorato persino l'Arabia Saudita: le garanzie dei suoi inesauribili pozzi, con annessi effetti calmieranti sui prezzi del petrolio a livello mondiale, è un punto non negoziabile. Un'Algeria iranizzata o sudanizzata sarebbe decisamente troppo anche per gli Stati Uniti. Meglio, molto meglio, venire a patti con la Francia: il nuovo presidente Chirac, del resto, ha ben meritato su altri scacchieri.
Naturalmente nessuna delega a forze esterne può ovviare all'attuazione di un "patto" che deve innanzitutto rinnovare il senso dell'appartenenza nazionale, come è richiesto dalla situazione algerina, turbata all'estremo dalle crisi che si sono succedute dal 1988 in avanti, per poter poi affrontare con più autorità i pesanti problemi di progresso, di libertà e di giustizia. Così come non avrebbe senso, dopo aver confidato nelle elezioni, ripristinare il primato dei militari sul politico, cedendo a una tradizione che l'Algeria ha finito sempre per scontare rovinosamente. Zeroual deve solo provare che ciò che ha detto con solennità il 17 novembre, l'indomani del risultato elettorale a lui nettamente favorevole, e cioè di voler essere il "presidente di tutti gli algerini", non è una dichiarazione retorica ma un impegno politico.