Conflitto con l’islam
La lotta aperta e cruenta con milizie islamiche nei villaggi a maggioranza cristiana si è cronicizzata e diffusa nelle Molucche. Sarebbero qualche migliaio i guerriglieri islamici "educati" alla jihad (la guerra santa) e sbarcati fra aprile e maggio sulle isole dell’arcipelago di Ambon, fino a poco tempo fa abitato da una maggioranza del 60% di cristiani. E da giugno sono sempre più consistenti – a centinaia – i flussi di profughi che tentano di scampare dagli attacchi, riparando per gran parte a Timor Occidentale. 498 di questi sono morti all’inizio di luglio in un naufragio. Da quella data, si accumulano le notizie di massacri, distruzioni di chiese ed edifici di proprietà cristiana. Si calcolano in 3.000 i morti e 500.000 i profughi in un anno di conflitto aperto. Un filmato diffuso il 16 agosto mostra militari dell’esercito regolare affiancare i miliziani islamici nelle azioni di attacco armato.
C’è un’interpretazione politica del conflitto, riassunta dal professore cattolico indonesiano G. Adijtjondro nei termini di "una doppia finalità: destabilizzare le roccaforti dell’avversaria politica Megawati Sukarnoputri; creare disordini per consentire alle forze armate fedeli a Wiranto di assumere il comando nelle regioni, come è accaduto per il Comando di Pattimura ad Ambon". Alimenterebbero le ostilità i musulmani radicali ostili alla presidenza moderata di Wahid, finanziati dall’ex ministro di Suharto Fuad Bawazier, e una lobby affaristica che ricava benefici finanziari dalla precarietà della situazione (cf. Fides 21.7.2000). La lettura politica è suffragata dall’inasprimento degli attacchi il giorno successivo alla firma di un accordo di riconciliazione tra le comunità musulmana e cristiana presenziata dal presidente Wahid.
C’è anche un’interpretazione a sfondo religioso, che attribuisce al conflitto una matrice tutta interna all’islam, tra il radicalismo di origine araba e l’"eresia" del moderatismo asiatico, che il 9 agosto ha bocciato, insieme alle minoranze d’altra fede, la modifica all’art. 29 della Costituzione sui rapporti fra stato e religione volta a introdurre la sharia (legge islamica).
Molte analogie si riscontrano nelle rappresaglie che hanno colpito la popolazione cristiana nelle Filippine. Qui si registra una dura condanna della Conferenza episcopale, che in un comunicato del suo presidente, mons. O. Quevedo, afferma: "La violenza genera violenza. Invitare alla "guerra santa" per rappresaglia, o uccidere per vendetta, dopo la presa del campo di Abubakar da parte delle truppe governative, sono detestabili conseguenze degli scopi della guerra. Ora è chiaro che la guerra, come molti di noi temevano, sta entrando in una nuova fase, più durevole e dannosa, senza fronti ben precisi: un conflitto senza quartiere".