Nei conflitti testimone della speranza
Intervento del card. Pedro Rubiano Sáenz, arcivescovo di Bogotà, alla X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema "Il vescovo servitore della comunione" (Roma, 30 settembre-27 ottobre 2001)
Il vescovo della diocesi di San José del Guaviare, Colombia, zona su cui maggiormente incombe il duplice flagello della guerriglia e del narcotraffico, mi scrive: "Il nostro ministero nel Guaviare è così difficile che a volte ci sembra impraticabile". Seguono alcune ragioni: "Il narcotraffico ha corrotto le autorità". "È andata crescendo nella popolazione la cultura della coca". Il clero, le religiose e gli operatori pastorali "soffrono l’indicibile e hanno paura". E conclude: "Evangelizzare in queste circostanze richiede una vocazione da martiri, perché se denunciamo ci uccidono... Se evangelizziamo senza prendere posizioni nette, non ci credono".1
Questa situazione di guerra, violenza e sequestri si ripete indiscriminatamente in tutto il territorio nazionale; non c’è alcun vescovo che non l’abbia sperimentata e che non abbia vissuto la solidarietà dei suoi fratelli vescovi.
Tutto questo non ci deve sconcertare, perché la Chiesa, "solidale con il genere umano e con la sua storia",2 in tutte le epoche, sin dalla sua nascita, si è trovata in situazioni di conflitto, generalmente a causa di persecuzioni o di guerre. Oggi in Colombia non c’è una vera e propria persecuzione contro la Chiesa, ma la violenza, dopo più di 50 anni di conflitto, è diventata uno "stato permanente" che ha dato vita a una cultura bellica3 e a un grave deterioramento nel modo di vivere la fede.
Sorge così la domanda pastorale: perché il Vangelo non è penetrato fin nel profondo di una società che si definisce cristiana? Nel VI Sinodo arcidiocesano, conclusosi nel 1998,4 la Chiesa particolare di Bogotà, dopo un’ampia consultazione, ha riconosciuto che il Vangelo non sembra essere ciò che conforma la Chiesa, "non è il Vangelo che ispira sufficientemente i modelli organizzativi, né i modi di parlare o di essere presenti".5 Inoltre, "la Chiesa, popolo di Dio, appare come annacquata... e il cristianesimo non sembra essere incarnato nel mondo".6
Gli artefici della società pluralista, in particolare i politici e gli economisti, che si considerano in maggioranza cattolici, non sono riusciti a sanare il grave conflitto strutturale su cui il santo padre Giovanni Paolo II aveva richiamato la nostra attenzione nel discorso inaugurale di Puebla: "alla ricchezza crescente dei pochi corrisponde parallelamente la miseria crescente delle masse".7 Questa inerzia consolida una situazione di ingiustizia, terreno fertile per legittimare l’azione dei violenti.
Nelle realtà di conflitto, il vescovo è segno di speranza e testimone del Vangelo; come uomo di preghiera, ancorato alla parola di Dio, accompagna il suo popolo. Segno e testimonianza offerti con tale coraggio da dare alla Chiesa la credibilità necessaria per intervenire nei processi di pace ed essere promotrice di dialogo e riconciliazione.8 I violenti hanno tentato di mettere a tacere la voce e l’azione della Chiesa, che non vacilla nel compiere la sua missione.
Il vescovo che si trova in una situazione di conflitto incoraggia tutti coloro che si sentono senza speranza per via della violenza e della mancanza di libertà e va oltre "il modello tradizionale dell’episcopato per diventare un compagno di viaggio che, come pastore, guida, offre parole credibili da ascoltare... il vescovo deve apparire agli occhi degli uomini, credenti o non credenti, come un essere profondamente umano e vicino, che sa vivere la compassione secondo lo stile evangelico".9
Il vescovo, per il vincolo sacramentale che lo lega ai suoi presbiteri e ai suoi diaconi, li accompagna come vero padre e amico autentico e li sostiene particolarmente nelle difficoltà, affinché si mantengano forti e vivano il loro impegno sacerdotale nell’annuncio del Vangelo e, seguendo l’esempio di Gesù Cristo, il buon pastore, invitino alla conversione e gettino ponti per la riconciliazione.
Il vescovo, come pastore attento, sostiene e accompagna le persone consacrate, i ministri laici, i catechisti e gli altri operatori pastorali che svolgono la loro attività apostolica nella Chiesa particolare, affinché rendano testimonianza di Gesù Cristo e siano segno di speranza.10
I sacerdoti che si trovano in grave minaccia di vita si aspettano l’appoggio e la consolazione del loro vescovo, affinché restino saldi nell’esercizio del loro ministero e siano protetti in situazioni estreme. In molti casi, il vescovo deve prendere misure eccezionali, come allontanarli dalla diocesi e, a volte, dal paese.
I massacri e le distruzioni di popolazioni indifese si sono moltiplicati e hanno dato vita a un esodo di massa. Dinanzi a queste tragedie, il vescovo, segno di speranza "con la sua vicinanza alle persone e alle famiglie colpite", alza la voce contro i responsabili di tali crimini.
Il vescovo, che ripone la sua fiducia nel Signore, deve assumersi un impegno fermo e sereno nei confronti di tante vittime della violenza che sono costrette a lasciare le loro case. Con la sua ordinazione, il vescovo promette di vegliare sui migranti, impegno che ha una risonanza particolare dinanzi al dramma di numerosi profughi.11
Il vescovo, come testimone della speranza, deve proclamare la verità, denunciare gli attentati contro la dignità della persona umana, con coraggio e chiarezza, difendere la vita e promuovere i diritti umani, con audacia e prudenza, tenendo presente che egli è il primo evangelizzatore e il primo catechista del popolo che gli è stato affidato.
Il vescovo, testimone della speranza, deve saper usare le armi, non quelle del mercenario, ma quelle del buon pastore, descritte dall’apostolo Paolo nella sua Lettera agli Efesini: in primo luogo la verità, che si riveste sempre della corazza della giustizia, tenendo in mano lo scudo della fede e la spada dello Spirito, la parola di Dio.13
Il vescovo, nel conflitto, è ministro per eccellenza della riconciliazione e del perdono;14 come testimone della speranza deve insistere sulla forza dell’amore cristiano, capace di perdonare il nemico e quanti ci perseguitano.15 Invita alla conversione, per cancellare dal cuore i sentimenti di odio e vendetta.
Camminiamo con speranza e senza paura16, perché seguiamo il Signore per vincere il male con la forza del bene. La situazione difficile che ci è toccato vivere diventa occasione per dimostrare la docilità allo Spirito Santo e per trasformarci in costruttori di pace e strumenti della misericordia e dell’amore di Dio.
1° ottobre 2001
Pedro card. Rubiano Sáenz,
arcivescovo di Bogotá, Colombia
1 Lettera di mons. Belarmino Correa Yespes, vescovo di San José de Guaviare, 30.7.2001.
2 Gaudium et spes, n. 1 ; EV 1/1319.
3 Il cosiddetto "Bogotazo" del 9 aprile 1948 viene considerato la data d’inizio della guerra in Colombia; quel giorno fu assassinato il leader popolare Jorge Eliécer Gaitán e in tutto il paese ci furono atti di barbarie. A Bogotà, per esempio, furono incendiati il palazzo arcivescovile, la nunziatura, vari conventi di clausura, ecc. A partire da questo momento, la cosiddetta "violenza politica" si evolvette in una lotta tra i sostenitori dei due partiti politici: liberale e conservatore; negli anni cinquanta questa situazione aprì la strada a una graduale diffusione dell’ideologia marxista nelle sue diverse "linee": filo-sovietica, filo-castrista, filo-maoista, e così via. Le FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), ad esempio, sono attive da oltre 40 anni; l’ELN (Esercito di liberazione nazionale) ha più di 30 anni. Il tramonto del marxismo e il declino della cosiddetta teologia della liberazione legata a questa ideologia hanno adombrato l’aspetto politico; ma, nello stesso tempo, è emerso un fattore nuovo: è cresciuto il narcotraffico (cocaina e ora anche eroina), con la sua sequela di corruzione e internazionalizzazione, che acquista sempre più potere grazie anche all’alleanza, per lo meno strategica, tra narcotrafficanti e guerriglieri. Si diffonde l’"industria" dei sequestri a scopo di estorsione, aumenta il terrorismo, si organizza la reazione paramilitare e, accanto all’emigrazione politica e all’esilio politico, si sviluppa il fenomeno dei profughi interni.
4 Il VI Sinodo dell’arcidiocesi di Bogotà fu convocato il 17.11.1989 dal mio predecessore card. Mario Revollo Bravo, che avviò i lavori di preparazione e consultazione; quando fui incaricato della cura pastorale dell’arcidiocesi l’11.2.1995, decisi di portare avanti il processo sinodale, che si concluse il 9.7.1998. Le Dichiarazioni sinodali furono poste in atto il 4.8.1999 con la pubblicazione del Piano globale di pastorale.
5 Lo reconocido en la escucha, dichiarazioni sinodali, p. 19s.
6 Lo reconocido en la escucha, 20.
7 Giovanni Paolo II, Discorso alla III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, Puebla, 28.1.1979, III, n. 4; Regno-doc. 5,1979,102.
8 Come presidente della Conferenza episcopale colombiana, ho creato la Commissione per la conciliazione nazionale, attualmente presieduta da mons. Alberto Giraldo Jaramillo, arcivescovo di Medellín e presidente della Conferenza, il quale è stato nominato dal governo nazionale come consulente permanente nel processo di pace. Numerose sono le testimonianze di vescovi che hanno partecipato attivamente ai processi di pace e/o hanno intrapreso azioni concrete e precise a favore della pace. Di solito si ricorre alla Chiesa come intermediaria, garante o promotrice della pace. Molti vescovi si sono esposti recandosi in visita in luoghi controllati dai guerriglieri o dai paramilitari. Abbiamo avuto l’appoggio del nunzio apostolico e del CELAM.
9 Mons. Héctor Salah Zuleta, vescovo di Girardota Riflessione su El obispo, su presencia y compromiso en la situación de conflicto en Colombia.
10 Lumen gentium, n. 28; EV 1/354ss.
11 Cf. Interrogatorio precedente al Rito di consacrazione nell’ordinazione episcopale.
12 Cf. Christus Dominus, n. 13; EV 1/599s; e III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano (Puebla 1979), Documento finale, n. 687.
13 Ef 6,10-20.
14 Cf. 2Cor 5,17-20.
15 Cf. Mt 5,43-48.
16 Cf. Mt 8,25-26; Mt 14,29-31; Mt 17,7; Mt 10,31; Mt 14,27; Mt 28,5; Lc 2,10.