Un paese stanco, una chiesa più consapevole
L’aggravarsi della situazione politica e sociale in Colombia ha indotto alcuni settori della chiesa cattolica ad assumere una posizione nuova all'interno del paese. Non sono lontani i tempi in cui il clero colombiano veniva tacciato di pietismo e di tradizionalismo sul piano dottrinale, nonché di complicità con le strutture responsabili dell'endemica ingiustizia sociale del paese (una chiesa "fedele al Vaticano ma non alla sua gente", come ebbe a definirla un noto giornalista nel 1986). Si direbbe che, negli ultimi tempi, una nuova consapevolezza si stia facendo strada, a giudicare dal coinvolgimento attivo e coraggioso di molti uomini di chiesa nella lotta contro una violenza che, in Colombia, ha da quasi quarant'anni le fattezze di una vera e propria guerra civile.
Già una decina di anni fa i gesuiti – una presenza da sempre rilevante nel mondo cattolico colombiano – avevano lanciato il loro "Programa por la Paz", a cui dedicò molto tempo ed energie l’attuale superiore provinciale, Horacio Arango. Fu per volontà dei gesuiti, insieme alla Rete civica di iniziativa contro la guerra e per la pace (REDEPAZ), che nel 1994 fu indetta una settimana per la pace da tenersi con scadenza annuale, in cui coinvolgere tutti i settori della società civile, dalle istituzioni, alle scuole, ai mass media. Sempre i gesuiti, questa volta di concerto con la conferenza episcopale, hanno costituito negli ultimi anni una vera e propria équipe che viaggia di diocesi in diocesi, fornendo formazione e informazione sul tema dei diritti umani.
La voce della chiesa
Da parte sua, la Conferenza episcopale colombiana ha colto l'occasione della sua 67a Assemblea plenaria (tenutasi lo scorso luglio) per ribadire la propria preoccupazione riguardo al clima di violenza e di intimidazione che incombe sul paese, le cui forze armate regolari fronteggiano da anni i gruppi della guerriglia di estrema sinistra, da un lato, e le organizzazioni del narcotraffico, dall'altro, per non parlare della crescente minaccia costituita dalle formazioni paramilitari di estrema destra (quegli squadroni di "autodifesa" a cui non di rado l'esercito ha in passato garantito impunità, quando non addirittura supporto tecnico e addestramento). Oggi la chiesa – che ha istituito al proprio interno una Commissione per la riconciliazione nazionale – si fa portavoce della stanchezza della gente, che non ne può più di sequestri di persona, di massacri, di sparizioni, di cittadini sfollati, costretti ad abbandonare i propri luoghi di residenza quando questi diventano teatro di combattimento (si calcola che in tutto il paese ci siano almeno 1.400.000 déplacés).
Di fronte alla sfiducia e alla rassegnazione di molti settori della società colombiana (tra cui si sta diffondendo l’idea che solo un intervento militare esterno potrebbe arginare la violenza, vista l’inefficacia delle misure adottate sin qui dal governo), i vescovi si fanno promotori di speranza, e invitano tutti i cittadini di buona volontà ad adoperarsi per una società rinnovata, finalmente pacificata e solidale, fondata sui valori del Vangelo. A tal proposito, nel messaggio redatto a conclusione dei lavori assembleari, essi richiamano le parole che Giovanni Paolo II rivolse a politici e intellettuali colombiani durante la sua visita del 1986: la vera pace, scrivono, non coincide con una semplice cessazione della violenza, ma è la condizione e il prodotto di una società che deve avere i suoi punti di forza nella giustizia, nella riconciliazione, nella partecipazione e nel rispetto dei diritti di ogni persona.
I vescovi riconoscono gli sforzi attuati dal presidente Pastrana per avviare un processo di riconciliazione nazionale, sulla base del quale il 20 luglio scorso si sono aperti i colloqui tra esponenti del maggior gruppo guerrigliero, le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, di ispirazione marxista), e il governo. La Conferenza episcopale colombiana, nella persona dell'arcivescovo di Medellín, Alberto Giraldo Jaramillo (rieletto presidente della conferenza stessa durante la plenaria), ha dato il suo assenso all'agenda di dodici punti che dovrebbe costituire la piattaforma per il dialogo, appena avviato e già irto di ostacoli, ma ha criticato il governo per non avere ammesso al tavolo dei negoziati anche il secondo maggiore gruppo guerrigliero (ELN, Ejército de Liberación Nacional, di tendenza guevarista, più moderato delle FARC, guidato negli ultimi anni da un prete spagnolo, Manuel Pérez, morto a Cuba alcuni mesi fa).
"La pace deve essere fatta con tutti i gruppi, e richiederà lacrime, fatica e denaro", ha dichiarato il vescovo di Chiquinquirá, Héctor Gutiérrez Pabón; mentre il vescovo di Sincelejo ha giustamente richiamato la necessità di negoziare non soltanto con la guerriglia, ma anche con i narcotrafficanti (spesso collusi con i guerriglieri) e soprattutto con i gruppi paramilitari di estrema destra guidati da Carlos Castaño, che anche di recente (13 agosto) si sono macchiati dell'assassinio di un noto giornalista radiotelevisivo, Jaime Garzón (impegnato nella mediazione tra governo e guerriglia), oltre a un’incredibile quantità di massacri di civili, uccisi perché sospettati di fiancheggiare i guerriglieri di sinistra. La pericolosità crescente dei paramilitari (sorti in origine come milizie di autodifesa al soldo dei grandi proprietari terrieri minacciati dalla guerriglia) è attestata anche da alcune statistiche, secondo le quali sarebbero loro i responsabili del 70-80% di tutte le morti violente avvenute nel paese nel corso del 1997, nonché dell’88% di quelle avvenute dall’inizio di quest’anno.
Il nuovo rapimento del vescovo di Tibú
Dopo essere salito al potere nell’agosto del 1998, il presidente Pastrana ha attuato una politica di grande apertura e disponibilità verso le FARC (uno dei gruppi guerriglieri più antichi dell’intera America Latina), arrivando a concedere loro un territorio di 40.000 chilometri quadrati nel sud-est del paese, da cui sono state ritirate tutte le forze militari e di polizia. Questa operazione ha suscitato molte perplessità dentro e fuori il paese, e ha scatenato le rivendicazioni delle altre fazioni armate (ELN e paramilitari), che esigono ora a loro volta fette di territorio su cui esercitare un predominio incontrastato.
Nel messaggio rivolto ai propri concittadini a conclusione dell'annuale assemblea plenaria, i vescovi colombiani non esprimono alcun giudizio in merito a questa controversa iniziativa del governo. Ne criticano, invece, apertamente la politica economica, che ha portato nel giro di pochi mesi a un aumento dell'inflazione (oggi al 9%) e della disoccupazione (che, secondo i sindacati colombiani, potrebbe arrivare fino al 24% nella seconda metà del 1999), aggravando il processo di impoverimento già in atto tra la popolazione stremata. Agli inizi di settembre i sindacati hanno intrapreso uno sciopero nazionale per manifestare contro la politica economica di Pastrana, ma la protesta è stata sospesa dopo tre giorni di scontri e di dura repressione (una bambina è morta, 26 persone sono state ferite e quasi 300 arrestate).
L'imparzialità e l'autonomia della chiesa colombiana nella lotta per la pace, la giustizia sociale e i diritti umani espone inevitabilmente i suoi esponenti alle rappresaglie di tutte le parti in lotta. Il nuovo rapimento (è la terza volta) del vescovo di Tibú, José de Jesús Quintero Díaz, lo scorso 15 agosto, mentre celebrava la messa dell'Assunzione, ne è il segno evidente e ormai drammatico. Pare che, questa volta, responsabile del rapimento sia un gruppo guerrigliero minore (Ejército Popular de Liberación), ma lo stesso vescovo è già stato tenuto prigioniero all'inizio di quest'anno da una formazione paramilitare di estrema destra, e in precedenza da un altro gruppo guerrigliero marxista. Sono circa 1400 le persone attualmente nelle mani dei vari gruppi armati presenti in Colombia, e 3200 sono i desaparecidos. A metà agosto, i morti ammazzati nel corso del 1999 ammontavano a quasi 3000 (provocati nell'88% dei casi dai paramilitari), mentre alla stessa data i negoziati tra governo e FARC erano a un punto di stallo.
Nelle ultime settimane, però, sembra crescere l'insofferenza dei colombiani, mentre si moltiplicano le iniziative contro la guerra: tra il 6 e il 12 settembre si è svolta l'annuale settimana della pace, mentre dall'inizio dello stesso mese i telegiornali colombiani hanno iniziato a trasmettere le notizie riguardanti la violenza – di qualsiasi colore essa sia – in bianco e nero. Anche se puramente simbolici, questi atti testimoniano il desiderio della popolazione civile di farla finita con lo stato di sostanziale guerra civile vigente nel paese. E a questo diffuso anelito alla riconciliazione danno voce i vescovi, quando scrivono: "Interpretando la speranza dei colombiani, esigiamo da quanti si sederanno al tavolo dei negoziati per la ricerca della pace che i colloqui non si interrompano prima che sia stato ottenuto qualcosa di positivo per il paese".