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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Antonella Borghi

Il negoziato e la repressione

"Il Regno" n. 2 del 2001

Sono trascorsi più di due anni dall’insediamento di Andrés Pastrana alla presidenza della Colombia, e poco meno dall’avvio del suo tentativo di riconciliazione tra stato e gruppi guerriglieri. Ma i dati parlano chiaro: il paese sudamericano continua a essere uno dei più violenti e insicuri dell’intero pianeta. Se fin dall’inizio lo stile negoziale e le scelte del presidente avevano suscitato lo scetticismo di molti osservatori, a questo punto la gran parte dei colombiani sembra essersi convinta che la via intrapresa non porti da nessuna parte.

Degli umori dei cittadini, oltre che della Chiesa cattolica, si era fatto interprete lo scorso ottobre anche l’arcivescovo di Bogotà, Pedro Rubiano, che durante la giornata nazionale di preghiera celebrata il 7 ottobre scorso per implorare la fine della guerra fratricida che da quarant’anni insanguina la Colombia, si era espresso in termini inequivocabilmente critici: "Attualmente, il negoziato (...) è diventato una burla. Abbiamo bisogno che il processo di pace vada avanti. Per questo chiediamo al governo e alla guerriglia di dare concretezza ai punti di dialogo con i fatti, e non solo con le parole".

Le scelte di Pastrana

La scelta di Pastrana di prendere sul serio le motivazioni e le rivendicazioni della controparte armata, concedendo alle Forze armate rivoluzionarie colombiane (FARC, il maggiore dei gruppi guerriglieri d’ispirazione marxista, forte di 17.000 uomini) niente meno che il controllo di una zona smilitarizzata a sud del paese, progressivamente estesa a 42.000 km quadrati (le dimensioni della Svizzera o del Salvador), sembra essere stata assai poco felice, visto che adesso anche l’Esercito di liberazione nazionale (ELN, il secondo gruppo armato) rivendica il diritto a una propria enclave sottratta al controllo dell’esercito e delle forze di polizia (cf. Regno-att. 16,1999,562).

In questi due anni, d’altra parte, la violenza terroristica non si è affatto ridotta, se è vero (come riportato dall’agenzia Reuters sulla base di un rapporto ufficiale riguardante l’attività criminale nel paese) che nel corso del 2000 si sono avuti una media di 71 morti violente e 4 attacchi terroristici al giorno, 205 massacri collettivi che hanno lasciato sul terreno 1.226 persone (quasi sempre civili inermi in piccole contrade agricole), 83 attacchi contro città o villaggi in cui sono stati distrutti – per lo più con missili "fatti in casa" – oltre 1000 fabbricati, e, ciliegina sulla torta, 3.029 rapimenti, 84 in più dell’anno precedente (e questo dato, che non comprende il mese di dicembre, conferisce alla Colombia il poco invidiabile record mondiale nel settore).

"I colombiani sono stanchi di tutta questa violenza", aveva detto mons. Rubiano durante la giornata di preghiera per la pacificazione, "e lo hanno manifestato con marce, proteste, bandiere bianche, spegnendo le luci delle loro case e, adesso, recitando il rosario". E tuttavia, l’unico vero cambiamento da registrare nella strategia governativa, più che il terrorismo, riguarda la lotta al narcotraffico (ma i due gravi fenomeni, secondo l'opinione di molti, sono collegati, tanto da far parlare di "narcoguerriglia"), e consiste nella messa a punto e imminente entrata a regime del "Piano per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello stato", più comunemente noto come Plan Colombia.

Si tratta di un accordo tra il governo colombiano e quello degli Stati Uniti, lanciato a settembre del 1999 e sancito ufficialmente dalla visita ufficiale di Clinton a Bogotà alla fine dello scorso agosto. Il piano prevede uno stanziamento di un miliardo e trecentomila dollari per aiutare la guerra a tutto campo dichiarata da Pastrana ai narcotrafficanti, che da decenni fanno il bello e il cattivo tempo nell'economia del paese (godendo anche, un tempo, di connivenze negli ambienti militari e tra le élites politico-economiche colombiane). L’aiuto statunitense si tradurrà soprattutto in equipaggiamento bellico (si parla di 90 elicotteri dell’esercito USA destinati al paese andino), nonché in addestramento tecnico da parte di piloti, esperti militari e strateghi della lotta antidroga.

Davanti alle aspre critiche rivolte al Plan dentro e fuori il paese da parte di chi paventa una sorta di occupazione militare della Colombia da parte degli Stati Uniti, sia Pastrana sia Clinton hanno ribadito a più riprese che l’accordo non prevede alcun dispiegamento sul campo di militari USA. "Questo non è il Vietnam, e non è nemmeno imperialismo yankee", ha replicato Clinton durante il suo soggiorno colombiano. "Molta dell’opposizione a questo piano arriva da gente che ha solo paura che funzioni".

La violazione dei diritti umani

Sarà anche vero, visti gli interessi vertiginosi che stanno dietro alla produzione della coca (la Colombia produce il 90 % della cocaina che si consuma nel mondo ed esporta 6 tonnellate di eroina all’anno); ma molte voci critiche che si sono levate contro gli Stati Uniti denunciano soprattutto la concessione "facile" di aiuti a un paese che non fornisce garanzie sufficienti quanto al rispetto dei diritti umani. L’amministrazione Clinton sostiene che il governo di Pastrana si è impegnato a migliorare la situazione e a sospendere dal servizio tutti i militari sospettati di abusi contro i diritti umani per processarli (sarebbero "centinaia", secondo un funzionario del Dipartimento di stato americano) ma le organizzazioni di tutela biasimano la scelta statunitense di glissare su alcune questioni di principio nell’ottica dell’emergenza.

Anche l’arcivescovo di Medellín, Alberto Giraldo, aveva sostenuto che l’erogazione degli aiuti dovesse "essere condizionata dal rispetto dei diritti umani", mentre l’intero episcopato colombiano, in un documento pubblicato lo scorso settembre, aveva auspicato che l’asse portante del Plan Colombia fosse di carattere umanitario, per venire incontro ai colombiani più bisognosi (va tenuto presente che, durante il primo anno dell’amministrazione Pastrana, la recessione economica si è aggravata, con una contrazione del 5% del PIL, mentre la disoccupazione, specie nelle aree urbane, ha sfiorato il 20%). I vescovi avevano invocato "un equilibrio coerente tra l’aiuto militare e l’aiuto umanitario per lo sviluppo", ma pare che la realtà degli accordi intergovernativi vada in tutt’altra direzione.

La paura di molti è che l’attuazione del Plan Colombia porti a una recrudescenza degli scontri e delle violenze, e che a farne le spese siano come al solito i civili inermi, che hanno già pagato un alto tributo a questa guerra civile non dichiarata, la quale nel corso di quattro decenni ha lasciato sul terreno 35.000 morti e provocato 1.800.000 rifugiati interni, ossia persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa della guerriglia di sinistra o dei gruppi paramilitari di estrema destra, che spesso difendono con la violenza gli interessi dei narcotrafficanti.

Narcomafie e narcoguerriglia

È proprio a causa delle fazioni paramilitari che lo scorso novembre le FARC hanno deciso di recedere dal dialogo faticosamente avviato da Pastrana, ponendo come condizione per la ripresa dei negoziati un giro di vite governativo contro i gruppi della destra armata. A chi li accusa di essere a loro volta collusi con il narcotraffico (e non è un mistero per nessuno che la guerriglia percepisca una sorta di "imposta" sulla droga nelle regioni sotto il suo controllo), i dirigenti delle FARC rispondono: "Non spetta certo a noi spingere alla carestia i contadini, che sono la nostra base sociale, per sradicare le colture illecite. D’altra parte, le narcomafie aiutano l’esercito a finanziare i paramilitari. Perché dovremmo essere solo noi a porci da un punto di vista etico rispetto a questo flagello?".

Ma intanto si diffonde l'impressione che la condiscendenza mostrata da Pastrana verso i gruppi terroristici non abbia fatto che accrescere la loro arroganza, senza intaccarne la brutalità e la propensione alla violenza.

Tra chi la pensa così c’è l’arcivescovo di Cali, mons. Isaia Duarte Cansino, che a fine agosto, in seguito all'ennesimo attacco delle FARC contro un villaggio (durato 18 ore, alla fine del quale i guerriglieri si sono messi a giocare con le teste dei poliziotti e dei militari uccisi), aveva pubblicato un editoriale durissimo sul quotidiano di Cali El País. "Il popolo colombiano – vi si leggeva – guarda attonito ai continui soprusi della guerriglia contro le umili popolazioni colombiane; la guerriglia, tuttavia, ha l’insolenza di affermare che essa rappresenta il popolo della Colombia sui tavoli di negoziato, mentre sappiamo che l’unica cosa che fa è oltraggiarlo, umiliarlo e distruggerlo con sequestri, violenza in tutte le sue forme e morte. (...) Fino a quando nella nostra patria dovremo sopportare un gruppo di vandali che, solo perché portano tre o quattro fasce al braccio (ELN, FARC), pensano che gli sia permesso seminare panico e terrore nella nostra terra, operando come orde sanguinarie e fratricide, commettendo sequestri, crimini, genocidi e attacchi a popolazioni e polizia indifesa, in una parola "crimini contro l’umanità"?".

Senza nessun accenno alle efferatezze commesse anche dai gruppi paramilitari, l'arcivescovo concludeva il suo intervento con un'invocazione a Dio e una staffilata al governo. "Chiediamo al Signore che questi guerriglieri della Colombia sentano nel profondo della loro anima il dolore di uccidere un fratello innocente e indifeso, perché capiscano che non stanno combattendo una guerra giusta, ma solo ripetendo la barbarie di epoche oscure e tristi della storia umana, e perché si convertano dalla loro vita malvagia. (...) Chiediamo al Signore che il governo colombiano faccia osservare la Costituzione e percorra vie di pace, nella giustizia sociale e nella concordia tra tutti i colombiani. Voglia Dio che la stessa società civile, oltraggiata e umiliata, possa sedersi un giorno ai tavoli di negoziato per difendere i propri diritti e chiedere a quei violenti quanto lo stato colombiano non è stato capace di chiedere".

articolo tratto da Il Regno logo

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