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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Antonella Borghi

Elezioni: ipoteca sul negoziato

"Il Regno" n. 14 del 2002

L’elezione di Uribe alla presidenza della Repubblica prospetta per la Colombia un indurimento delle posizioni e un inasprimento della contrapposizione armata tra governo, guerriglia e gruppi paramilitari. La Chiesa invoca e sostiene il dialogo.


Come previsto da tutti i sondaggi, ha vinto il candidato che durante la campagna elettorale aveva usato i toni più intransigenti nei confronti della guerriglia. Álvaro Uribe, un avvocato di 49 anni, figlio di una pioniera del suffragismo e di un proprietario terriero ucciso dalla guerriglia, transfuga del Partito liberale, ha conquistato la presidenza della Colombia al primo turno, ribaltando le aspettative anche più ottimistiche, che lo davano per vincente solo al secondo turno (già previsto per il 16 giugno).

Con il 53% delle preferenze, Uribe e la sua formazione "Primero Colombia" hanno dato un distacco irrecuperabile al Partito liberale e al suo candidato ufficiale, Horacio Serpa, che ha ottenuto il 31% dei voti. Il restante 16% è stato ripartito fra Luís Eduardo Garzón (alla testa del Polo democratico, una coalizione tra indipendenti e gruppi di sinistra) e Noemí Sanín (alla testa del movimento popolare "Sí Colombia"), oltre alla coraggiosa e sfortunata candidata ambientalista di "Oxígeno Verde", Ingrid Betancourt, ostaggio da più di tre mesi dei guerriglieri marxisti delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (FARC).

Un clima d’intimidazione

Va comunque sottolineato che – nonostante le ripetute sollecitazioni venute dalla Chiesa e da altre organizzazioni della società civile – su 24 milioni di colombiani aventi diritto al voto (la Colombia ha in tutto 43 milioni circa di abitanti), meno della metà ha avuto il coraggio di recarsi alle urne. Il coraggio: perché in Colombia non è la mancanza di motivazione (o non solo quella) a tenere lontani i cittadini dal voto, bensì il clima d’intimidazione e violenza che pervade ormai ogni dimensione della vita della nazione, e che si è ulteriormente inasprito durante la campagna elettorale.

Basti dire che sia il neo-eletto Uribe, sia il candidato della sinistra Garzón sono stati fatti oggetto di attentati (due ciascuno), che hanno lasciato sul terreno diverse vittime innocenti. I candidati si sono salvati grazie soprattutto alle loro scorte, composte da un numero di uomini compreso tra 40 e 100. Uribe, con la sua intransigenza (almeno verbale) nei confronti della guerriglia e di ogni processo di dialogo, è stato subito considerato il candidato dei gruppi paramilitari di ultradestra (le famigerate AUC, Autodefensas unidas de Colombia) che, con la scusa di difendere i territori infestati dalla guerriglia, spadroneggiano e tiranneggiano le popolazioni civili in molte parti del paese.

Gli stessi paramilitari, dal canto loro, hanno visto come il fumo negli occhi gli appelli alla riconciliazione nazionale e al dialogo con gli insorti su cui ha costruito tutta la sua campagna elettorale il candidato della sinistra, e con i loro metodi sbrigativi hanno fatto capire ai sostenitori di Garzón che era meglio che non si facessero nemmeno vedere intorno ai seggi elettorali. Il risultato di questo clima di intimidazione è stata una campagna elettorale pressoché virtuale, giocata più a colpi di interviste e di teleconferenze che non con i tradizionali comizi e le manifestazioni di piazza.

È significativo che, proprio nelle ore precedenti il voto del 26 maggio, i quindici dell'Unione Europea si siano ritrovati a Bruxelles per decidere se inserire le FARC (e possibilmente anche l'ELN – Esercito di liberazione nazionale, altra organizzazione guerrigliera, di ispirazione filocastrista) tra le formazioni terroristiche contro cui l'UE s’impegna a fare fronte comune. La Spagna avrebbe voluto concludere in bellezza il suo semestre di presidenza con l'inclusione delle due formazioni guerrigliere colombiane, soprattutto alla luce del fatto che la lista conteneva già le AUC, e che il presidente uscente Pastrana aveva espresso qualche perplessità davanti a una scelta così squilibrata. Ma l'unanimità necessaria al varo del provvedimento è venuta a mancare per l'opposizione della Svezia, la quale ha manifestato il timore che una simile decisione potesse inficiare l'auspicata ripresa delle trattative per la pace dopo la tornata elettorale.

Quattro eserciti

In realtà, la vittoria di Uribe pone una seria ipoteca sull'idea stessa di negoziato, dal momento che il neo-presidente ha costruito l'intera campagna elettorale sulla ferma opposizione al tavolo negoziale così come lo aveva impostato il presidente Pastrana nell'arco di tre anni (dal gennaio 1999 al febbraio di quest'anno).1 Uribe sostiene che il dialogo potrà essere riaperto solo se la guerriglia accetterà un cessate il fuoco unilaterale e metterà fine alla tragica sequela di sequestri, estorsioni, attentati, autobombe, reclutamento di minorenni nelle proprie file, che stanno lentamente corrodendo il tessuto sociale del paese.

Allo stato attuale, tuttavia, una simile pretesa sembra altrettanto assurda di quella avanzata dalle stesse FARC, che hanno avuto l'ardire, a pochi giorni dalle elezioni, di dettare le loro condizioni per la ripresa del dialogo con il nuovo presidente (a prescindere da chi sarebbe stato): una nuova zona franca, completamente smilitarizzata e fuori dal controllo dello stato, come quella concessa da Pastrana nel 1999, ma grande circa il doppio (si parla di 113.000 km2).

Non sarà dunque facile per Uribe imporre alla controparte la sua strategia, secondo cui occorre far capire ai guerriglieri che la loro lotta quarantennale è destinata al fallimento, costringendoli a comportamenti più pragmatici. Nemmeno l'intenzione dichiarata in campagna elettorale di coinvolgere la popolazione civile nella lotta contro la guerriglia sembra destinata, almeno a breve, a riscuotere molto successo. In molti casi, infatti, la popolazione civile è già stata "arruolata", suo malgrado, nelle file degli opposti schieramenti. Le vittime della violenza, spesso gratuita ed eccessiva, esercitata dalle forze dell'ordine impegnate nella repressione antirivoluzionaria (in combutta, non di rado, con le AUC) si trasformano speditamente in nuove reclute per i gruppi guerriglieri; mentre coloro che subiscono gli abusi e le intimidazioni della guerriglia diventano facile preda delle campagne di arruolamento dei paramilitari.

Secondo stime riportate dagli organi di stampa, gli organici sia dei guerriglieri che delle AUC sarebbero cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni. Le FARC vanterebbero 16.500 uomini, contro i circa 7.000 dell'ELN. Le AUC sarebbero passate da 3.000 a oltre 10.000 effettivi nel giro di appena tre anni. Anche l'esercito regolare ha aumentato a dismisura il suo organico di professionisti, passando dai 22.000 uomini del 1998 ai 58.000 attuali (con un aumento del 160%), e sono stati investiti molti fondi per ampliare la dotazione di elicotteri, passati dagli 82 del '98 ai 172 di oggi. Tutto questo grazie ai 1.300 milioni di dollari stanziati dagli Stati Uniti (amministrazione Clinton) al presidente Pastrana nel quadro dell'esoso e controverso Plan Colombia (cf. Regno-att. 2,2001,47; 8,2001,272).

La guerriglia, dal canto suo, per sostenersi e ampliare il suo raggio d'azione (che si configura sempre più come il potere di uno stato nello stato), può contare sui proventi del narcotraffico, che ammonterebbero a circa 400 milioni di dollari all'anno. Purtroppo, nonostante i massicci interventi di fumigazione aerea sulle colture di coca, negli ultimi anni l'estensione dei terreni adibiti a tale coltura illegale ha raggiunto i 150.000 ettari, e sono circa 150 le bande di narcotrafficanti attive sul territorio (pare che le AUC controllino almeno il 40% delle colture migliori).

A tal proposito, l'arcivescovo di Bogotá e nuovo presidente della Conferenza episcopale colombiana, card. Pedro Rubiano Sáenz, in un'intervista concessa poco prima delle elezioni a un bollettino diocesano, ha dichiarato che "il narcotraffico è una delle basi della violenza, perché è di esso che si nutrono la guerriglia e i paramilitari, ed è sempre il narcotraffico che genera la corruzione. La nostra situazione non cambierà fino a quando i paesi consumatori – che sono quelli del primo mondo, Stati Uniti ed Europa – non riusciranno a ridurre e a controllare il consumo di droghe". Eleggendolo per la terza volta presidente della conferenza episcopale, i 75 vescovi del paese gli hanno chiesto di formare "una squadra", insieme al presidente Uribe, per promuovere "un processo di pace giusto"; quanto nel passato ha fatto anche il suo predecessore mons. Alberto Giraldo Jaramillo, insieme al presidente Andrés Pastrana. Il card. Rubiano Sáenz ha identificato, come temi e impegni urgenti per il triennio in cui resterà in carica, la "chiamata alla speranza", un lavoro perché "la comunione, che per noi ha un significato speciale a partire dalla nostra spiritualità, sia una realtà nel paese", e il sostegno ai cattolici colombiani perché si pongano alla guida di un "movimento di riconciliazione nazionale".

Se si considerano i 40.000 morti provocati dalla violenza endemica nell'ultimo decennio, i 28 milioni di colombiani che vivono sotto la soglia di povertà e i 2 milioni di sfollati interni (costretti ad abbandonare le proprie terre occupate dai vari gruppi guerriglieri), si completa il quadro del paese che Uribe, già governatore del dipartimento di Antioquia e sindaco di Medellín, rileverà il 7 agosto e si troverà a governare per i prossimi quattro anni. Il presidente appena eletto era anche il candidato preferito dall'amministrazione americana, e Uribe ha già deciso di sfruttare il favore di cui gode presso le cancellerie occidentali, comprese quelle dell'UE, per ottenere un cospicuo aiuto finanziario che gli consenta di arrivare in breve tempo a un esercito di 100.000 effettivi (quasi il doppio degli attuali).

Uribe, pugno di ferro

Uribe, che si dichiara "un democratico con senso dell'autorità e un capitalista con sensibilità per il sociale", e che ha lanciato lo slogan elettorale "mano ferma contro la violenza e cuore grande per gli svantaggiati e i diritti umani", ha scelto come proprio vice Francisco Santos, un giovane giornalista di 41 anni, comproprietario del maggior quotidiano colombiano, El Tiempo. Santos è da tempo impegnato a favore dei diritti umani e contro la corruzione, soprattutto da quando, dodici anni fa, fu sequestrato per otto mesi da Pablo Escobar. Braccato da minacce e attentati, cercò rifugio per due anni in Spagna, ma poi decise di rientrare perché si sentiva in colpa verso il suo paese.

Dopo la vittoria di Uribe, le FARC sembrano essere passate alla controffensiva, costringendo alle dimissioni, a forza di minacce e attentati, ben 110 sindaci di alcuni dipartimenti (15 sui 32 in cui è suddivisa la Colombia) che i guerriglieri vorrebbero "sgombrare" per prenderne il controllo. "La nostra consegna – si legge in un comunicato delle FARC intercettato dalle autorità colombiane – è di non lasciar lavorare nessun rappresentante dello stato in nessuno dei municipi". L'ordine è di "catturare o giustiziare" tutti coloro che oppongono resistenza. Il governo centrale ha rifiutato di accettare le dimissioni, delegando ogni responsabilità ai governatori dei dipartimenti, i quali, riunitisi a Medellín il 22 e il 23 giugno, hanno deciso di non sottostare al ricatto. Dal canto loro, i paramilitari delle AUC si sono fatti sentire in alcuni dipartimenti, minacciando di sopprimere quanti si mostrassero esitanti davanti alle pressioni dei guerriglieri.

È una situazione che rischia di soffocare del tutto la già traballante democrazia colombiana. Anche il papa ha espresso di recente la sua profonda preoccupazione per la Colombia, in un messaggio inviato all’allora presidente della Conferenza episcopale, mons. Alberto Giraldo Jaramillo, in occasione del centesimo anniversario della consacrazione del paese al Sacro Cuore di Gesù, avvenuta il 22 giugno 1902 al termine di una guerra civile tra conservatori e liberali durata quasi quattro anni. Tale ricorrenza, scrive il papa, può diventare "un momento per implorare da Dio il dono della pace e per impegnarsi, ciascuno dal posto che occupa nella società, a porre le basi per la ricostruzione morale e materiale della vostra comunità nazionale". La società che ascolta il messaggio di Cristo "cammina verso la pace autentica, rifiuta qualunque forma di violenza e genera nuove forme di convivenza lungo la via salda e ferma della giustizia, della riconciliazione e del perdono, fomentando legami di unità, fraternità e rispetto per ciascuno". Un auspicio per la società colombiana e soprattutto per il nuovo governo.


1 Cf. Regno-att. 2,2001,47; 8,2001,272; 4,2002,121; 8,2002,265.

articolo tratto da Il Regno logo

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