Accordo senza pace
Dopo quattro anni di trattative, il 2 settembre 1996 è stato firmato, in una cornice solenne alla presenza del presidente Fidel Ramos, un accordo tra il Governo delle Filippine, nella persona dell'ambasciatore Manuel Yan, capo della delegazione governativa durante i colloqui, e il Fronte moro di liberazione nazionale (MNLF), rappresentato dal suo leader Nur Misuari. Presenti, in qualità di garanti, il segretario nazionale dell'Organizzazione della conferenza islamica e il ministro degli esteri indonesiano.
L'accordo dà vita a un Consiglio per la pace e lo sviluppo del sud delle Filippine (Southern Philippines Council for Development and Peace, SPCDP), il quale per tre anni avrà autorità, anche di polizia, su un territorio di 70.000 km2 (14 province e 9 grandi città, un quarto circa dell'arcipelago filippino), e 10 milioni di abitanti. Un referendum nel 1999 deciderà i confini della zona d'autonomia concessa ai musulmani. 7.500 guerriglieri del MNLF saranno inquadrati nelle forze di polizia e nell'esercito regolare.
Trovano così compimento gli accordi per l'autonomia amministrativa sottoscritti nel 1976 dall'allora presidente, il dittatore F. Marcos, e lo stesso Misuari. Dovrebbero chiudersi in tal modo 24 anni di conflitto, che lasciano più di 125.000 vittime. Ma anche in questo caso persistono molti elementi di debolezza. L'accordo non è stato riconosciuto dagli integralisti di Abu Sayaf, raccolti nel Fronte islamico moro di liberazione.
Restano le perplessità dei cristiani. Delle 14 province coperte dall'accordo, solo 5 e una città sono a maggioranza islamica. I musulmani della regione sono passati da una presenza del 98% nel 1948 all'attuale 25% (il 5% su base nazionale). La Conferenza episcopale aveva domandato in luglio che la firma dell'accordo venisse differita per discuterne ulteriormente gli estremi, e aveva chiesto chiarimenti su alcuni aspetti consequenziali: l'insegnamento religioso, il consiglio religioso musulmano che dovrebbe assistere il SPCPD (in deroga al principio che distingue organizzazioni religiose e di governo).
La maggioranza cristiana aveva reagito con manifestazioni di piazza alla notizia dell'intesa raggiunta il 23 giugno a Davao (cf. Églises d'Asie 16.7.1996, 8). La Presidenza della repubblica aveva respinto le richieste di parte cristiana, aggiungendovi il monito a "moderare il linguaggio e i gesti, perché non degenerino verso il terreno insidioso della sedizione".
Non c'è unanimità da parte islamica e nemmeno da parte cristiana. Alcuni religiosi e laici avevano pubblicato un invito a collaborare con il processo di pace, accordando al MNLF "il beneficio del dubbio e della buona volontà". Possibilista la posizione dell'arcivescovo di Zamboanga (Mindanao) C.D.F. Morelos, il quale ha dato fiducia al previsto Consiglio per la pace, ricordando però che pace non ci sarà senza giustizia e rispetto della libertà religiosa. Nell'indirizzo di saluto rivolto al papa aprendo la visita ad limina il 27 settembre, mons. Morelos ha detto che i vescovi considerano l'accordo "un passo verso una pace duratura. Ma l'accordo ha suscitato anche reazioni amare di ira, risentimento e opposizione nella popolazione in maggioranza cristiana nell'area coperta dall'accordo". Nel riportare il discorso del papa, L'Osservatore romano riprende nel titolo l'invito a essere "costruttori di pace laddove le differenze religiose e culturali generano tensioni" (28.9.96, 5).
Il presidente Ramos ha riconosciuto che "le cause di questo lungo conflitto non verranno meno solo perché si è firmato un trattato" e si è impegnato a "fare di tutto per scongiurare un'altra guerra intestina".