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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Debolezza come missione

"Il Regno" n. 8 del 1996

Le elezioni presidenziali del 16 novembre hanno segnato una tappa importante e insperata per i nostri vicini come per tutto il paese. Questa larga partecipazione al voto è stata innanzitutto una parola libera e coraggiosa di tutto un popolo: rifiuto pacifico della violenza da qualsiasi parte provenga, desiderio maggioritario di avanzare verso una vera democrazia attraverso nuove vie; testimonianza sotto i nostri occhi di un'identità algerina che cerca se stessa e matura, in particolare rispetto all'islam. Non è forse questo un primo passo, fragile ma reale, verso un avvenire riconciliato di giustizia e pace per tutti? La nostra presenza laboriosa e la nostra preghiera silenziosa vogliono essere un accompagnamento nella prova, che continua, come nella speranza.

Sono riflessioni tratte dal bollettino del monastero di Nôtre Dame de l'Atlas presso il quale abitavano i sette monaci trappisti rapiti nella notte tra il 26 e il 27 marzo scorso dal Gruppo armato islamico (GIA), il braccio armato del Fronte islamico di salvezza (FIS). Il monastero si trova a Tibhirine, vicino alla città di Lemdiyya (Médéa), a ottanta chilometri a sud-ovest di Algeri. Arroccato in cima alle montagne esso segna il confine tra la zona d'influenza dell'esercito nazionale a quella dei guerriglieri islamici che di Lemdiyya volevano fare la capitale del proprio "governo del califfato".

Proprio lo scontro militare che a fine marzo ha visto un'imponente offensiva dell'esercito sulle montagne roccaforti del GIA potrebbe essere all'origine del rapimento dei monaci: in particolare la necessità di avere un medico che curasse i guerriglieri feriti. Fratel Luc Dochier – 82 anni – è infatti un medico rinomato nella zona e fu rapito già ai tempi della guerra d'Algeria per curare i combattenti per l'indipendenza; i guerriglieri sarebbero venuti al monastero nel cuore della notte, ma di fronte al rifiuto del padre guardiano di svegliare fratel Luc, essi avrebbero ripiegato rapendo sette dei nove monaci presenti al monastero: una sorta di soluzione imprevista e anche frettolosa perché da un lato "se avessero voluto ucciderli, l'avrebbero fatto sul posto" ha dichiarato mons. H. Claverie, vescovo di Orano; dall'altro non sembravano preoccupati di sapere se nel monastero vi fossero altre persone: gli altri due monaci e una decina di sacerdoti di passaggio.

Le speranze di ritrovare vivi i frati sono legate al particolare stile che il monastero ha sempre mantenuto nei suoi rapporti con la popolazione e con l'islam in particolare. Fondato nel 1934 da un gruppo di monaci sloveni, esso si occupa assieme alla popolazione locale di una piccola produzione di miele, anche se la principale attività rimane legata alla preghiera e all'ospitalità. Un monastero aperto a tutti coloro che bussano alle sue porte e non portano armi. Un impegno che da un lato ha fatto rinunciare i monaci alla protezione speciale che veniva offerta loro dall'esercito: "Che senso avrebbe avuto per noi essere protetti dalle armi quando i nostri fratelli musulmani dei dintorni si fanno assassinare?". Dall'altro li ha visti rifiutare la richiesta di dialogo che il potente e sanguinario emiro del GIA, Soayah Attia, aveva posto loro perentoriamente nella notte di Natale del 1994; il rifiuto fu motivato dal fatto che egli veniva armato e durante una festa cristiana. L'emiro che affermò che in quanto "uomini di Dio, dediti alla preghiera" non avrebbero ricevuto alcun male, promise però che sarebbe ritornato.

Condivisione in tutto, anche nella minaccia della propria vita, con la popolazione locale, per la quale "se il monastero dovesse scomparire sarebbe un dramma", ha affermato il procuratore generale dell'ordine cistercense p. Armand Veilleux. Apertura a tutti, che ha significato curare i feriti sia dell'esercito che dei guerriglieri, entrambi di casa al monastero.

Il fatto che il GIA, sempre pronto a rivendicare le proprie azioni terroristiche, non abbia parlato dell'accaduto, potrebbe essere un punto a favore dei monaci, anche se qualcuno dice che in seno al GIA vi sarebbero elementi esterni alla regione, che potrebbero non riconoscersi nelle tradizioni locali. Tuttavia la rappresentanza del FIS in esilio in Germania avrebbe condannato il rapimento come "atto contrario alle pratiche musulmane".

Il calvario dei cristiani
Il conflitto che in Algeria sta contrapponendo esercito e guerriglia islamica è iniziato con l'annullamento nel gennaio del 1992 delle elezioni presidenziali da parte del governo Boudiaf. In tale aspro scontro, a partire dal 1994, sono 11 i religiosi e le religiose uccisi (cf. Regno-att. 12,1994,362 e 2,1995,23).

La chiesa cattolica algerina, che ha in cura poco meno di 10.000 fedeli ripartiti nelle quattro diocesi di Algeri, Orano, Costantina e Laghouat, con 130 preti e religiosi e 250 religiose, ha scelto per lo più di rimanere, "minoranza solidale con le altre minoranze, vittime dell'ostracismo nazionalista e religioso" (P. Claverie, "Restare? Partire?", in Regno-doc. 19,1995,632). Al suo interno, vi sono sensibilità diverse, emerse nel corso dell'incontro tenuto nel gennaio 1995 a Roma presso la comunità di Sant'Egidio, tra chi sostiene la linea dura governativa contro l'islam e chi propone un dialogo a ogni costo con le formazioni islamiche non armate, in una tensione tra desiderio di pace e dovere di lealtà verso le autorità del paese: i cattolici algerini rimangono comunque uniti sul fronte della condanna della violenza a qualsiasi parte essa provenga.

In particolare la comunità trappista di Tibhrine rappresenta la punta avanzata dell'elaborazione di una spiritualità della condivisione nella povertà di mezzi, nell'essere minoranza tra minoranze. "È là che noi tocchiamo con mano che la debolezza non è in sé una virtù, ma un'espressione di una realtà fondamentale del nostro essere che deve costantemente essere ripresa, informata e modellata dalla fede, la speranza e l'amore per lasciarci conformare alla debolezza di Cristo, all'umanità di Cristo... La debolezza come scelta diventa uno dei modi migliori per dire la "discreta caritas" di Dio verso gli uomini, sia carità piena di discernimento, ma anche carità discreta di colui che ha voluto condividere la debolezza della nostra condizione umana... Essa diventa una spiritualità delle mani vuote, in cui si comprende che tutto, persino le nostre stesse debolezze, può diventare dono e grazia di Dio, manifestazione della potenza del suo amore che solo può convertire la debolezza umana in forza spirituale".1


1 Citazione dal diario spirituale di p. C. Chessel, padre bianco assassinato il 27 dicembre 1994, in C. Rault, Missions dans la faiblesse, "Spiritus", XXXVII (1996) 142, marzo, 3ss. L'intero numero della rivista è dedicato al tema della kenosi nell'ambito della missione.

articolo tratto da Il Regno logo

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