Il GIA ha perso
Intervista a Khalida Messaoudi, parlamentare algerina
L'Algeria esce dal mese di ramadan con un bilancio di un migliaio di morti. Il Gruppo islamico armato (GIA) ha subito gravi perdite da parte dell'esercito. Le donne nella casba di Algeri non portano più il velo. Dopo la visita dei parlamentari europei nei primi giorni dell'anno, molte sono state le aperture a osservatori stranieri: giornalisti e singoli parlamentari. Sono questi alcuni dei tratti salienti della nuova situazione algerina.
La vittoria elettorale del Fronte islamico di salvezza (FIS) nel dicembre del 1991 aveva segnalato un consenso popolare forte. Lo scontro con l'esercito aveva assunto la forma di una vera e propria guerra civile. Ma oggi, dopo anni di massacri compiuti in nome dell'islam (e sui quali il governo algerino e la comunità internazionale hanno il dovere di fare piena luce), i gruppi armati islamici e il FIS hanno perso parte del loro retroterra politico e sono in crisi di consensi. Tant'è che il regime di Algeri può derubricare quella guerra civile in terrorismo.
Dopo il colloquio con mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri (Regno-att. 16,1997,493) sulla testimonianza della chiesa cattolica nella crisi algerina e nel dialogo con l'islam (Regno-att. 20,1997,621; 2,1998,53), intervistiamo Khalida Messaoudi (che abbiamo incontrato il 3 aprile scorso a Forlì), oggi tra i leader del Rassemblement pour la culture et la démocratie (RCD).
Khalida Messaoudi (1958) è figura emergente, dalla biografia intensa. Laureata alla Scuola normale superiore di Algeri, per due anni insegnante di matematica nei licei, è una delle fondatrici della prima associazione femminile algerina (Associazione per l'uguaglianza tra l'uomo e la donna davanti alla legge) nel 1985, dopo che nel 1984 era stato approvato il Codice per la famiglia. Nel 1989 contribuì a fondare, divenendone poi presidente, l'Associazione indipendente per il trionfo dei diritti delle donne, sciolta dal governo. Nel 1991 fondò SOS Femme en détresse, associazione che fornisce assistenza medica e legale a donne in difficoltà (oggi impegnata sul fronte delle violenze subite dalle donne da parte del GIA). Nel 1992, all'indomani dell'annullamento delle elezioni in cui il FIS risultò vincitore, fu chiamata dal presidente Mohamed Boudiaf nel Consiglio consultivo nazionale. Nel marzo 1993 sfuggì a un attentato, mentre il 12 giugno dello stesso anno venne condannata a morte dal Mouvement pour un état islamique e da allora vive in semi-clandestinità. Il 29 giugno 1994, durante la manifestazione organizzata dal Mouvement pour la république – di cui è vicepresidente – nel secondo anniversario dell'assassinio di Boudiaf, venne ferita a una gamba per un attentato dinamitardo contro la manifestazione, nel quale morirono due persone. È stata una delle animatrici delle assise nazionali delle donne democratiche che il 18 gennaio 1996 diedero vita all'associazione Rassemblement contre la hogra et pour le droits des algériennes (RACHDA), una delle promotrici della campagna di raccolta di firme per la revisione del Codice della famiglia lanciata l'8 marzo 1997. Il 5 giugno 1997 è stata eletta deputato in parlamento nelle file del partito d'opposizione RCD, formazione nata dalla fuoriuscita nel 1982 del suo leader Saïd Sadi – l'attuale presidente di partito – dal Fronte delle forze socialiste (FFS) e che ha l'appoggio di una delle correnti dell'esercito. Con la giornalista Elisabeth Schemla ha scritto un libro, intitolato Une Algerienne au debout Flammarion 1995; tr. it. Una donna in piedi, Mondadori 1996.
Ha vinto la volontà di vivere
– Qual è oggi la situazione algerina? Ci sono segnali di normalità, che indicano che la situazione sta migliorando?
"L'Algeria ha sempre continuato a vivere. Le attività non si sono fermate. Contrariamente a quanto si crede all'estero, la gente ha continuato a lavorare, le scuole e gli ospedali non sono mai stati chiusi, i trasporti non si sono fermati. Le uniche scuole costrette a chiudere sono state le 850 distrutte dal GIA; ma anch'esse sono in via di ricostruzione. E tutto questo è possibile grazie alla resistenza del popolo algerino.
Certo vi sono state delle difficoltà, delle costrizioni, delle limitazioni, ma le attività della società civile e delle associazioni non si sono mai fermate. Ci sono stati anni politicamente difficili, soprattutto per la difesa delle donne: una presidente d'associazione è stata assassinata, altre presidenti o animatrici sono state condannate a morte dal GIA, dunque sono state costrette a vivere in una sorta di clandestinità. Ma il 22 marzo 1994 il mondo ha visto la più grande manifestazione nelle strade: le donne hanno manifestato contro la violenza.
Gli anni 1993, 1994, 1995 sono stati molto duri per tutti: i leader delle associazioni, dei partiti, dei sindacati, gli intellettuali, i giornalisti, gli artisti e anche i religiosi cattolici sono stati profondamente colpiti a livello personale. Ma neppure in quegli anni le attività si sono fermate. Più di 70 membri, tra giornalisti e lavoratori di settore, sono stati assassinati dai gruppi islamici. Gli altri giornalisti sono stati tutti condannati a morte dal GIA. Ma i giornali non hanno chiuso, nonostante gli assassinii dei terroristi e le pressioni del regime, che non tollera la liberta' d'espressione e dunque ha cercato d'impedire ai giornalisti di lavorare.
Anche la chiesa ha cercato di vivere e trasmettere "normalità". Mons. Teissier non ha mai lasciato l'Algeria, le suore presenti nelle associazioni di handicappati, di giovani, di anziani, ecc. non hanno mai smesso di lavorare. E anche il monaco trappista di Tibhirine che è scampato al rapimento e alla morte dei suoi confratelli è rimasto.
Quando nell'agosto del 1994 il GIA ha emanato la fatwa che condannava a morte tutti gli studenti e gli insegnanti, puntando a vietare la scuola, nella mia associazione di donne molte avevano paura che il GIA riuscisse. Io invece ero convinta che gli algerini non avrebbero mai smesso di mandare i propri figli a scuola. Ed ero convinta che il GIA avrebbe perso la guerra perché stava toccando la scuola. La scuola è infatti in Algeria il solo mezzo che garantisce la mobilità sociale. Gli algerini, per la loro storia, sono molto attaccati alla scuola, sin dai tempi di Julferie (politico di sinistra, laico, dell'inizio del secolo che ha istituito l'obbligo scolastico aperto a tutti, ndr). Quando alla riapertura della scuola ho visto che i bambini c'erano – tanti bambini con le loro cartelle – ho capito che Julferie era più forte del GIA.
Il terrorismo integralista ha perso in Algeria perché non si può uccidere la vita".
Convergenza democratica
– Se il GIA non ha fermato la vita, certamente l'ha condizionata, l'ha cambiata nel profondo.
"Sì. Certamente. L'integralismo ha cambiato la vita intima delle persone. Ha lasciato dei traumi, soprattutto nei bambini. Ma non tutto è negativo. Vi è un versetto islamico che dice: "Fate attenzione a non vedere solo il lato negativo, perché forse ci sono cose che possono arrivare in maniera drammatica; ma se guardate bene c'è un aspetto che porta qualcosa di positivo".
Ci sono state le distruzioni, i traumi, i morti, i feriti, ci sono le ferite che non si rimargineranno: la cosa peggiore è la violenza alle donne, stupri collettivi, ripetuti. Il terrorismo integralista non ha risparmiato nessuno. Né i neonati, né i feti nel ventre delle madri. Nessuno. Ma allo stesso tempo gli algerini hanno avuto modo di riflettere a lungo sulla loro fede. Oggi essi non credono più agli avventurieri, hanno imparato a distinguere tra la religione come atto di fede e l'uso politico, strumentale della religione".
– Nelle settimane scorse si è tenuto il congresso del suo partito, il RCD. Quali sono i temi emersi e quali prospettive per la ricostruzione del paese?
"Il Congresso del RCD si è tenuto nell'ambito della legge che prevede obbligatoriamente la celebrazione del congresso per ogni partito. Ci siamo adeguati alla legge, anche se non è stato facile. Essa impone infatti ai partiti d'avere militanti almeno in 25 dipartimenti sui 48 in cui è diviso il paese. Ed esige che per andare al congresso vi siano almeno 100 militanti per dipartimento, nei 25 in cui è presente. Il RCD è riuscito ad avere 38 dipartimenti rappresentati. Ma ciò che è più importante è il significato politico del congresso. Esso aveva come slogan programmatico la "convergenza democratica". Siamo infatti persuasi che l'unica soluzione per l'Algeria oggi passi attraverso l'unione di tutti i partiti democratici e di tutti i democratici, ovunque essi siano collocati.
Il congresso è stato un successo anche per il fatto che molte associazioni invitate hanno accettato di partecipare. Sono venuti gli esponenti dei partiti democratici e hanno preso la parola. Ma la cosa più importante è che un mufti, un imam (non militante del RCD né di alcun altro partito), abbia accettato di intervenire al congresso del RCD e di spiegare come sia assolutamente necessario arrivare a "proteggere" la religione dalla manipolazione politica. Un imam che ha iniziato il suo discorso dicendo: "Sono un imam laico" (cf. Regno-att. 6,1998,189).
La seconda novità riguarda l'apertura del RCD a diverse personalità provenienti da altri partiti e dalla società civile. Il partito li ha accolti nelle proprie liste elettorali, chiedendo ai propri militanti di lasciare loro il posto nella direzione del partito. Per noi è molto importante mostrare la sincerità del nostro tentativo di "convergenza democratica".
Proponiamo al paese un'unica cosa: la democrazia. L'unica soluzione per il paese è la costruzione di uno stato democratico. E la democrazia si costruisce attraverso un fronte democratico. Quello che faremo adesso sarà cercare di costruire questo fronte perché diventi l'alternativa sia all'attuale regime algerino sia ai fondamentalisti".
– Perché sinora non è stato possibile creare un fronte unito delle opposizioni democratiche? Quali sono state le cause?
"Francamente credo che le difficoltà siano derivate dal fatto che i partiti non condividevano la stessa analisi della situazione. E ancor più grave è che i partiti non avevano la stessa strategia sia rispetto al regime, sia rispetto ai partiti fondamentalisti. È stato necessario aspettare che la gente arrivasse a rendersi conto che non vi può essere alcuna costruzione della democrazia con un regime che dirige l'Algeria fin dall'indipendenza senza alternativa, e che non vi è nessuna possibilità d'integrazione nel gioco democratico degli attuali partiti fondamentalisti (in particolare il FIS). Non si può dire che s'integreranno i partiti fondamentalisti nel gioco politico, senza tener conto della loro attuale natura, che non è una cosa astratta ma concreta. Noi pensiamo che i democratici si debbano unire in maniera autonoma sia dal regime attuale sia dagli integralisti. E poi è necessario imporre pacificamente un certo numero di valori civili, senza i quali non vi è democrazia.
Non ci si può dire democratici ed essere razzisti. Non ci si può dire antisemiti e democratici allo stesso tempo. Non si può essere contro i diritti delle donne e dirsi democratici. Attualmente i partiti integralisti, sia legali sia illegali, sono razzisti, antisemiti, xenofobi e contrari ai diritti delle donne. Come possiamo pensare d'integrarli nel gioco democratico? Occorre che accettino culturalmente e concretamente che la democrazia è contro l'antisemitismo, contro il razzismo, contro la xenofobia, ed è a favore dei diritti delle donne. È necessario che accettino tutto questo. In politica ciò si ottiene mediante rapporti di forza. E si può creare un rapporto di forza in proprio favore solo unendosi".
– Come giudica il Fronte delle forze socialiste al riguardo?
"Il Front des Forces Socialistes (FFS), a mio parere, non è ancora democratico, perché non esige dagli integralisti l'abbandono dell'antisemitismo, del razzismo, della xenofobia e dell'odio verso le donne. Aspetteremo che questo partito cambi o che sia obbligato a farlo".
La donna sotto tutela
– Lei fa parte di un'associazione femminile che si batte per la revisione del Codice della famiglia. A che punto è la raccolta delle firme indetta nel marzo 1997?
"Il congresso del RCD ha creato una vicepresidenza, a fianco della presidenza del partito, per la condizione femminile e dei diritti dell'uomo. È una questione molto importante, poiché i diritti della donna sono un importante capitolo dei diritti umani.
Il Codice della famiglia approvato nel 1984 è frutto della lettura più oscurantista dell'islam. In esso c'è un attacco al diritto della cittadinanza di base. Ciò significa che la Costituzione algerina dà il diritto alla donna di votare, di essere candidata, e di essere eletta in Parlamento, di legiferare, ma poi non le riconosce personalità giuridica.
Nel Codice per la famiglia quando una donna decide di sposarsi non ha il diritto di firmare il proprio contratto matrimoniale, perché esso è concluso tra marito e tutore matrimoniale, che può essere un parente o un giudice. Se nel matrimonio vi sono dei figli la madre non può avere la loro tutela; non può avere la firma di libretti di risparmio intestati ai figli; non può iscrivere il figlio in una scuola sportiva se non è il padre che firma. Così, anche per il divorzio. Il marito da solo può decidere di divorziare, senza il consenso della moglie. E il giudice è tenuto ad applicare la volontà del marito. Se è la donna a voler divorziare, si deve rivolgere al giudice per ottenere il divorzio, ma deve sempre portare come prova colpe abominevoli del marito, quasi sempre impossibili da dimostrare.
Il movimento delle donne ha proposto 22 emendamenti al governo. Le firme che abbiamo raccolto erano per le revisione di questo Codice. Continuiamo la raccolta perché il Codice non è ancora arrivato al Parlamento. Ci sono associazioni che hanno interrotto la raccolta, mentre nella mia associazione vi è una parte che continua a far firmare la petizione per dimostrare al governo che la revisione del Codice della famiglia è una volontà popolare e che se il governo mantiene questo Codice, significa che lo farà solo per motivazioni politiche e non per compiacere la popolazione".
La rete islamica
– Qual è oggi la geografia dei contatti internazionali dei gruppi fondamentalisti islamici?
"È molto complessa. L'integralismo è un'internazionale. Ci sono stati che lo sostengono apertamente: l'Iran, il Sudan, l'Arabia Saudita, gli stati del Golfo. È risaputo inoltre che l'Europa e gli Stati Uniti hanno molti interessi finanziari con questi paesi. Più concretamente, l'internazionale islamica integralista ha capito molto bene che occorre utilizzare la democrazia per uccidere la democrazia, come ad esempio in Algeria. Quali sono dunque i paesi democratici? Non di certo i paesi arabi di matrice musulmana. I paesi in cui ci si può muovere liberamente o in cui ci si può esprimere liberamente sono i paesi europei.
Penso che vi sia una rete molto estesa. Ma è un pensiero condiviso da molti altri, tra cui anche il vostro Ministero degli interni. Vi è una rete belga, svizzera, francese, italiana, bosniaca, polacca, svedese, britannica, canadese e americana, con membri di tutte le nazionalità, compresi alcuni convertiti all'islam. Cito le reti di cui parla la stampa, ma sono persuasa che in tutti i paesi europei vi siano dei collegamenti. Si tratta di reti che utilizzano l'Europa come una retrovia che permette loro di fare propaganda, di comprare delle armi, di inviare armi e bombe verso l'Algeria attraverso il Mediterraneo.
Tuttavia occorre essere onesti, la maggioranza di questi gruppi è stata addestrata in Afghanistan. Le reti terroristiche in Europa hanno tutte un legame con l'Afghanistan; la maggioranza dei loro membri è stata addestrata in Afghanistan, ha fatto la guerra afghana. Qui c'è la domanda fondamentale a cui spero gli europei un giorno daranno risposta: qual è la responsabilità degli occidentali e in particolar modo degli americani nello sviluppo del terrorismo integralista in Afghanistan? Spesso si dimentica che l'Occidente – Europa e Stati Uniti – ha creato e incoraggiato questo movimento nel quadro della guerra contro l'ex Unione sovietica: gli ha fornito denaro, armi, addestramento; e una volta terminata la guerra contro l'ex Unione sovietica, ha lasciato un mostro in Afghanistan, che ha esportato terrorismo. Oggi i talebani fanno la guerra ad altri partiti islamici, al popolo musulmano e i talebani sanno per chi lavorano: il Pakistan e l'Arabia Saudita. A questi paesi non è mai mancato il sostegno statunitense. Vi è una responsabilità degli stati occidentali che è terribile".
– Vi è dunque un preciso legame tra talebani e integralisti islamici algerini?
"Certamente. Ed è questa, tra le altre, una delle ragioni per la quale io sono contraria all'idea di una commissione internazionale d'inchiesta sui massacri in Algeria. È una proposta davvero ipocrita e disonesta, perché nasconde la responsabilità delle maggiori potenze nello sviluppo dell'internazionale integralista islamica. Se si vuole fare un'inchiesta, sono d'accordo, ma si deve cominciare dall'inizio, cioè si dovrà iniziare definendo le responsabilità di coloro che hanno permesso a questo movimento internazionale di svilupparsi, di uccidere ad Algeri, a Gerusalemme, in Libano, a Parigi, in Afghanistan".
Le responsabilità europee
– Lei sarebbe contraria a un'eventuale inchiesta anche se fosse l'ONU a promuovere e a gestire questa indagine?
"Chi vuole fare inchieste deve essere onesto e cominciare dall'inizio. Come è possibile che degli europei, che sanno che a Londra c'è gente che si raduna per domandare che siano uccisi degli algerini, assistano senza intervenire? Come possono gli europei accettare tutto questo? Forse perché non li riguarda? Ma gli europei si sbagliano perché hanno a che fare con un movimento che un giorno farà la guerra in Occidente e ci sono delle prove di questo.
In Francia ci sono 4 milioni di musulmani. Se l'integralismo islamico avesse il sostegno anche del solo 1% di questi 4 milioni, si tratterebbe di una cifra enorme. Ma anche lo 0,1% per il terrorismo sarebbe una cifra significativa.
La stessa cosa vale per il Belgio. In Belgio si comprano le armi per inviarle in Algeria. Ma i belgi non si sono finora preoccupati. Hanno cominciato a preoccuparsene quando ci sono state le inchieste e si è visto che si stavano preparando attentati per la prossima coppa del mondo di calcio in Francia. I vertici del GIA belga sono stati arrestati in una sola notte. Ciò significa che la polizia era al corrente, che li seguiva; significa che sapeva che questo gruppo acquistava bombe e armi.
L'Europa non è consapevole che questi gruppi non si possono manipolare indefinitamente. Infatti il terrorismo integralista non pone dei problemi di sicurezza solamente all'Algeria. È un problema di sicurezza mondiale. Su questo le Nazioni Unite dovrebbero lavorare di più.
D'altra parte che cosa hanno fatto le Nazioni Unite per affermare il diritto dell'uguaglianza dei popoli, per dire che un attentato ad Algeri è altrettanto grave di un attentato a Parigi? Nulla. Per me non sono credibili. Non ho preconcetti sulle Nazioni Unite. La lezione che traggo è che ogni nazione deve contare su se stessa. Per questo l'ONU non può chiedermi di partecipare a una bugia sul mio popolo.
Diritti umani e terrorismo
– Il ministro degli esteri algerino, Mohamed Attaf, ha dichiarato che in Algeria non vi sono problemi di diritti umani, ma di terrorismo. Lei che cosa ne pensa?
"L'Algeria ha problemi di diritti umani. Il primo problema è il Codice della famiglia: esso infatti è un attacco ai diritti umani fatto attraverso vie istituzionali, contro cui ci stiamo battendo. E vi sono oggi problemi di diritti umani per i 2.000 dirigenti che sono in prigione da più di un anno e mezzo nel quadro della lotta alla corruzione. La maggioranza di essi non è mai stata giudicata, non ha nessun capo d'imputazione e viene detenuta nell'illegalità più totale. La stampa subisce fortissime pressioni da parte del governo. È un attacco alla libertà di espressione, alla libertà d'informazione: anch'esse fanno parte dei diritti umani. I giornalisti si battono, sono sostenuti dai partiti democratici e da buona parte della società civile. Da circa un mese è in atto un dibattito in Algeria per la revisione del Codice dell'informazione, per ottenere più libertà d'espressione e protezione per i giornalisti nel loro lavoro d'informazione.
Sì, questi sono problemi di diritti umani, reali. Ma rispetto alla situazione creata dagli integralisti, voglio essere molto chiara. L'attacco più forte ai diritti umani è l'attacco alla vita, al diritto alla vita, che è il diritto umano fondamentale, basilare. E questo è opera del GIA.
Nella lotta contro il terrorismo ci sono degli eccessi da parte dello stato. C'è la tortura, ci sono sparizioni e contro di esse lottiamo. Ma questo non deve in nessun modo cancellare i delitti contro l'umanità del GIA. Mi sento tranquilla nel parlare di ciò, poiché faccio parte di un partito di opposizione, e prima ancora faccio parte del movimento delle donne che si opponeva al potere e ho fondato la prima lega per i diritti umani in Algeria. Sono i gruppi islamici armati che uccidono e che seminano la morte perché negano agli algerini il diritto alla vita.
Il diritto alla vita è calpestato, la persona della donna è disprezzata. Non posso consentire che la violenza dello stato e la violenza del GIA siano poste sullo stesso piano. Da un punto di vista storico, sarebbe come paragonare il bombardamento di Berlino da parte degli alleati e la Shoah. No, non è la stessa cosa: si tratta di orrendi crimini premeditati, compiuti da gruppi totalitari. Questo è il GIA; questo è quello che fa.
Non condivido l'idea di Attaf, ma non voglio neppure essere complice di crimini contro l'umanità".