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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Scoprire Dio insieme

"Il Regno" n.2 del 1998

Dopo le elezioni amministrative del 23 ottobre scorso, vinte ufficialmente dal Front de liberation national (FNL) e dal Rassemblement national démocratique – entrambi dell'area dell'attuale presidente, il generale Liamine Zeroual – in Algeria si è avuta un'ondata di proteste pacifiche da parte delle opposizioni politiche contro i brogli del voto, che avrebbero sottratto la vittoria elettorale ottenuta dalle opposizioni in alcune importanti circoscrizioni. Accanto a queste iniziative pacifiche e democratiche sono continuati i massacri della popolazione civile nella zona attorno ad Algeri.

Alla vigilia del Ramadan gli attacchi terroristici si sono intensificati, numericamente (con 400 morti a settimana) e per barbarie, e soprattutto si sono estesi verso ovest e nei villaggi, in zone meno protette, non toccate in precedenza dai terroristi.

È in atto un vero e proprio genocidio della popolazione civile a cui il governo d'Algeri, ha reagito censurando le reali entità dei massacri, armando le popolazioni dei villaggi, senza tuttavia riuscire a garantire il controllo del territorio.

In questo contesto, la presenza dei cristiani (cf. Regno-att. 16,1997,493; 20,1997,621) è un segno e una sfida per il dialogo islamo-cristiano, ha affermato mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, al colloquio del Groupe d'amitié islamo-chrétienne (Parigi, 5-6.12.1997).


Interviene Teissier

"La crisi algerina ha portato la maggioranza dei cristiani di nazionalità straniera a lasciare il paese, in particolare dopo la minaccia di morte lanciataci alla fine dell'ottobre 1993. Nonostante ciò, un piccolo gruppo di religiosi, religiose, di laici con forti motivazioni spirituali, di spose di famiglie miste, di cristiani algerini, di studenti africani e di persone anziane, fecero la scelta di restare. Essi facevano ciò perché sapevano per esperienza che la loro fedeltà a Dio s'esprimeva attraverso le loro solidarietà quotidiane con gli algerini e l'Algeria. Lo fecero perché non si abbandonano gli amici nell'ora della prova. Lo fecero perché credevano alla necessità delle amicizie islamo-cristiane per la pace interreligiosa e si sapevano chiamati a dare un futuro a queste amicizie in terra algerina. Come cristiani essi hanno assunto i gravi rischi di questa scelta perché avevano imparato da Gesù che "non c'è amore più grande che dare la propria vita per gli amici".

Questi tempi di violenza ci hanno portato via diciannove religiosi e religiose, alcune decine di laici battezzati, ma anche decine di migliaia di algerini di cui molti erano a noi vicini. La fedeltà dei cristiani alla propria vocazione in questa prova è stata possibile perché molti algerini musulmani ci hanno sostenuto quotidianamente, indicandoci le precauzioni necessarie, a volte prendendo iniziative pericolose al nostro posto, motivando la nostra decisione con l'importanza che essi attribuivano alla nostra testimonianza, chiedendo anche la nostra preghiera per il paese e sottolineando l'importanza per il paese del rispetto della differenza che essi volevano preservare salvaguardando la nostra presenza.

Abbiamo vissuto in questo contesto, le nostre relazioni islamo-cristiane in tutti i settori della società in cui insieme eravamo implicati: la condivisione di resposabilità professionali, l'impegno comune nelle associazioni, gli scambi quotidiani di vicinato e la comunione privilegiata delle amicizie, e anche, per alcuni, di affetti familiari.

Qualche esempio permetterà di dare qualche immagine concreta a queste affermazioni troppo generali. I responsabili della Caritas fanno parte a pieno titolo del collettivo delle associazioni musulmane impegnate nel sostegno alle vittime della violenza. Le piccole sorelle dei pvoeri di Orano e di Annaba accolgono anziani musulmani grazie all'aiuto finanziario o materiale delle famiglie altrettanto musulmane. Alcuni cristiani ad Algeri, Orano, Costantina, Annaba, Mascara, ecc. tengono delle biblioteche per studenti e liceali che sostengono la formazione di quasi ventimila giovani musulmani nelle più grandi città del paese. Alcuni cristiani e cristiane sono da molto tempo impegnati nelle strutture che si fanno carico degli handicappati, nell'attività di guarigione delle ferite psicologiche o nei programmi di ricostruzione della personalità.

Al di là di queste strutture collettive, ciascuno di noi si situa nella società algerina attraverso le proprie competenze e stabilisce così una sua relazione con i partner musulmani nel campo professionale o nei settori sparsi in tutto il paese, da Tlemcen a La Calle, dalla costa all'Ahaggar. Per esempio, il prete che traduce in francese le opere di uno scrittore di lingua araba le fa conoscere a un pubblico più ampio. Alcuni religiosi accolgono nelle proprie case responsabili della stampa per incontri d'amicizia che siano distensivi per queste persone e le loro famiglie sottoposte a uno stress permanente. Altri insegnano all'Università o lavorano come medici. Alcuni religiosi sono impegnati in iniziative comunali o che provengono dalla Mezzaluna rossa o da altre associazioni in favore della formazione della giovane, dell'accompagnamento di donne in difficoltà, dell'aiuto alle giovani madri. Altrove vi sono iniziative in favore dei giovani ingegneri o per la formazione educativa, artigianale, culturale o artistica.

Preti, religiosi o religiose vivono in diversi posti da trenta, quaranta o cinquant'anni in quartieri o villaggi interamente musulmani. Le spose di coppie miste sono inserite, com'è naturale, nelle relazioni con la famiglia del proprio sposo e il piccolo gruppo dei cristiani algerini, a maggior ragione è unito alla società algerina dall'interno. Il dialogo direttamente spirituale formalmente interessa solo piccoli gruppi (il Focolare di Tlemcen, i Centres des Glycines di Sant'Eugenio ecc.) ma la gravità delle questioni poste alla società approfondisce gli scambi dei cristiani con tutti.

In effetti, in questi tempi di crisi cristiani e musulmani quotidianamente messi alla prova insieme per le violenze o le tensioni politiche s'interrogano sul rispetto della vita, sulla dignità di ciascun essere umano, sulla difesa della verità, sulla condizione della donna, sulla giustizia e la solidarietà sociale, sulla riconciliazione, sul rapporto tra la religione e lo stato, sulla legge religiosa, sull'autonomia della coscienze, sui valori spirituali, sulla preghiera e la fede e infine su Dio e sull'uomo.

Questi tempi così difficili sono quelli in cui la nostra Chiesa d'Algeria approfondisce la propria vocazione a essere chiesa d'Algeria, una chiesa, forse quasi senza fedeli, ma la chiesa di un popolo musulmano, il popolo
algerino.

Faccio mie la conclusione cui arriva con un fervore sorprendente un'amica musulmana di questa chiesa sul senso che essa attribuisce all'esistenza della nostra comunità in questo contesto.

Esiste in Algeria una sorta di famiglia islamo-cristiana. "Essa è composta – ella afferma – da tutte le donne, da tutti gli uomini che si riconoscono nel messaggio d'amore universale e nel suo impegno per una società pluralista e fraterna: essa è più numerosa di quanto si possa credere.

Non vi sono specificamente cristiani o dei musulmani: c'è la rivelazione di Dio all'uomo. L'uomo di domani sta tentando di delinearsi – e la Chiesa d'Algeria è lì per questo. È per questo che faccio appello alle forze di Dio e dell'amore di Dio, all'interno e all'esterno: perché non abbassiamo mai le braccia. È un destino comune, di valori comuni che forgiano questa speranza di vita, questa cura per la pace nel rispetto e nella tolleranza.

Grazie alla chiesa per avere lasciato la sua prota aperta: essa scopre l'uomo nuovo. E insieme noi scopriamo Dio. Perché Dio non è una proprietà privata".

Il papa e l'Europa
Anche il papa è intervenuto sulla crisi algerina deplorando durante l'angelus di domenica 4 gennaio i "fatti di sangue che non possono non scuotere ogni coscienza. Non è sulla strada della violenza che si può giungere a un futuro migliore" (L'OR 5-6.1.1998,1) e affermando nel discorso di inzio anno al corpo diplomatico (10.1) che "nessuno può uccidere in nome di Dio: significherebbe abusare del nome divino ed essere blasfemi. Sarebbe opportuno che tutte le persone di buona volontà, in questo paese e altrove, si unissero per far sì che la voce di quanti credono al dialogo e alla fratellanza fosse infine udita. Sono convinto che costituiscono la maggioranza del popolo algerino" (L'OR 11.1.1998, 5). Anche il Messaggio alla conclusione del digiuno del Ramadan firmato dal card. Francis Arinze, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, afferma che cristiani e musulmani sono "chiamati a stringere un "patto di pace"" in cui entrambi dichiarino "di rinunciare all'uso della violenza come metodo di soluzione delle controversie [...] Allora noi saremo più credibili in quanto credenti, e saremo per l'umanità un segno particolare di speranza che si aggiunge a quelli che già esistono" (L'OR 10.1.1998,5).

L'Unione europea ha proposto l'invio di una propria delegazione (Gran Bretagna, Lussemburgo, Austria) ad Algeri. La proposta è stata accettata da parte algerina, nell'ambito di un colloquio sulla lotta al terrorismo. Inoltre non è escluso l'invio di osservatori dell'ONU per i diritti umani.

articolo tratto da Il Regno logo

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