Prove di regime
La Costituzione delle Filippine è stata approvata con plebiscito il 2 febbraio 1987, a un anno dalla rivolta che, resa possibile dalla defezione dell'esercito di Fidel Ramos e con un consistente contributo della Chiesa cattolica, aveva cacciato il dittatore Ferdinando Marcos (cf. Regno-att. 6,1986,126; 16,1986,446). Cory Aquino assumeva il ruolo di primo presidente della nuova repubblica.
Per evitare tentazioni dispotiche, la Costituzione del 1987 prevede che il mandato del presidente duri sei anni e non sia rinnovabile (art. VII, 4). Marcos aveva usato proprio il grimaldello del mandato rinnovabile per restare vent'anni al potere.
Il disegno di Ramos
Nel maggio 1998 sono previste le elezioni presidenziali, a suffragio popolare, poiché il mandato di Ramos termina il 30 giugno successivo. Dalla fine del 1996 sono iniziate strane manovre attorno alla Costituzione. Sono ben 137 i punti che il presidente propone di rivedere, ma v'è un interesse particolare per la clausola che gli impedisce la candidatura alle prossime elezioni. Nel giugno di quest'anno la Corte suprema ha respinto la proposta di referendum sull'argomento. Subito dopo, il presidente Ramos si è fatto promotore di un progetto di legge che attribuisse all'iniziativa popolare la facoltà di richiedere una revisione della Costituzione. Successivamente, a fine agosto, ha tentato di far votare la trasformazione del Parlamento in assemblea costituente, per legittimarlo alla modifica dell'art. VII. "È mio dovere – dichiarava il 5 settembre – mantenere aperte le possibilità, poiché in gioco è l'interesse nazionale, non il mio avvenire personale". Contemporaneamente, Ramos ribadiva pubblicamente di non essere candidato a succedere a se stesso.
Le proteste contro simili manovre hanno preso voce in fretta e la chiesa cattolica, col card. Sin in testa, hanno fatto della questione costituzionale un punto qualificante della battaglia sul versante politico. Alleati per le strade di Manila durante la rivolta del 1986, Sin e Ramos si trovano spesso al braccio di ferro da quando il generale è presidente. I temi di scontro sono stati fin qui quelli della moralità amministrativa e, soprattutto, della pianificazione familiare.
Di fronte all'urgenza del tema costituzionale la chiesa cattolica è partita da sola, già nel dicembre 1996. Prima della sentenza della Corte suprema, era venuto da alcuni gruppi evangelici un esplicito sostegno a Ramos. Il 15 marzo, cinquemila carismatici hanno proposto come "vox populi" gli slogan: "Sei anni, troppo poco, per un buon presidente... Per favore, Ramos, ricomincia!". Alcuni di questi gruppi (tra i quali il potente El Shaddai) si sono poi associati nel SIBN (Sostegno alle iniziative per il bene della nazione) e hanno insieme promosso la raccolta di firme per il referendum sulla Costituzione. Più prudente l'atteggiamento del Consiglio nazionale delle chiese, che in quanto tale ha espresso contrarietà alle riforme costituzionali, senza impedire che singoli membri aderissero al SIBN; come il presidente che, durante la Veglia pasquale, ha invitato a pregare perché Fidel Ramos, "dono di Dio al popolo delle Filippine, possa continuare a essere una benedizione per il nostro paese e mai una maledizione".
È del 20 marzo una dura lettera "al popolo di Dio nelle Filippine", della conferenza episcopale, firmata dal suo presidente Oscar V. Cruz. "In questi tempi di confusione, dobbiamo essere prudenti come serpenti (Mt 10,16), perché possono esservi persone "che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci" (Mt 7,15)". Si denuncia esplicitamente la situazione che "ha portato molti a credere che lo stesso presidente Ramos stia dietro i tentativi di rimuovere il limite temporale alla carica presidenziale". Non si lesina il dovuto plauso al presidente, durante il cui mandato "molte cose sono migliorate per la nostra nazione... Ma l'attuale presidente è veramente indispensabile" perché il paese possa progredire? "La sconvenienza di cercare di cambiare il provvedimento della Costituzione viene rinforzata quando consideriamo che nell'unico caso in cui un presidente della repubblica si è ripresentato per la rielezione, ed è stato rieletto, ha finito per prolungare indefinitamente il proprio incarico" (cf. Asia News 5,1997,12). Se davvero la modifica alla Costituzione è un bene necessario al paese, essa potrà essere effettuata in tempi meno sospetti, dopo il giugno 1998.
La chiesa di nuovo in strada
Una lettera pastorale del card. Sin, pubblicata il 3 luglio, era meno generosa anche nelle valutazioni: "Stante la mediocre performance dell'attuale amministrazione, sono certo che ci sarà almeno qualche filippino capace di fare meglio del presidente Ramos" (cf. Églises d'Asie 16.7.1997, 13). A settembre, viene diffuso un documento a tutti i sacerdoti dell'arcidiocesi di Manila, in cui si elencano i poco invidiabili record registrati dall'amministrazione Ramos e si denunciano "le dinastie politiche al servizio di se stesse" come "uno dei più grandi mali della società filippina".
Due recenti episodi di un certo peso hanno infine provocato la conclusione del lungo tiro alla fune. Il 1 settembre, durante la cerimonia per il lancio di una nuova programmazione di Radio Veritas, il card. Sin ha criticato le manovre di Ramos, il quale, peraltro, è stato accolto da manifestanti che all'esterno gridavano "Giù le mani dalla Costituzione"
Il 21 settembre, in occasione del XV anniversario dell'introduzione della legge marziale a opera di Marcos, una manifestazione promossa dal card. Sin (sovraccaricando di significato la circostanza) ha mandato per le strade di Manila 600.000 persone (fra cui 800 preti e una decina di vescovi), nonostante la pioggia tropicale, contro la "dittatura rampante". Era dal 1986 che non si vedeva un'adesione così massiccia a una manifestazione politica. Manifestazioni contemporanee e proporzionalmente nutrite anche nel resto del paese: 100.000 a Davao, 150.000 a Cebu. Anche le quattro principali organizzazioni imprenditoriali hanno dato la propria adesione.
Ramos ha accusato il colpo e ha pubblicamente rinunciato a candidarsi nuovamente.
Il braccio di ferro ha, da una parte, messo in ombra altri problemi reali del paese, come la grave situazione economico-finanziaria (rischio già richiamato dai vescovi nel vedere il Parlamento sollecitato dai temi costituzionali); dall'altra ha messo in luce la scarsa rilevanza dei candidati alla successione di Ramos. Il più quotato dai sondaggi è Joseph Estrada, conosciuto al grande pubblico per il suo passato di attore di successo.