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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

G. Z.

Corruzione e violenza mali di stato

"Il Regno" n. 8 del 1998

Riunito in assemblea plenaria a Santafé de Bogota’ dal 9 al 13 marzo, l'episcopato colombiano ha concentrato la propria attenzione attorno al problema cruciale della vita del paese. Mettendo a tema "La pastorale per la pace nell'attuale situazione di conflitto armato in Colombia", i vescovi hanno voluto riflettere sul possibile contributo della chiesa in questo contesto, contrassegnato da gravi violenze e pesanti ingiustizie. Al vertice della classifica mondiale dei paesi col maggior numero di assassinii, la Colombia è continuo scenario di rapimenti, detenzioni e processi arbitrari, torture, sequestri, massacri e operazioni di epurazione sociale contro omosessuali, prostitute, delinquenti comuni, bambini di strada. Dal gennaio al giugno 1996 si sono contati 522 assassinii politici, 60 per epurazione sociale, 71 sequestri, 14 casi di tortura, 624 di detenzione arbitraria, nonché 491 morti negli scontri armati interni.1

Nel corso dell'assemblea, l'argomento è stato affrontato a partire dal punto di vista biblico: il piano di Dio sulla pace; politico e sociale: le attuali dinamiche fondamentali del conflitto armato nel paese; giuridico e morale: il diritto internazionale umanitario e la pace; pastorale: le proposte concrete e le aspettative circa l'impegno dell'episcopato e della chiesa nell'opera di pacificazione.

Il papa, il presidente, la riconciliazione

Nel giorno di chiusura dei lavori, all'episcopato locale si è aggiunta la delegazione della Caritas internationalis in visita in Colombia dal 12 al 16 marzo, composta di vescovi europei e statunitensi e guidata da mons. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio consiglio "Cor unum". Essa recava un messaggio di Giovanni Paolo II, nel quale il papa ribadiva il suo appello alla riconciliazione nazionale già espresso lo scorso 5 febbraio ricevendo l'ambiguo e discusso presidente colombiano Ernesto Samper in Vaticano. "Questo incontro – ha affermato il pontefice – risponde all'urgenza, tanto avvertita dai vescovi del paese, di collaborare all'improrogabile compito di raggiungere la vera pace, mentre rende manifesta la sollecitudine dei pastori nell'ottenere il bene integrale delle persone e delle comunità di cui sono al servizio".

Il papa ha poi richiamato direttamente la drammatica esperienza dell'assenza di pace in Colombia e le sue nefaste conseguenze: "Le diverse forme di ingiustizia, che lasciano ferite profonde nella vita delle persone e nel tessuto sociale di questa nazione, sono gli effetti devastanti dei diversi conflitti che ancora perdurano nell'ambito sociale a causa dell'eccessiva differenza tra ricchi e poveri, della ricerca sfrenata del potere e del benessere e della scarsa attenzione al più bisognoso. Dietro di essi si percepisce l'ombra del peccato, quale fonte di ogni divisione che si produce nel più profondo del cuore umano e che impedisce la pace con se stessi e con gli altri. Di fronte a situazioni come queste, che affliggono tanti figli di Dio, desidero incoraggiarvi a conservare lo spirito pastorale che ispira questa iniziativa, con la quale si intende contribuire al superamento, attraverso la ricerca di adeguate forme di sviluppo, dei fenomeni della miseria, della delinquenza e del conflitto sociale".

Urgenza di conversione

Di tono analogo è anche il documento scaturito dall'assemblea della Conferenza episcopale, sotto il medesimo titolo La pastorale per la pace nell'attuale situazione di conflitto armato in Colombia. In esso i vescovi richiamano "l'urgenza di una conversione" e di un sostanziale "cambiamento di mentalità" per porre fine a un conflitto interno che in 11 anni ha causato più di 16.000 morti e che è aggravato da narcotraffico, sequestri di persona, estorsioni, ricatti, massacri. A ciò si affianca anche "un modello economico che incrementa la concentrazione della ricchezza" e che "aggrava il divario tra ricchi e poveri". Ribadendo "la necessità del negoziato politico mediante la conciliazione, il dialogo e un'azione efficace e decisa sulle cause che hanno generato il conflitto", la chiesa colombiana sollecita lo stato a "una decisa lotta contro la corruzione e l'impunità", le organizzazioni della società civile a promuovere le pratiche "del dialogo, della comunicazione e della concertazione", le parti in lotta a creare "le condizioni minime che consentano di avviare un processo di negoziato". Essa conta inoltre anche "sulla cooperazione della comunità internazionale", il cui aiuto può dimostrarsi determinante.

Nel complesso, il documento della Conferenza episcopale conferma per la chiesa colombiana quel cambiamento, in atto da qualche tempo, cui fa riferimento p. J. Giraldo s.j., in un'intervista rilasciata ad America, ovvero la crescita nella consapevolezza che "se la violenza proviene dai segmenti più poveri della popolazione essa nasce come reazione agli abusi nei confronti dei diritti umani di cui sono responsabili coloro che stanno al potere".2

Sulle responsabilità di chi sta al potere si era espresso di recente anche mons. P. Rubiano Sa’enz, arcivescovo di Bogota’, con un messaggio letto nelle chiese in cui criticava duramente la corruzione dei politici. Il fatto aveva subito suscitato vive reazioni di protesta sul quotidiano della capitale. A queste ultime è poi seguita una dichiarazione dei vescovi, dei vicari e dei sacerdoti della capitale che confermava l'opposizione a quei politici che intendono preservare "l'egemonia dei corrotti al Congresso", nonché il diritto della chiesa di poter "fare il suo dovere nel denunciare quei vizi e nell'invitare a una loro radicale correzione".

Dal punto di vista operativo, per sensibilizzare ulteriormente la popolazione attorno al tema della riconciliazione i vescovi colombiani hanno inoltre dedicato la terza Via Crucis nazionale, al tema della pace e della concordia. Dal 26 marzo al 5 aprile essa ha attraversato 14 città, partendo dalla regione caraibica di Valledupar e concludendosi nello stato di Monteri’a, ed è stata accompagnata da una speciale preghiera "per chiedere a Dio la forza per fare del paese un regno di pace, di vita e d'amore in ciascuna delle sue contrade".

La violenza tra stato e guerriglia

L'attuale conflitto tra la guerriglia e lo stato colombiano, iniziato negli anni '60, ha certamente origine nella lotta per l'acquisizione di risorse economiche e territori. Va tuttavia ricordato che il sistema politico del paese è fortemente escludente e tende quindi di per sé a canalizzare ogni forma di organizzazione autonoma o di dissidenza verso una clandestinità che spesso diviene sinonimo di lotta armata.

La Colombia è una delle democrazie più antiche dell'America Latina e, a differenza di altri paesi dell'area, ha conosciuto soltanto un breve periodo di dittatura militare dal 1954 al 1958. Da allora le forze armate si sono sempre viste sufficientemente garantite dal governo dei due principali partiti alternatisi al potere: quello liberale e quello conservatore. Questi ultimi, entrambi sostenuti dalle élites del paese, non si differenziano in maniera sostanziale se non per un più spiccato anticlericalismo del primo rispetto al secondo, tradizionalmente più legato alla chiesa cattolica.

Accanto al potere dei militari (al 1o posto nell'elenco dei responsabili di atti di violenza col 30%), l'altro elemento chiave è la quasi totale inesistenza della struttura giudiziale, che lascia impunito il 97% di tutti i crimini, favorendo di fatto le attività illegali come il traffico della droga e delle armi.

Dal lato della guerriglia (al 2o posto nelle violazioni col 16,5%), dopo i negoziati degli anni '80 e '90 restano ancora attive le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), sorta nel 1966 e di ispirazione sovietica, e l'Esercito di liberazione Nazionale (ELN), fondato nel 1964 e di matrice cubana. Più capaci dal punto di vista politico e militare di altri gruppi già smobilitati, è difficile che sottoscrivano accordi col governo in assenza di proposte dai contenuti reali.

A completare il quadro mancano i gruppi paramilitari (al 3o posto coll'11%) da molti giudicati creatura del governo, strumento per trasferire all'esterno delle forze armate la responsabilità di crimini efferati. In effetti la politica dei governi nei loro confronti è stata per lo più contraddittoria. Samper stesso aveva conquistato la presidenza nel 1994 (cf. Regno-att. 2,1995,37) dichiarando la loro illegalità e intollerabilità. Tuttavia, pochi mesi dopo permetteva la costituzione di Convivir (cooperative rurali di sicurezza armate dall'esercito). Nel 1995 mostrava poi di voler avviare il dialogo con i gruppi paramilitari più forti. A risposta, la Commissione di Giustizia e Pace della Colombia pubblicò un mordace articolo dal titolo "Dialogar consigo mismo, negociar consigo mismo" (Dialogare con se stessi, negoziare con se stessi),3in cui accusava esplicitamente il governo di voler far credere che i gruppi paramilitari operassero in maniera completamente autonoma.

Nessun dialogo con Samper

La ultime vicende verificatesi attorno alle elezioni parlamentari dell'8 marzo scorso testimoniano ulteriormente come la pace sia ancora lontana. Anche in questa occasione, come già per le elezioni municipali del 26.10.1997, la vera protagonista delle elezioni è stata la guerriglia, che, grazie alle sue azioni intimidatorie, è nuovamente riuscita nell'intento di tenere la popolazione lontana dalle urne, soprattutto nelle aree rurali. Con un astensionismo di circa il 60%, i colombiani votanti si sono districati nella giungla dei 7732 candidati distribuiti in 88 partiti, riconsegnando la maggioranza in Congresso – sia alla Camera dei rappresentanti, sia al Senato – al Partito liberale del presidente Samper.

La settimana precedente alle consultazioni era stata caratterizzata dall'offensiva della FARC, culminata nell'attacco a una brigata di 120 uomini dell'esercito nella regione del Caqueta’, nel sud del paese, con una quarantina di soldati uccisi e 27 prigionieri (83 uccisi e 43 prigionieri secondo la FARC). Al termine dell'operazione la FARC non ha esitato a convocare una conferenza stampa nella foresta, in cui ha ribadito la propria indisponibilità a dialogare con un presidente "corrotto e illegittimo", come quello attuale, inquisito per aver finanziato la propria campagna elettorale del 1994 col denaro del narcotraffico.

Al momento, di certo il clima di intimidazione non conoscerà affievolimenti fino alle presidenziali del prossimo maggio. La strada del dialogo, se mai sarà percorsa, potrà esserlo solo da un nuovo capo di stato. Nessuna analogia è possibile col caso cubano.


1 Cf. G. McDonald, La Construccio’n de la Paz desde Abajo. Perspectivas alternativas sobre el proceso de paz en Colombia, Catholic Institute for International Relations, London 1997.

2 Cf. C. Za’rate (a cura di), "Human Right Abuses In Colombia: An Interview With Javier Giraldo", in America, 4.4.1998, 22. P. Javier Giraldo s.i è il fondatore della Commissione inter-istituzionale di Giustizia e Pace in Colombia, cui partecipano 45 organizzazioni cattoliche.

3 Cf. "Dialogar Consigo Mismo... Negociar Consigo Mismo", Boleti’n Informativo de Justicia y Paz, Vol 8, n. 4, octubre-dicembre 1995.


articolo tratto da Il Regno logo

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