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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Antonella Borghi

Plan Colombia: No dei vescovi e dell’Europa

Mentre il controverso Plan Colombia comincia ad andare a regime (cf. Regno-att. 2,2001,47), l'Unione Europea (UE) unisce la propria voce a quella dei molti critici dell'accordo, firmato nell'agosto 2000 dal presidente colombiano Pastrana e dall'ex presidente Clinton, e lancia un piano alternativo di sostegno al processo di pacificazione, rivolto più alla società civile e alle ONG che non al governo colombiano.

La decisione è maturata anche in seguito a un attento esame da parte della Commissione per lo sviluppo dell'UE del rapporto "Colombia nunca más", presentato lo scorso 28 novembre davanti al Parlamento europeo da Ivan Forero, attivista colombiano per la difesa dei diritti umani. Il rapporto, nato dalla collaborazione di 17 organizzazioni della società civile impegnate sul pericoloso fronte della tutela dei diritti e delle vittime degli abusi, è un impressionante catalogo di crimini commessi tra il 1966 e il 1998: tre volumi per un totale di 1.700 pagine in cui si dà conto di 29.000 esecuzioni extragiudiziali, 2.800 sparizioni senza ritorno, 7.000 casi di tortura; e tutto questo in solo due delle 18 zone in cui il paese è stato suddiviso.

Processo di pacificazione: i primi passi

Il rapporto dà conto dei crimini commessi da parte dei gruppi paramilitari che si raccolgono sotto le insegne delle AUC (Autodefensas unidas de Colombia, forti di 8.000 uomini), la cui collusione con certi ambienti militari istituzionali è nota, anche se nel paese sudamericano l'impunità regna sovrana. "Durante le indagini per il rapporto – ha detto Forero, presentando "Colombia Nunca más" a Roma lo scorso 23 gennaio – abbiamo individuato più di 80 meccanismi di impunità ideati dallo stato per coprire gli assassini, meccanismi legali come, per esempio, spostare i processi nei tribunali militari, dove i responsabili morali si costituiscono giudici, e quelli materiali si giustificano con la formula dell'obbedienza dovuta".

Accuse molto pesanti, che rischiano di minare la credibilità dello stato colombiano, nuovamente impegnato, nella persona del presidente Pastrana, a negoziare con il maggiore e più antico gruppo guerrigliero del paese, le FARC (Forze armate rivoluzionarie di Colombia). I colloqui sono ripresi l'8 e il 9 febbraio scorso, dopo un'interruzione di quasi tre mesi con cui le FARC avevano inteso denunciare la scarsa volontà governativa di prendere misure efficaci contro i gruppi paramilitari. Dopo l'incontro, svoltosi presso la località di Los Pozos, a poca distanza da San Vicente del Caguan (grosso borgo commerciale divenuto la "capitale" della zona demilitarizzata concessa nel novembre 1998 da Pastrana al gruppo guerrigliero), il presidente colombiano e Manuel Marulanda (capo storico delle FARC, che ha trascorso in clandestinità 50 dei suoi 70 anni di vita) hanno reso nota una piattaforma di negoziato in 13 punti, più significativa per i toni concilianti che per i contenuti, dal momento che si resta ancora sul piano delle buone intenzioni.

Gli snodi principali sono i seguenti: il governo prolunga fino al 9 ottobre prossimo la concessione alle FARC della cosiddetta "zona di distensione", ossia l'area di 42.000 km2 sottratta al controllo delle autorità militari e di polizia; riconosce inoltre la gravità del fenomeno paramilitare e si impegna ad arginarlo; per la prima volta si fa menzione di un eventuale cessate il fuoco tra le parti, più volte auspicato dal governo; ci si impegna ad "accelerare la negoziazione di un accordo umanitario per permettere la liberazione dei prigionieri ammalati"1 (cf. Le Monde 10.2.2001; va ricordato che sono circa 464 i militari e i poliziotti tenuti in ostaggio dai guerriglieri, alcuni da più di tre anni, e circa altrettanti i militanti delle FARC detenuti nelle carceri colombiane). La guerriglia (anch'essa tradizionalmente collusa con l'economia legata alla coca nelle aree di sua cometenza, tanto da essere definita da più parti "narco-guerriglia") ribadisce il suo appoggio all'eradicazione manuale delle piantagioni di coca concertata con le comunità locali, in opposizione ai piani di fumigazione aerea finanziati dagli Stati Uniti, che stanno provocando danni ambientali enormi, oltre a distruggere anche colture innocue che nulla hanno a che fare con la droga.

Ma la novità vera, l'elemento che induce a sperare che non si tratti solo dell'ennesima messinscena negoziale priva di risultati, è che, vincendo la tradizionale riluttanza della guerriglia, il processo di pacificazione in Colombia si apre alla supervisione della comunità internazionale. Lo scorso 8 marzo, infatti, a Villa Nueva Colombia (sempre nella zona demilitarizzata controllata dalle FARC) sono stati invitati gli ambasciatori di 23 nazioni (12 dell'Unione Europea, gli altri asiatici e latino-americani), un rappresentante del Vaticano, uno della UE, oltre a un alto funzionario dell'ONU. Costoro, una volta messi al corrente degli ultimi sviluppi del negoziato da parte di Camilo Gómez (l'alto commissario per la pace nominato un anno fa da Pastrana) e da Alfonso Cano (considerato l'ideologo delle FARC), sono stati sollecitati ad appoggiare in modo attivo il processo di pace. Alla fine, si è giunti a delineare un doppio livello di monitoraggio internazionale: una Commissione "facilitadora", composta da 10 paesi (6 europei e 4 sudamericani), avrà il compito di agevolare le trattative di pace, partecipando ogni due mesi ai negoziati; mentre un Gruppo di 26 paesi amici (tra cui Spagna, Cuba, Francia, Norvegia e Svizzera) si incontreranno ogni sei mesi – insieme a mons. Alberto Giraldo Jaramillo (arcivescovo di Medellín e presidente della Conferenza episcopale colombiana) per il governo e ad Andrés Paris in rappresentanza delle FARC – per fare il punto della situazione e rimuovere eventuali ostacoli alle trattative.

L’intervento dell’Europa

Da parte sua, l'Unione Europea si era già espressa a favore di un processo di pacificazione interna che non implicasse la militarizzazione del territorio e delle frontiere con i paesi limitrofi. "L'intervento dell'Unione Europea – si legge nel documento in 22 punti approvato il 1 febbraio con 474 voti a favore, un solo voto contrario e 33 astenuti – dovrebbe perseguire una propria strategia non militare che coniughi neutralità, trasparenza, partecipazione della società civile e impegni delle parti coinvolte nei negoziati. (…) In materia di lotta contro le colture illegali le soluzioni negoziate e concertate, la riforma agraria e le colture alternative, così come le azioni penali contro i trafficanti e gli operatori del riciclaggio, dovrebbero essere prioritarie rispetto alle campagne di fumigazione".

No, dunque, all'impostazione militaresca e ai metodi da tabula rasa del Plan Colombia, che grazie al miliardo e trecento milioni di dollari stanziati dagli USA sta finanziando nuove basi militari e navali in Ecuador, oltre a fornire elicotteri da combattimento, armi e addestramento alle squadre antinarcotici colombiane (500 consiglieri nordamericani sono già presenti nella regione). Più modestamente, l'UE ha deciso di stanziare per il periodo 2000-2006 105 milioni di euro (pari a circa 95 milioni di dollari) finalizzati a progetti di riconversione agricola alternativi alla coca, che verranno gestiti da organizzazioni colombiane non governative (dato l'alto tasso di corruzione degli apparati di governo); ulteriori misure di sostegno economico verranno decise il 30 aprile prossimo a Bruxelles, come ha assicurato durante una sua visita lampo in Colombia Javier Solana, l'incaricato europeo per la politica estera e la sicurezza.

I vescovi: rispettate la verità e la giustizia

A favore del dialogo e di un lento cammino di riconciliazione è anche la Conferenza episcopale colombiana, il cui attivo coinvolgimento nel processo a fianco delle istituzioni è attestato dalla presenza del suo presidente (mons. Giraldo Jaramilllo) nella commissione negoziatrice. "Siamo disposti a seguire i diversi processi di avvicinamento e di dialogo avviati con i gruppi armati", si legge nel documento redatto al termine della LXX Assemblea plenaria, conclusasi lo scorso 9 marzo. Ma "riteniamo indispensabile ricordare che un dialogo autentico è possibile solo in un contesto di rispetto per la verità e la giustizia (…) La fede in Gesù Cristo è per noi motivo di amore per la Colombia e per ogni colombiano. Dal nostro patriottismo nasce la determinazione ad adoperarsi per sostenere ciò che porta a garantire il rispetto per lo stato di diritto e per l'autentica democrazia".

Parole, queste, che sembrerebbero smentire il gesuita colombiano Javier Giraldo, fondatore della commissione Giustizia e pace, nonché animatore di una campagna contro l'impunità, secondo il quale l'atteggiamento dell'episcopato e della Chiesa in generale favorirebbe "una riconciliazione fondata sull'oblio, che impone di fare tabula rasa del passato per costruire un futuro senza memoria. (…) Il valore cristiano della riconciliazione viene così messo a servizio dell'impunità, falsificandone il senso e violandone il carattere, perché il perdono cristiano è un gesto libero e non imposto, e serve a ricostruire la fraternità, non a garantire l'impunità". A tal proposito, la Commissione interamericana dei diritti umani, nel suo terzo rapporto sulla Colombia pubblicato nel 1999, denunciava che il 99% delle violazioni perpetrate restavano senza colpevole.

articolo tratto da Il Regno logo

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