Religioni e politica
Pakistan
Dopo aver fatto di tutto per indebolire partiti d’opposizione e altre istanze sociali e aver usato l’esercito per manipolazione delle operazioni di voto, il gen. P. Musharraf ha vinto le elezioni del 10 ottobre, indette per dare copertura democratica al colpo militare del 12.10.1999 e fornire la contestata riconferma alla Presidenza con il referendum di aprile. Non senza significative sorprese però.
Per la prima volta dal 1985 anche le minoranze (cristiani, hindu, sikh, bahai: ufficialmente 12 milioni sui 140 milioni di abitanti), esclusi gli ahmadis, hanno votato le medesime liste (prima distinte fra quelle dell’elettorato musulmano e non). Una serie di restrizioni rendono il meccanismo elettorale piuttosto macchinoso e, in definitiva, più controllabile. Alle minoranze religiose restano garantiti 10 seggi oltre i 272 nel Parlamento federale; 60 seggi aggiuntivi vengono assegnati alle donne; tutti, secondo una normativa alla sua prima applicazione, devono riportare nel curriculum formazione universitaria.
Nella provincia ha votato il 35% degli aventi diritto (per la prima volta si è votato a 18 anni), nelle grandi città il 15-20%. Non è solo effettivo astensionismo: per votare era richiesta una certificazione di riconoscimento, ma la consegna delle nuove carte d’identità, le uniche valide, è stata ampiamente insufficiente.
Città e provincia si differenziano anche nell’esito: la Lega musulmana del Pakistan (PML-Qa) del presidente guadagna la maggioranza nelle campagne, mentre il Partito del popolo pakistano (PPP) di Benazir Bhutto (in esilio) la supera nelle grandi città. Nel PPP sono confluiti i voti delle minoranze religiose. Dovunque più distaccato il PML-N del premier deposto N. Sharif. Complessivamente, il PML-Qa di Musharraf guadagna 77 seggi, il PPP 63, 14 il PML-N.
La sorpresa più consistente viene dalla coalizione dei partiti religiosi fondamentalisti, il Fronte per l’azione unita (MMA), che esibisce una straordinaria performance a livello nazionale, passando da 4 a 45 seggi, guadagna la maggioranza relativa nella Frontiera Nord-Ovest e fa parte della coalizione di maggioranza alternativa al PML-Qa nel Baluchistan. Ovvio il collegamento fra il risultato e l’insoddisfazione dell’elettorato per la politica filoamericana di Musaharraf, proprio soprattutto nelle zone di confine con l’Afghanistan.
Poiché i numeri lo consentivano, v’era stato all’indomani dell’attribuzione dei seggi il tentativo di formare una coalizione maggioritaria fra MMA e PPP. Tentativo subito frustrato dalla defezione di dieci parlamentari di nuova nomina tra le fila del PPP, passati a (programmata) alleanza con il PML-Qa. Così il partito del presidente è riuscito a piazzare suoi esponenti alla Presidenza del Parlamento (Chaudry Amin Hussain) e alla Presidenza del Consiglio. Il primo ministro, Zafarullah Khan Jamali, eletto a maggioranza risicata, è un civile, molto vicino all’esercito e al generale presidente.
Questi, peraltro, aveva in precedenza predisposto alcuni baluardi "costituzionali" che gli garantissero poteri eccezionali per i prossimi 5 anni: il potere di dimissionare il presidente del Consiglio, di sciogliere il Parlamento e il ruolo politico istituzionalizzato dei militari attraverso il Consiglio di sicurezza nazionale, che sta al di fuori dei controlli democratici e al di sopra del Parlamento stesso. La forza acquistata dai fondamentalisti islamici e da altre opposizioni non minaccia dunque la stabilità del potere di Musharraf, né indurrà cambiamenti nella politica estera, ma potrà rendere più ardue le riforme annunciate con le quali vuole ridurre ulteriormente il ruolo delle opposizioni, per esempio attraverso la messa al bando dei partiti religiosi fondamentalisti.