Violenza radicata
Javed Anjum, uno studente universitario diciottenne, il 17 aprile aveva bevuto acqua da un rubinetto esterno di una scuola islamica di Quetta, retta da Ghulam Rasool, un noto predicatore fondamentalista. Sorpreso da alcuni studenti, ha cercato di spiegare che non era un ladro. Dichiaratosi cristiano, è stato condotto all’interno dell’istituto, dove per cinque giorni è stato sottoposto a maltrattamenti con l’intento di costringerlo a ripudiare la sua religione, farsi circoncidere e aderire all’islam. Quando le violenze lo avevano ridotto in fin di vita, è stato consegnato alla polizia accompagnato da una denuncia per furto. La polizia lo ha trattenuto altri due giorni prima di portarlo in ospedale, dove è morto una settimana dopo.
Commissione giustizia e pace
La Commissione giustizia e pace ha portato la vicenda davanti all’opinione pubblica, inizialmente tenuta all’oscuro dalla stampa, e ha avviato una procedura puntigliosa per ottenere che il caso venisse registrato in maniera formalmente corretta e completa, visto che inizialmente era stato qualificato come omicidio, trascurando di precisarne la causa: le violenze inferte (cf. Asia News 13.5.2004). La stessa Commissione, sollecitando il sostegno dei musulmani moderati, ha chiesto al governo provinciale «di prendere misure a lungo termine per sradicare l’odio religioso e di seguire la legge, mettendo in atto provvedimenti contro questi odiosi crimini». L’episodio non è isolato, denunciano le comunità cristiane, e piuttosto è parte di una sequenza ripetuta di malversazioni provenienti dalle componenti estreme della stragrande maggioranza musulmana (95% della popolazione), benché l’insegnamento ufficiale dell’islam proibisca l’uso della forza per indurre alla conversione.
Il progetto
In coincidenza soltanto temporale con il fatto di Quetta, l’Istituto per una politica dello sviluppo duraturo ha pubblicato un rapporto sull’educazione intitolato Una sovversione sottile. Lo stato attuale del programmi di studio e dei manuali scolastici in Pakistan. Un anno di ricerche, condotte da personale di diverso credo passando in rassegna programmi e manuali scolastici, dal quale emerge «una pregiudiziale religiosa comunitaria vistosa nei contenuti dell’insegnamento» (cf. Églises d’Asie 16.5.2004, 13). Essa si manifesta come indifferenza verso la diversità religiosa, incitamento al jihad e alla violenza, incoraggiamento del pregiudizio, del settarismo e della discriminazione verso parte dei cittadini, in particolare le donne e le minoranze religiose.
In estrema sintesi, il rapporto rileva che «la totalità dell’educazione nelle scuole pakistane è impregnata di principi religiosi che riflettono la visione ristretta di una minoranza di musulmani, per i quali educazione scolare e indottrinamento islamico si confondono».
Inviando il rapporto al Ministero federale dell’educazione, gli autori della ricerca invitano a rivedere programmi e testi per la scuola, nell’intento di formare i giovani alla tolleranza e all’integrazione sociale. La proposta cozza contro l’inerzia del governo, imbrigliato dalla diffida delle componenti più integraliste della società, che vedono in ogni riforma un cedimento all’influenza dell’Occidente.