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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Maria Elisabetta Gandolfi

Sfida dei diritti, sfida della democrazia

"Il Regno" n.18 del 1998

Il rapporto della delegazione ONU in Algeria, reso noto a metà settembre, esprime la posizione di mediazione dell'Unione Europea sull'Algeria.
La definizione del terrorismo e del rispetto dei diritti umani richiedono il chiarimento tra governo civile e potere militare, tra religione islamica e legislazione civile.



Il terrorismo è passato attraverso quattro stadi. Nel primo stadio esso ha preso di mira le forze di sicurezza e gli impiegati del governo; nel secondo gli intellettuali, i giornalisti, gli avvocati, gli artisti e gli stranieri; nel terzo stadio le infrastrutture generali del paese, cioè ponti, scuole, ferrovie e centrali elettriche; attualmente esso ha di mira l'intera popolazione. Anche se il terrorismo ha sue radici in Algeria, esso ha connessioni in altri paesi; comunque, il terrorismo algerino ha la sua unicità nel fatto che non persegue uno specifico obiettivo. È questo il passaggio centrale, in tema di terrorismo, della relazione redatta dalla delegazione delle Nazioni Unite che ha visitato l'Algeria dal 22 luglio al 4 agosto scorso con lo scopo di "raccogliere informazioni sulla situazione": è da notare che questa è la prima delegazione con un mandato dell'ONU, e che nel prossimo febbraio in Algeria si terranno le elezioni presidenziali.

La delegazione, istituita il 29 giugno dal segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, su invito del governo algerino e presieduta dall'ex primo ministro portoghese Mário Soares,1 non aveva, per sua stessa ammissione, "né i mezzi né il mandato per condurre investigazioni" (cf. Regno-att. 8,1998,222). Il rapporto, quindi, riflette la natura di una missione puramente informativa, alla quale è stato concesso di parlare con alcune persone e non con altre, di visitare alcuni luoghi e non altri, che ha ricevuto "risposte generiche" o si è vista rifiutare il colloquio con i fondatori del Fronte islamico di salvezza (FIS) – Abassi Madani e Ali Belhadj – perché "persone al di fuori del contesto della legalità". Uno dei leader del Fronte di liberazione nazionale ed ex primo ministro, Mouloud Hamrouche, si è rifiutato d'incontrare la delegazione affermando "di non avere niente di significativo" da dire.

La presentazione del rapporto, il 16 settembre, ha scatenato pareri contrastanti innanzitutto sull'utilità della missione, visto il mandato ristretto conferito alla delegazione e, in generale, sulla posizione rispetto al governo algerino e alla lotta contro il terrorismo. Amnesty International ha definito la presenza della delegazione in Algeria, così come la visita della troika europea nel gennaio scorso e della delegazione del Parlamento europeo in febbraio, "irrilevante per la situazione dei diritti umani in Algeria. Massacri di civili (...) e altri crimini sono continuati durante la visita della delegazione dell'ONU (...) La prontezza delle autorità algerine nell'accettare un'iniziativa politica dell'ONU, quale la visita di questa delegazione, con un mandato ristretto e nessun potere investigativo, stride con il loro persistente rifiuto di concedere l'accesso a esperti di diritti umani dell'ONU e a organizzazioni internazionali per i diritti umani". Allo stesso modo la Federazione internazionale per i diritti umani ha definito il rapporto "pericoloso".

Dall'altra parte vi è la posizione dell'Unione Europea "impegnata nel dialogo politico con l'Algeria", a metà strada tra la richiesta – avanzata in alcuni ambienti ONU e dalle associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, come Amnesty – di una commissione d'indagine internazionale sui diritti umani in Algeria e l'assunzione della tesi ufficiale del governo algerino: non esiste un problema di diritti umani in Algeria, ma un terrorismo di matrice islamica sostanzialmente estraneo alla società algerina.

L'Europa intende la propria mediazione come "importante passo" verso una "maggiore trasparenza" e per "consolidare la democrazia", così come dichiarato l'8 luglio in un comunicato stampa della Presidenza dell'Unione Europea e ribadito all'indomani della pubblicazione del rapporto della delegazione.

Crisi sociale squilibrio dei poteri

Il rapporto sottolinea che, accanto al tema del terrorismo e più in generale della sicurezza, vi sono problemi sociali ed economici di lunga data che l'Algeria deve risolvere per potere consolidare la forma democratica del suo stato.

Per far fronte al declino del prezzo del petrolio sono state assunte drastiche misure macroeconomiche, in accordo col Fondo monetario internazionale, che hanno ridotto sensibilmente il debito estero del paese (portando il servizio del debito dall'89% delle entrate nel 1993 al 30% attuale) e avviare la privatizzazione delle industrie del paese, che è progredita lentamente. Tuttavia sul fronte sociale il costo principale è stato quello della disoccupazione. Nel 1994 i disoccupati erano il 27% della popolazione attiva (6,5 milioni); alla fine del 1996 2,2 milioni di persone, il 28% di tutti i lavoratori, non avevano un lavoro e di questi l'80% era sotto i 30 anni. La relazione stima che per il 2000 i disoccupati raggiungeranno i 3 milioni.

Il secondo fattore è la dipendenza dell'economia algerina dagli idrocarburi, che rappresentano il 90% delle esportazioni e il 65% delle entrate dello stato. Se il loro prezzo rimarrà invariato "vi sarà un limitato spazio di manovra. Vi è così un potenziale reale per la conflittualità sociale e l'instabilità politica".

Nel suo rapporto, la delegazione ha enucleato tre obiettivi principali; "1) la necessità di controbilanciare trent'anni di dittatura di un unico partito e l'eredità di un'economia collettivizzata, tenendo presente che un'inversione di rotta sarà estremamente difficile; 2) la chiarificazione della relazione tra il governo civile eletto e i militari (...) ; 3) Infine, una questione onnicomprensiva è il bilanciamento da attuare tra l'adesione di una grande maggioranza di algerini alla religione islamica e le leggi applicabili nella sfera pubblica". In particolare, sul rapporto tra potere civile e militare la commissione sottolinea "la necessità di chiarire la divisione del potere tra presidente, militari ed eroi della rivoluzione, in modo da arrivare a un punto in cui il governo eletto dalla gente sia l'autorità politica incontrastata nel paese...".

Statalismo e controllo sociale

È vero che il primo presidente eletto della storia algerina è l'attuale L. Zeroual (nel 1995; cf. Regno-att. 22,1995,677) e che è solo con le legislative del giugno 1997 che un Parlamento è stato designato tramite il voto (tenendo conto delle elezioni cancellate del dicembre 1991 che avevano portato a un'ampia vittoria del FIS). Si tratta di una democrazia giovane che necessita di tempo per consolidarsi, affermano i parlamentari algerini. Tuttavia non è solo una questione di tempo; occorre anche affrontare alcune questioni individuate dalla delegazione.

Vi è innanzitutto la questione della trasparenza nella gestione degli affari economici, sostanzialmente ancora gestiti dallo stato. A questo proposito la delegazione ha visitato un unico carcere dove i detenuti, tutti dipendenti della pubblica amministrazione, sono accusati genericamente di corruzione. In realtà, sono rei o di "essere stati nominati da regimi precedenti, o di sapere troppo, o di essersi impegnati per la trasparenza", "capri espiatori per nascondere la cattiva gestione dei leader" e anche vittime di faide tra "clan politici". La maggioranza dei detenuti non conosce il proprio capo d'imputazione e aspetta uno o due anni il processo. Alla specifica domanda posta al ministro delle finanze sulle motivazioni di tali arresti, egli ha risposto che se sono stati arrestati e incarcerati, coloro che "hanno preso la decisione devono avere avuto buoni motivi per farlo".

Vi è poi il problema del pluralismo delle fonti d'informazione. In Algeria vi è un panorama editoriale, per ciò che riguarda la stampa, variegato, che dà l'impressione di un certo pluralismo. Tuttavia, il fatto che le tipografie siano ancora un monopolio di stato e che le concessionarie di pubblicità siano tutte aziende di stato fa capire l'entità degli strumenti di pressione che il governo ha nelle sue mani per controllare e limitare la libertà della stampa.

Infine, la questione culturale: in particolare per ciò che riguarda le minoranze linguistiche e il rapporto tra islam e società. Con l'approvazione della legge del 5 luglio 1998 (si tratta di una legge approvata nel 1991, congelata nel 1992 e ripresa a fine 1996) si prevede l'uso ufficiale esclusivo della lingua araba, nonostante la Costituzione, emendata nel novembre del 1996, affermi che "i componenti fondamentali" della cultura algerina siano "l'islam, l'arabismo e il berberismo".

L'emendamento del Codice della famiglia, in vigore dal 1984, che prevede per la donna uno status di marcata inferiorità – un dato indicativo è che solo l'8,2% della forza lavoro è costituita da donne – e che recepisce le posizioni più arretrate dell'islam nei rapporti familiari, costituisce un ulteriore e non scontato banco di prova sulla volontà di aggiornare il rapporto tra legge civile e religione.

Terrorismo e diritti umani

"Il terrorismo veniva condannato fermamente da tutti coloro che abbiamo incontrato. Il governo è convinto di aver spezzato la schiena al terrorismo e che i terroristi siano in fuga". Ne rimarrebbero nel paese circa 3.600. Tuttavia alcune persone interpellate dalla delegazione "erano scettiche sul fatto che i terroristi attualmente siano vinti".

Dal 9 febbraio 1992 è in vigore uno stato di emergenza. Il 30 settembre dello stesso anno sono state create delle "corti speciali" per i casi di terrorismo. Nel biennio 1992-1994, le persone giudicate da queste corti sono state 13.770, di cui 3.661 prosciolte. 1.661 sono state le condanne a morte, di cui 1.462 in absentia, e 8.448 le condanne al carcere.

Nell'ambito dello stato di emergenza sono state interrogate 8.891 persone; 6.786 portate in centri di custodia nel sud del paese che "si dice siano ora chiusi". Nel febbraio 1995 le corti speciali sono state abolite; tuttavia "alcuni avvocati che abbiamo incontrato – afferma il rapporto – ci hanno detto che le prerogative delle corti speciali sono passate alle corti regolari. Ciò presumibilmente ha avuto l'effetto di qualificare molte azioni come terroristiche, anche se non sempre lo erano".

Un'altra conseguenza dello stato di emergenza è stata l'istituzione, tramite legge, di gruppi di autodifesa nei villaggi e nei comuni; essi agiscono sotto il controllo dell'esercito o della gendarmeria più vicina. A essi sono fornite le armi e, clandestinamente e in alcuni casi, anche una remunerazione. Secondo il capo delle forze armate, generale Lamari, è stato grazie ai gruppi di autodifesa che si è potuto eliminare il terrorismo e una ragione non secondaria per spiegare ciò è data dal fatto che la spina dorsale di tali gruppi è costituito "dagli ex combattenti della lotta per l'indipendenza, "i patrioti"". Tuttavia è stato provato che tali forze si sono macchiate di "eccessi commessi contro la popolazione civile". Ma le risposte alla domanda su quali fossero i mezzi a disposizione per indagare su tali delitti sono state "generiche".

Tra le 2.000 e le 20.000 persone sono dichiarate scomparse: per le autorità esse "potrebbero essere andate all'estero o essersi unite ai terroristi". Ma gruppi di parenti e famiglie di scomparsi hanno dichiarato che i propri cari "sono stati visti in diversi centri di detenzione"

Varie fonti indicano che in Algeria persiste da parte delle istituzioni la violazione dei diritti umani: persone scomparse, detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali e l'uso della tortura sono fatti comprovati anche se "le autorità negano". Dal febbraio 1992 esiste un Osservatorio nazionale per i diritti umani: tuttavia secondo alcuni esso "non ha credibilità", così come le due "leghe non governative algerine per i diritti umani". L'osservatorio inoltre ha solo la facoltà di "osservare, non di investigare", compito questo riservato alle autorità.

In generale, nessuno nega "l'esistenza di violazioni dei diritti umani da parte di agenti del governo", tuttavia alcuni interlocutori "hanno protestato con forza contro l'equazione tra crimini dei terroristi ed eccessi commessi dagli agenti del governo. Essi hanno inoltre affermato che le organizzazioni internazionali non governative che si occupano di diritti umani compiono un errore fondamentale nell'attuare questa equazione e nel non riconoscere che il governo è stato coinvolto in una lotta tra la vita a la morte con terroristi perversi. È stato persino affermato che mettendo sullo stesso piano i crimini contro l'umanità e le violazioni dei diritti umani, queste organizzazioni incoraggiavano i terroristi nei loro efferati crimini".

Sulle sfumature di queste definizioni e posizioni si disloca la distinzione tra guerra civile e terrorismo e di conseguenza il livello d'interlocuzione internazionale del paese. Nel primo caso, si tratterebbe di una relazione sbilanciata verso l'esterno, con l'istituzione di commissioni d'inchiesta internazionali o tribunali permanenti ecc. Nel secondo si potrebbe parlare invece su un piano di cooperazione per liberare il paese da una questione che, tra l'altro, coinvolge anche altre aree del Mediterraneo.

Credibilità internazionale
Dopo la nomina del nuovo vescovo di Orano il 10 luglio scorso, mons. A. Georger, del clero di Algeri e direttore del Centro studio della diocesi, vi è stato un intervento maggiormente critico rispetto alla linea sin qui tenuta dalla chiesa cattolica (cf. Regno-att. 16,1997,493; 20,1997,621; 2,1998,53) e che entra nel merito dei rapporti internazionali dell'Algeria. Si tratta di un'affermazione espressa dal nuovo nunzio apostolico, mons. A. Kasujja – il primo nunzio africano – nominato il 26 maggio scorso. In un'intervista all'agenzia Fides (2.10.1998), dichiara: "I massacri continuano da sei anni, da quando le elezioni furono annullate. Si è cercato, in questi anni, di mantenere un governo stabile, a cui la popolazione potesse dare il suo consenso democratico. Ma i massacri continuano. Non bisogna dimenticare che alla base del terrorismo ci sono anche motivazioni sociali, come la disoccupazione, la mancanza di case. Per risolvere questa situazione l'Algeria ha bisogno di un governo più credibile, sia all'interno sia davanti alla comunità internazionale. I problemi dei massacri e del terrorismo non si possono risolvere solo dall'interno: ci vuole l'aiuto della comunità internazionale".

L'affermazione "governo più credibile" è stata ripresa dalle agenzie di stampa internazionali, proprio a ridosso della rinuncia ufficiale di Zeroual (30 settembre) a portare a termine il suo mandato presidenziale (che sarebbe scaduto tra 21 mesi). Convocando le principali formazioni partitiche ufficiali, Zeroual ha annunciato l'indizione delle elezioni presidenziali per il prossimo febbraio, motivando il proprio gesto come un tentativo di creare "un clima favorevole all'alternanza di potere", promettendo inoltre elezioni "trasparenti, libere, eque".

Sono giunte critiche dal partito Unione per la cultura e la democrazia di Said Sadi e di Khalida Messaoudi, che ha giudicato la decisione di Zeroual anticostituzionale, e da altre fonti per la mancata dichiarazione di un impegno elettorale verso le più urgenti questioni sociali che colpiscono il paese.

1 Report of the panel appointed by Secretary-General of the United Nations to gather information on the situation in Algeria in order to provide the international community with greater clarity on that situation, 10.9.1998; prossimamente in Regno-doc. La delegazione era composta da M. Soares (presidente della delegazione; ex primo ministro portoghese), I.K. Gurjal (ex primo ministro indiano), A.K. Kabariti (ex primo ministro e ministro della difesa giordana), D. McHenry (ex rappresentante permanente degli Stati Uniti presso l'ONU), S. Veil (ex ministro francese ed ex presidente del Parlamento europeo), A. Wako (procuratore generale keniota).

articolo tratto da Il Regno logo

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