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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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G. Z.

Violenza di stato oltre la droga

"Il Regno" n. 20 del 1994

Non è vero che il narcotraffico e la guerriglia sono le principali cause del dilagare della violenza in Colombia: per quanto il governo tenti sempre di proporre a livello internazionale un’immagine di sé che lo vuole «vittima» di simili flagelli, le cifre sembrano dargli torto e attribuire piuttosto la gran parte delle responsabilità proprio ai crimini di stato.

Già all’inizio dell’anno, Amnesty International aveva messo in evidenza come il governo colombiano volesse far credere «che la maggioranza degli omicidi fosse stata commessa dai trafficanti di droga, dalla guerriglia o da soldati sbandati», e aveva denunciato che «in realtà gli assassinii sono in larga misura opera delle forze armate e della polizia».1

Questa tesi è stata sostenuta anche dal rapporto della Delegazione ecumenica per i diritti umani in Colombia, tra i cui firmatari figurano importanti presuli britannici quali l’arcivescovo cattolico di S. Andrews ed Edimburgh, Keith Michael Patrick O’Brien, e il vescovo anglicano di Rochester, Michael Turnbull, oltre a rappresentanti della Chiesa di Scozia, della chiesa metodista e della Chiesa unita riformata. Essi condividono pienamente il giudizio critico di Amnesty, che chiede «prove tangibili della determinazione del governo colombiano ad accompagnare alla propria retorica l’azione».

La «guerra sporca» all’ombra dell’impunità
Un resoconto più dettagliato sull’argomento viene recentemente offerto dall’opuscolo Colombia, questa democrazia genocida, redatto da p. Javier Giraldo s.j., segretario esecutivo della Commissione giustizia e pace della Conferenza dei religiosi della Colombia.2 L’idea di creare tale commissione, scaturita dall’assemblea annuale della Conferenza dei superiori maggiori religiosi della Colombia nel 1986, al fine di produrre uno strumento per «canalizzare e diffondere l’informazione e la denuncia nel paese», non trovò favorevole la conferenza episcopale che pose degli ostacoli alla sua realizzazione. Due anni dopo, «un gruppo di 25 superiori provinciali avviava, sotto la propria responsabilità, una Commissione intercongregazionale di giustizia e pace, la quale più tardi venne ufficialmente assunta dalla conferenza».

Tra le prime difficoltà operative della commissione vi fu quella di individuare dei criteri che permettessero di discernere e classificare le diverse violenze in un contesto di «guerra sporca», di un cosiddetto conflitto a bassa intensità. Ne sono stati quindi definiti alcuni di base: si parla allora di assassinii politici per i casi chiaramente riconducibili a moventi politici (repressioni nei confronti di posizioni ideologiche, politiche o puramente rivendicative); sono definiti invece assassinii presumibilmente politici quelli su cui si hanno informazioni più scarse, ma che presentano pur tuttavia alcuni tratti propri della classe precedente; si è in presenza poi di assassinii oscuri, laddove esistano dei dubbi nel collocarli tra gli episodi di delinquenza comune.

Accanto a queste, ci si è trovati costretti a creare anche la classe degli assassinii per epurazione sociale nella quale vengono compresi i casi di eliminazione fisica di drogati, ex detenuti, delinquenti, prostitute, omosessuali, mendicanti e bambini di strada. Si tratta di una pratica divenuta ormai abituale, dagli anni ‘80 in poi, per togliere definitivamente dalla circolazione persone che, anche qualora venissero denunciate, tornerebbero assai rapidamente in libertà. Spesso gli indizi chiamano in causa la polizia nazionale, il che fa pensare a una vera e propria ideologia neonazista in grado di legittimare, all’interno di un’istituzione dello stato, la negazione del diritto alla vita. Rispetto a tutti questi dati, la loro attribuzione all’una o all’altra classe viene evidentemente resa sempre più difficoltosa dallo specializzarsi della strategia della «guerra sporca», che da più di dieci anni perfeziona metodi di clandestinità e di copertura dei crimini. All’interno di questa logica stanno anche la costituzione di apparati paramilitari e la confusione con il narcotraffico.

La consunzione della coscienza morale
La Colombia vanta di essere una delle democrazie più solide dell’America latina: nell’ultima metà del secolo ha conosciuto la dittatura militare soltanto per quattro anni (1953-1957). Ciò nondimeno, il tasso di violenza supera abbondantemente quello di altri paesi ed è tra i più alti del mondo. Tanto per fare un confronto, la Commissione della verità e della riconciliazione del Cile registrò 2.700 casi di omicidio e scomparsa per motivi politici in 17 anni di dittatura militare. Questa cifra complessiva è largamente inferiore a quella registrata in un solo anno in Colombia. È dunque difficile pensare che tante morti siano state occultate, senza un qualche coinvolgimento dello stato. La nuova Costituzione del 1991 ha incorporato nel suo testo quasi tutte le dichiarazioni internazionali in difesa dei diritti umani; il governo ha moltiplicato i comitati e gli organismi ufficiali: purtroppo, però, all’atto pratico, chi si trova nel bisogno non incontra una reale risposta. Gli enti si rimbalzano reciprocamente la soluzione dei problemi, ma non hanno alcun potere effettivo per modificare o risolvere, per intaccare un modello la cui chiave di volta sta nell’impunità.

È già molto difficile persuadere una vittima, un testimone, un familiare a costituirsi parte civile in un processo, sottrarlo alla convinzione o di firmare in tal modo la propria condanna di morte o di attirare su di sé e sulla propria famiglia una catena infinita di sventure e ritorsioni. Ma l’inutilità dell’azione - legata, tra l’altro, allo svilimento del valore della testimonianza -, provoca lentamente la distruzione della coscienza morale e del tessuto sociale.

L’impunità dunque lascia intatte le strutture e consente che i crimini possano continuare a perpetrarsi, distrugge la fiducia del cittadino e lo stimola a cercare una giustizia privata, costituisce un affronto alle vittime e ai loro familiari, distrugge la credibilità delle istituzioni e lo stato di diritto. E per di più, essa ha spesso anche cercato una legittimazione religiosa attraverso il ricorso al valore cristiano del perdono. Tuttavia, «purtroppo il discorso su “perdono e dimenticanza”, assunto anche da alcuni episcopati, non fa minimamente allusione a quanto la tradizione teologica cristiana ci ha lasciato nei grandi catechismi», dove, come è noto, esso sempre si accompagna all’esame di coscienza, al pentimento, al proposito di non ricadere nell’errore, alla confessione e alla riparazione del danno. Nel trasferirlo all’interno della sfera dei rapporti giuridico-politici non si può certo trasformarlo in un abominevole atto di copertura del crimine e di distruzione della dignità umana, come invece si è spesso tentato di fare.

1 The Tablet, 4 giugno 1994, 716.

2 Giraldo J. s.j., Colombia, esta democracia genocida, Barcellona, settembre 1994; ogni successiva citazione fa riferimento a questo testo.


articolo tratto da Il Regno logo

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