Crisi filippina: Uscita dignitosa
Che la situazione stesse precipitando se ne era avuta avvisaglia sul finire del 2000, quando il 30 dicembre sono esplose nella capitale cinque bombe, che hanno causato la morte di 18 persone, fra cui bambini, e il ferimento di un altro centinaio. Il 4 gennaio, l’arcivescovo di Manila, card. J. Sin, ha lamentato attraverso la stampa la precaria situazione del paese: "A chi dobbiamo rivolgerci se il presidente [J. Estrada] non è un esempio di leadership morale, se polizia ed esercito non riescono a proteggere innocenti cittadini da attacchi terroristici nel bel mezzo della città, se i nostri segretari di gabinetto non sanno valutare le prove schiaccianti che il presidente è corrotto e immorale e continuano a sostenerlo?".
La fine di Estrada
Il presidente aveva accusato degli attentati il Fronte Moro islamico di liberazione (indipendentista) e il Fronte nazionale democratico (comunista). L’opposizione invece leggeva dietro gli attentati una strategia destabilizzante perseguita dallo stesso Estrada per distogliere l’attenzione dalle accuse di corruzione che l’hanno portato all’impeachment (5.10.2000) e giustificare una reazione dura del potere.
Il "People power" – movimento spontaneo e informale che nel 1986, con l’appoggio esplicito anzi l’animazione della Chiesa cattolica di Sin e della Aquino, ha messo fine al regime di Marcos – si è risvegliato il 16 gennaio, quando il Senato (collegio giudicante quando imputato sia il presidente) ha respinto di misura (11 contro 10) la richiesta di levare il segreto bancario da alcuni documenti che proverebbero l’accusa di aver accumulato illecitamente ricchezze per 3,3 miliardi di pesos (120 miliardi di lire circa) solo negli ultimi 18 mesi. La decisione dei senatori si configurava come una pratica assoluzione.
Nella notte successiva il "colpo di mano" del Senato, dopo che gli esponenti dell’accusa avevano rassegnato le dimissioni, le strade di Manila, in particolare il vasto serpentone della EDSA (Epifanio de los Santos Avenue) che attraversa per intero la metropoli, hanno rivisto i cortei dei cittadini che chiedevano le dimissioni di Estrada. Tra i manifestanti c’erano anche la Aquino e la Macapagal Arroyo, alla data vicepresidente.
L’appuntamento in strada era stato suggerito dal card. Sin, che aveva insistito per la chiusura di scuole e università e, attraverso le emittenti cattoliche, aveva invitato la popolazione in chiesa, sulla EDSA, poiché "quello che temevamo è successo. La verità è diventata vittima di persone immorali". Fortunatamente, un po’ un ritorno di fiamma del carisma di Sin, un po’ l’appoggio di autorità politiche, un po’ il crescente affiancamento dell’esercito hanno trattenuto la frustrazione dallo sfociare in violenza, eventualità che il cardinale doveva ben aver presente se ha dichiarato: "Ho paura che non saremo capaci di fermare lo spargimento di sangue, perché nel nostro cuore sappiamo che il nostro presidente è colpevole".
Dopo che nella notte le cose avevano preso l’abbrivo giusto, è stato un susseguirsi concitato di fatti e di migrazioni fra gli schieramenti politici fino al mattino del 19 gennaio, quando il capo di stato maggiore, A. Reyes, si è presentato a una conferenza stampa da lui convocata, insieme a Cory Aquino e a Fidel Ramos, per annunciare che anche le Forze armate riconoscevano in Gloria Macapagal Arroyo il legittimo presidente, chiedendo contestualmente una "via d’uscita dignitosa" per l’ormai ex presidente costretto a dimettersi. Inutili e patetici i tentativi successi di Estrada per definire "temporaneo" il suo allontanamento dal potere e dettare condizioni per lo svolgimento delle elezioni.
Vengono dunque archiviati con disonore i 30 mesi di potere di Joseph Estrada, eletto nel maggio 1998 per un mandato di 6 anni, primo presidente asiatico a finire sotto inchiesta durante la carica. Il 39% del suffragio diretto era stato in buona parte convogliato dalle apparizioni di "Erap" Estrada negli sceneggiati televisivi, molto seguiti dai filippini. Anche il suo declino è stato emblematicamente accompagnato, in quegli stessi giorni, dalle puntate di una novela che raccontava dei misfatti di un uomo corrotto al potere... Anche il bilancio del suo esecutivo (il presidente nelle Filippine è capo del governo) è piuttosto striminzito: dal punto di vista economico, si è andati ben poco oltre il ritorno di qualche capitale dei tempi di Marcos. Dal punto di vista politico, non si è avanzato di un passo verso la soluzione del conflitto indipendentista e interetnico che minaccia il Sud. Si è invece aggravato il rapporto di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti con l’ampliamento delle concessioni per la dislocazione di navi della US Navy nelle basi militari dell’arcipelago (maggio 1999). Sul versante interno, nel gennaio 1999, in mezzo a un drammatico dibattito civile che ha mostrato linee di frattura anche all’interno della Chiesa, è stata eseguita la condanna a morte su Leon Etchegaray. 1
La Chiesa e la crisi istituzionale
In tutte queste vicende la Chiesa ha giocato un ruolo importante, di protesta e di indirizzo. Nel settembre del 1999 è partita dalle Chiese la delegittimazione del tentativo di Estrada di riformare della Costituzione. Un ruolo che suscita qualche preoccupazione nel card. Sin: "Non sono contento del fatto che in questo paese ancora una volta è la Chiesa – ha detto all’indomani della cacciata di Estrada – a trovarsi per l’ennesima volta a fare la parte dell’opposizione, tenuto conto che il sistema politico è diventato del tutto squilibrato".
La Conferenza episcopale filippina, che gode di ampia stima fra la popolazione, ha fin qui appoggiato Gloria M. Arroyo. Cattolica, 53 anni, è figlia di una delle figure care nella memoria dei filippini, Diosdado Macapagal, presidente dal 1962 al 65. Era stata eletta vicepresidente – con una consultazione che si effettua successivamente a quella presidenziale – ottenendo il 59% dei consensi. La vicenda Estrada ha messo in evidenza una certa dose di opportunismo abile; la sua moralità politica è meno apprezzata di quella paterna e sono visti con sospetto i suoi legami con R. Pineda, il boss di quelle lotterie clandestine che, paradossalmente, hanno innescato il procedimento a carico di Estrada.
Un primo segnale positivo della sua presidenza viene dall’attenzione rivolta al conflitto in Mindanao con la nomina a suo vice del senatore T. Guingona, nativo di quella regione.
1 La sentenza capitale era stata abolita – primo paese asiatico – all’indomani della cacciata di Marcos, e poi ripristinata nel 1993 in seguito agli episodi di terrorismo. Da allora però, nessuno degli oltre 800 condannati con sentenza capitale era stato consegnato all’esecuzione.