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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M. M.

Tre anni, tre conflitti

"Il Regno" n. 2 del 2002

Il 20 dicembre, al terzo giorno di colloqui, è andato in porto il quinto tentativo di mediazione per un accordo di pace fra cristiani (protestanti soprattutto) e musulmani nel Sulawesi (Indonesia centrale). 24 delegati del Gruppo rosso cristiano e 25 del Gruppo bianco musulmano, comprendenti leader religiosi, tribali e – per la prima volta – anche miliziani, hanno sottoscritto a Malino un documento in 10 punti che prevede "l’immediato cessate il fuoco e la fine di ogni violenza; la sottomissione delle parti alle norme di legge; la richiesta al governo di adeguate misure contro quanti infrangono l’accordo; il rifiuto dello stato di emergenza civile e dell’interferenza di forestieri o stranieri (fra i quali i membri della milizia islamica Laskar Jihad); il ritorno di beni e proprietà agli originali proprietari. Le due parti hanno anche acconsentito a istituire nell’immediato futuro due commissioni congiunte: una si occuperà di questioni legate alla legge e all’ordine, l’altra alle condizioni sociali ed economiche" (Fides 21.12.2001). Al colloquio hanno partecipato anche i vescovi cattolici di Ujung Pandang (Makassar, capoluogo del Sud) e di Manado (capoluogo del Nord).

Il conflitto nel Sulawesi era esploso nel 1998, su innesco di una lite fra gruppi di giovani a Poso. A partire dall’ultimo novembre vi era stata una recrudescenza in seguito all’assalto di alcuni villaggi cristiani, sempre nella zona di Poso, per opera di gruppi estremistici islamici, aiutati dai miliziani del Laskar Jihad, che il capo dell’intelligence indonesiana sostiene siano legati ad Al-Qaeda. Tra il 26 e il 30 novembre, con l’arrivo di 7.000 guerriglieri (fonte ONU), sono stati assaliti e distrutti i villaggi di Betalemba, Patiwunga, Tangkura, Sanginora e Debua, costringendo 50.000 cristiani a fuggire.

Tra gli elementi di forza dell’Accordo di Malino c’è la presenza nella delegazione dei comandanti delle milizie delle due fazioni e il sostegno dato dal governo con l’invio di 4.000 militari. L’elemento di debolezza è dato soprattutto dall’estraneità all’accordo del Laskar Jihad. Tuttavia si registra un mutamento nell’atteggiamento del governo verso le frange fondamentaliste, fin qui a dir poco tollerate. "La stessa presidente Megawati Sukarnoputri, salita al potere con l’appoggio determinante dei movimenti islamici e finora poco propensa a usare il pugno di ferro contro i gruppi armati anticristiani, sembra stia cedendo alle pressioni americane e internazionali affinché l’Indonesia partecipi attivamente alla campagna antiterroristica" (Avvenire 23.12.2001).

Ambon – Molucche

Non cessa invece l’allarme riguardante le Molucche, dove dal 19 gennaio 1999 il conflitto aperto fra cristiani e musulmani ha causato più di 13.000 morti, circa 500.000 profughi e numerose conversioni forzate. Gli ultimi mesi del 2001 avevano fatto registrare un calo di tensione ad Ambon, ma all’avvio dei colloqui di pace nel Sulawesi la tensione è esplosa nuovamente in episodi sanguinosi. C’è chi mette in relazione questa alternanza della tensione fra le aree geografiche ricavandone un indizio di non casualità. Secondo p. K. Böhm, segretario del Centro di crisi della diocesi cattolica di Ambon, "il perdurare dello stato di tensione nel capoluogo non fa che favorire una serie di organismi che traggono profitti economici dal conflitto. Il missionario cita "l’opinabile gestione finanziaria di diverse decine di organizzazioni non governative (ONG) fiorite durante il conflitto", i "pedaggi non ufficiali che si devono pagare per sdoganare le merci provenienti dal porto di Jos Sudarso" e "il danaro da versare per ottenere protezione dalle forze di sicurezza". "Le misteriose sparatorie notturne che purtroppo si verificano con regolare frequenza – spiega il sacerdote – e gli attacchi terroristici che accadono di tanto in tanto non servono altro che a mantenere nel terrore sia i cristiani sia i musulmani, in modo che le due comunità religiose sborsino del danaro e le ONG abbiano la loro parte"" (MISNA 5.12.2001). Ma non vi sono altri indizi, se non le coincidenze temporali, per ipotizzare un raccordo così articolato e saldo fra i gruppi coinvolti nel conflitto.

Nella sessione annuale della conferenza episcopale (5-15.11), i vescovi indonesiani hanno invitato a restituire centralità alla propria identità che è anzitutto spirituale, non etnica o religiosa, e a rigenerare "l’immagine deturpata di Dio nel paese". L’analisi della società prosegue: "Poiché l’economia è stata guidata a servizio degli interessi dei più potenti, oggi è l’insieme della condizione economica ad essere compromessa. L’uso quasi generalizzato della violenza e il ricorso alla forza militare per risolvere i problemi hanno avuto per conseguenza l’inutilità dei mezzi legali, dal momento che le autorità non sono più garanzia di giustizia. Tutto ciò è testimonae del grave stato nel quale versa la nazione. La gente vive una profonda agonia" (Églises d’Asie 1.12.2001).

Aceh

Ad Aceh, punta nord-occidentale del paese nell’isola di Sumatra, il conflitto ha un profilo diverso e vede scontrarsi l’esercito e i guerriglieri indipendentisti del GAM (Movimento per Aceh libera). Ma le tensioni riferite all’identità religiosa non sono estranee, dal momento che le rivendicazioni separatiste mirano a fare di Aceh una nazione islamica. In questa regione gli episodi di violenza sono continui e non hanno registrato un allentamento nemmeno durante il periodo del Ramadan; nei primi otto giorni del nuovo anno sono state almeno 30 le vittime.

Sono i giorni nei quali l’amministrazione provinciale ha dato il varo ufficiale alla Legge speciale di autonomia, in applicazione del pacchetto concordato un anno fa con Giacarta (cf. Regno-att. 2,2001,28). La Legge speciale prevede anche l’introduzione della sharia, il complesso di norme islamiche. L’approdo applicativo è ancora lontano, vista la necessità di ulteriori passaggi intermedi, non soltanto burocratici. L’esecutivo provinciale ha precisato che i non musulmani saranno esenti dalla sharia, benché sia molto difficile immaginare le forme effettive di tale esenzione. In ogni caso, le difficoltà per le minoranza non musulmane andranno crescendo: "Questa ventata di riforme decisa dal governo di Giakarta non farà che favorire i gruppi dominanti che sognano l’impero della religione islamica su tutta la vita civile. ... Di certo – conclude l’anonimo operatore umanitario – per i non musulmani è sempre stato particolarmente difficile vivere ad Aceh ... e la nuova legge non farà che peggiorare le loro condizioni di vita. C’è il rischio che si trovino di fronte ad un aut-aut: o diventano musulmani o sono costretti ad andarsene" (MISNA 3.1.2002).


articolo tratto da Il Regno logo

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