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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Antonella Borghi

Ammalati di violenza e ingiustizia

"Il Regno" n. 8 del 2002

L’assassinio di mons. Duarte e il fallimento delle trattative con la guerriglia. Il ruolo del narcotraffico.


La mezzanotte del 20 febbraio 2002 ha segnato la fine dell’inutile processo di pace avviato dal presidente Andrés Pastrana in Colombia poco dopo il suo insediamento, avvenuto nell’agosto del 1998. "Non possiamo più sopportare altre crudeltà da parte di quelli che dicono di volere la pace. Non è possibile firmare accordi con una mano, e con l’altra puntare il fucile alla testa degli innocenti. Basta! Siamo stanchi dell’ipocrisia della guerriglia. Noi colombiani abbiamo offerto una mano aperta, e le FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia, ndr) ci hanno risposto con uno schiaffo".

Terrorismo e narcotraffico

Secondo sondaggi effettuati all’indomani della grave e inattesa decisione del presidente, il 90% dei colombiani si è dichiarato d’accordo con lui, come anche le cancellerie internazionali, Stati Uniti e Unione Europea in primis. Tutti e sei i candidati alle imminenti elezioni presidenziali (che si terranno il 26 maggio prossimo), seppure con alcuni distinguo, hanno approvato la drastica mossa di Pastrana, anche se molti hanno criticato il ritardo con cui il presidente uscente si è deciso a rompere ogni rapporto con i guerriglieri. "Io davvero non capisco – ha dichiarato un senatore liberale, Vargas Lleras – perché il presidente ci abbia messo tanto ad ammettere che il processo di pace non stava andando da nessuna parte e che le FARC sono un gruppo terrorista con forti legami con il narcotraffico."

In effetti, i negoziati degli ultimi mesi (cf. Regno-att. 4,2002,121ss) e soprattutto le richieste irrealistiche avanzate dalle FARC (come quella di un sussidio sociale per tutti i disoccupati colombiani, che sono milioni, e aumentano ogni giorno di più proprio a causa dell’instabilità interna del paese) avevano messo in evidenza la scarsa volontà dei guerriglieri di approdare a qualunque compromesso con lo stato. Di fronte alla recrudescenza registrata tra gennaio e febbraio di attentati (ben 117 in un mese), di azioni di boicottaggio contro installazioni elettriche e petrolifere, di rapimenti e omicidi, in molti settori dell’opinione pubblica colombiana si era diffusa l’impressione che Pastrana fosse vittima della propria "ingenuità politica", lui che aveva puntato tutto sul dialogo e la trattativa non solo con le FARC, ma anche con i gruppi guerriglieri minoritari presenti nel paese.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso e perdere la pazienza al presidente è stato il dirottamento da parte di alcuni ribelli di un aereo civile, a bordo del quale viaggiava il senatore Eduardo Gechem, presidente della Commissione per la pace del Senato, che è stato sequestrato. Di lì a poche ore, Pastrana annunciava il ritiro definitivo della mano tesa verso la guerriglia, concedendo solo tre ore di tempo ai guerriglieri arroccati nella cosiddetta "zona di distensione" (un’area demilitarizzata di 42.000 km2 nel sud-est del paese) prima dell’inizio di un’azione militare in grande stile. Sono stati bombardati depositi di armi e di combustibile, accampamenti, piste di atterraggio clandestine e laboratori per la lavorazione della coca (la cui coltivazione nell’area demilitarizzata è stata incrementata in questi anni dai guerriglieri, i quali si finanziano soprattutto con il commercio di droga).

Alle FARC è stato immediatamente tolto lo status di "gruppo politico", che aveva consentito ai guerriglieri di interloquire non solo con i rappresentanti del governo, ma anche con esponenti dell’ONU e con i mediatori internazionali, che in questi anni hanno tentato a più riprese di aiutare i contendenti a trovare una soluzione negoziata alla vera e propria guerra civile che insanguina la Colombia da quasi 40 anni. Per i leader del movimento, tra cui il quasi leggendario Manuel Marulanda, è nuovamente scattato l’ordine di cattura, che era stato sospeso durante gli anni del negoziato.

La reazione delle FARC – che pure hanno emesso un comunicato dai toni quasi concilianti, dichiarando di sentirsi ancora "impegnati per una soluzione negoziale" e disposti a intavolare nuove trattative con il prossimo governo – non si è fatta attendere, e il 23 febbraio hanno rapito Ingrid Betancourt, candidata alle presidenziali e leader del movimento "Colombia Nueva", che si era recata nella zona di distensione proprio per dialogare con i guerriglieri.

Difendere le istituzioni, superare i conflitti

Dal canto suo, la Chiesa colombiana, che si è sempre adoperata come mediatrice tra le parti, non ha potuto che dare il proprio assenso alla drastica decisione del presidente Pastrana. Il 21 febbraio, Alberto Giraldo Jaramillo, arcivescovo di Medellín e presidente della Conferenza episcopale, ha firmato una dichiarazione in cui si legge: "Rispettiamo e appoggiamo la decisione del signor presidente. In uno stato di diritto come il nostro, è necessario serrare le file per difendere le nostre legittime autorità e sostenere le istituzioni che garantiscono la vita e la dignità dei colombiani". La Chiesa, tuttavia, resta convinta che soltanto "il dialogo e la negoziazione" possano aprire "le vie per superare i conflitti".

Tre settimane dopo questa dichiarazione, il 16 marzo, l’arcivescovo di Cali, mons. Isaías Duarte, cadeva sotto i colpi a bruciapelo di due giovani, che gli hanno teso un agguato all’uscita di una chiesa in un quartiere povero di Cali. Per la Chiesa colombiana, seppur abituata da tempo all’uccisione di suoi membri nella guerriglia fratricida (sono numerosi i sacerdoti caduti sotto i colpi di guerriglieri, paramilitari e narcotrafficanti), è stato un colpo durissimo. Mons. Duarte, un pastore che amava chiamare le cose con il loro nome, era da anni in prima linea contro la violenza dei guerriglieri, ma anche contro le atrocità commesse dai gruppi paramilitari di autodifesa e soprattutto contro il narcotraffico: Cali, di cui era arcivescovo da sette anni, è la sede di uno dei più grossi cartelli colombiani dediti al traffico di droga.

L’agguato al vescovo Duarte

Aveva ricevuto numerose minacce di morte, di cui parlava in confidenza con i suoi collaboratori, ma contro le quali non aveva mai voluto prendere provvedimenti, rimettendosi alla volontà di Dio. Era privo di scorta (sebbene la polizia presidiasse il luogo in cui abitava e la sede della curia arcivescovile), e per questo è stato un bersaglio facile per i giovani in moto che gli hanno teso l’agguato.

Considerando le critiche a 360 gradi che era solito muovere a tutti gli attori presenti sulla scena colombiana – compreso il governo, di cui denunciava l’incapacità a por fine alla violenza –, le indagini sul suo omicidio devono necessariamente prendere in considerazione tutte le ipotesi, anche se la pista più probabile sembra quella del narcotraffico. Durante la recente campagna elettorale per le elezioni legislative (tenutesi lo scorso 10 marzo), mons. Duarte aveva infatti denunciato pubblicamente la collusione di alcuni candidati (poi risultati eletti, sia alla Camera sia al Senato) con i narcotrafficanti, sempre molto generosi nell’elargire finanziamenti elettorali per poter contare sulla gratitudine di qualche parlamentare compiacente.

"Pastore generoso e coraggioso nell’annuncio della buona novella – sono le parole di cordoglio pronunciate da Giovanni Paolo II domenica 17 marzo, all’Angelus – (mons. Duarte) ha pagato a un prezzo tanto alto la sua energica difesa della vita umana, la sua ferma opposizione a ogni tipo di violenza e la sua dedizione alla promozione sociale a partire dalle radici del Vangelo". La rivista spagnola Ecclesia (n. 3.093 del 23.3.2002) ha riportato uno stralcio dell’ultimo commento al Vangelo scritto dall’arcivescovo Duarte per un periodico di Cali; poche parole che suonano come un appello ai suoi concittadini, assuefatti da decenni di odio: "Noi colombiani siamo malati di tanta violenza, ingiustizia e malvagità (…) È necessario dare ai colombiani delle armi che non siano quelle destinate allo sterminio dell’umanità, ma, prima di tutto, le armi morali del rispetto, dell’accoglienza, della verità e della giustizia, per insegnare loro a rispettare la vita umana". Ma per la Colombia si prospettano tempi ancora più duri, adesso che si è spezzato il filo del dialogo ed è stata messa a tacere un’altra parola di verità.

articolo tratto da Il Regno logo

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