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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Luca e Lucia Arnoldi

Ecuador - Perù: un conflitto strumentale

"Il Regno" n. 10 del 1995

Questa lettera, proveniente dall'Ecuador, è giunta alla nostra redazione alla vigilia delle elezioni presidenziali e legislative peruviane del 9 aprile. Esse hanno sancito il trionfo del presidente uscente Fujimori e della sua coalizione (Cambio 90-Nueva Mayoria), che hanno ottenuto il 65% dei voti (65 seggi su 120 al Congresso), contro l'opposizione di centro-sinistra dell'ex segretario delle Nazioni Unite, J. Perez de Cuellar. Alla luce di questa schiacciante vittoria e del recente conflitto di frontiera tra Ecuador e Perù, la lettera mantiene ugualmente un forte interesse descrittivo della situazione ecuadoregna (red).


Le divisioni interne e il colonialismo, un tempo militare e ora economico, rendono i popoli di questa parte dell'America facili vittime di un gioco i cui attori principali non lavorano in questi paesi, ma piuttosto nei vellutati uffici delle capitali economiche dell'occidente.

Nel 1941 Ecuador e Perù subiscono l'ennesima violazione. Le compagnie petrolifere scoprono nell'area amazzonica ecuatoriana ingenti riserve petrolifere. I politici ecuatoriani "vendono" queste risorse all'americana Texaco. In Perù un accordo uguale viene stipulato fra il governo e la compagnia olandese Shell che fomenta e finanzia una guerra ai danni dell'Ecuador, approfittando del fatto che gli Stati Uniti non possono intervenire in aiuto dello stato aggredito, e della compagnia petrolifera americana, perché impegnati nel grande conflitto mondiale che si era scatenato. I peruviani, molto più forti militarmente, conquistarono gran parte delle regioni amazzoniche ecuatoriane, dove in teoria dovrebbero esistere grandi giacimenti petroliferi, senza incontrare nessuna forte resistenza. L'anno successivo viene firmato il cosiddetto Protocollo di Rio de Janerio che ufficializza la perdita di territorio da parte dell'Ecuador a favore del Perù. Altri cinque paesi americani assumono il ruolo di garanti di questo accordo che nessun governo ecuatoriano mai ufficializzerà nel proprio paese, come se si trattasse di un problema ancora aperto e ancora da definire. Di fatto i nuovi confini non vengono accettati e in tutte le mappe del paese esistenti qui in Ecuador vengono riportati i due confini: quello esistente prima del 1942 e quello "inaccettabile" del Protocollo di Rio.

Da allora i due popoli sono divisi da una grande rivalità. In Ecuador come in Perù, anche prima del conflitto di frontiera di quest'anno, esiste un evidente nazionalismo che si alimenta e trova forza nell'odio creato ad arte fra le due nazioni.

Nel gennaio 1995 il Perù vive una forte campagna elettorale. L'attuale presidente di origine giapponese, Fujimori, è in difficoltà. La scesa in campo per le prossime elezioni politiche dell'autorevole ex presidente dell'ONU Perez De Quellar e lo scandalo familiare causato dalla moglie che lo abbandona, accusandolo pubblicamente di adulterio, minano le sue possibilità di essere rieletto. Fujimori gode di una buona reputazione negli Stati Uniti grazie al fatto di aver risanato l'economia del paese, risanamento peraltro pagato a grave prezzo dalle categorie più povere della popolazione, e per le sostanziali vittorie ottenute per eliminare la guerriglia di stampo maoistico dell'organizzazione Sendero luminoso.

Grazie a queste vittorie gli investitori stranieri si sono riaffacciati in Perù. Il presidente è ben cosciente di questo e del fatto che difficilmente l'occidente prenderebbe misure contro di lui, come già accadde quando fu il protagonista negativo di un "golpe bianco" nel 1992, quando, appoggiato dall'esercito, annunziò la sospensione delle garanzie costituzionali e lo scioglimento del parlamento, costituendo un nuovo governo d'emergenza. Il tutto nel disinteresse o indiretto appoggio degli Stati Uniti.

In America Latina nulla più di una guerra contro una nazione storicamente ostile può riunire la gente e niente può essere più efficace in termini elettorali di una vittoria simbolica in un simile conflitto. L'Ecuador quindi può essere lo strumento idoneo per Fujimori per superare il malcontento serpeggiante fra i sempre più numerosi poveri peruviani e per ripresentarsi con le carte in regola alle prossime elezioni presidenziali.

Peraltro una simile iniziativa non si può prendere in America Latina se gli Stati Uniti minacciano ritorsioni a livello politico e militare. Ma in questo senso la storia aiuta Fujimori. Gli Stati Uniti vivono una stagione impegnativa e costosa per una nazione economicamente in crisi. Nell'area centro e sudamericana, negli ultimi mesi l'impegno statunitense è massiccio: l'irrisolta crisi con Cuba e i suoi profughi, Haiti con l'ingente invio di marines che attualmente occupano l'isola e soprattutto la crisi del peso, la moneta messicana. La non prevista crisi economica messicana è di tale portata che può mettere in crisi anche quella statunitense in seguito agli accordi commerciali Nafta e all'elevato numero di immigrati clandestini che dal Messico potrebbero entrare negli USA. Clinton è costretto a prendere misure economiche impreviste che portano a un enorme prestito bancario di 6.000 milioni di dollari da parte del governo statunitense in favore di quello messicano. In questo quadro così già ampiamente compromesso gli USA non possono permettersi massicce iniziative né a livello militare né a livello politico-economico in altre aree relativamente importanti a livello strategico ed economico. Ecco perché Fujimori può permettersi di attaccare il piccolo Ecuador senza che nessuno adotti misure contro di lui.

L'Ecuador è storicamente uno dei paesi socialmente più tranquilli dell'America Latina. Le tensioni sociali e i vari regimi antidemocratici non hanno mai scatenato la violenza e le forma di crudeltà che hanno caratterizzato la storia di altre nazioni sudamericane a cavallo degli anni '60-'80. La relativa tranquillità ha permesso una presenza di investitori stranieri. Negli ultimi dieci anni il prodotto interno lordo (PIL) è cresciuto del 24%, grazie soprattutto alle entrate derivate dal petrolio presente nell'aria nord-orientale del paese, mentre l'inflazione si mantiene alta, circa il 25% annuo, ma non esagerata considerando altre situazioni presenti in America Latina. A livello sociale si è registrato un notevole aumento di popolazione nelle aree urbane dove ora vive circa il 45% del totale dei circa 12 milioni di abitanti ecuatoriani purtroppo con un conseguente aumento della violenza metropolitana. La disoccupazione, in aumento, è anche una conseguenza del processo di modernizzazione del paese che si riscontra in tutti i settori produttivi e nell'organizzazione statale. L'ONU ha dichiarato che il 70% della popolazione economicamente attiva non lavora o si mantiene con lavori occasionali. Nell'ultimo anno si è incentivato un processo di privatizzazione dei servizi pubblici che aiuterà lo stato nel pagamento del debito estero, ma che renderà questi servizi ancora più difficilmente accessibili alle categorie più povere della popolazione. Sempre secondo l'ONU, il 50% dei bambini sotto i 5 anni vivono in uno stato di denutrizione.

Nell'autunno del 1994 i dipendenti degli ospedali del servizio sanitario della previdenza sociale (IESS) entrarono in sciopero denunciando la mancanza dei fondi necessari per un mantenimento dignitoso delle strutture e del servizio. In quei mesi alcune autorevoli personaggi della vita economica e politica del paese iniziarono a obiettare sulla validità del piano economico del governo, che destinava nel 1993 solo il 4,7% delle risorse per la salute, mentre per la difesa nazionale il dato superava il 20%. Le spese per il mantenimento dell'esercito, una istituzione quasi sacra in questi paesi, iniziarono ad essere messe in discussione. Fu in uno di quei giorni d'autunno che il presidente della repubblica, Sixto Durán Ballén, parlando ai capi dell'esercito, proclamò che non ci sarebbe stata riduzione nelle spese per la difesa e che i dipendenti statali che non compivano il loro dovere, con chiaro riferimento al personale ospedaliero in sciopero, avrebbero dovuto imparare dall'esempio e fedeltà dei membri dell'esercito. La stretta relazione esistente fra esercito e potere politico è evidente. In Ecuador il potere politico è più che mai rappresentativo del potere economico retto da poche centinaia di famiglie, ma forse sarebbe più corretto dire poche decine, che da sempre manipolano leggi e diritti a scapito della grande maggioranza della gente che vive lottando sul filo di diritti costituzionali presenti sulla carta, ma spesso assenti dalla realtà. In questo potere economico trova uno spazio importante l'esercito che possiede una banca di primaria importanza e una considerevole quantità di attività industriali e agricole.

Il Perù, senza dichiarare nessuna guerra, attacca nei primi giorni di gennaio di quest'anno alcuni avamposti di frontiera ecuatoriani. Non è una vera guerra perché se questa fosse l'intenzione Fujimori coinvolgerebbe l'intera forza militare a sua disposizione, potenzialmente ben più potente di quella ecuatoriana e in grado di distruggere rapidamente i piccoli avamposti ecuatoriani persi nella giungla preamazzonica. Ma i piccoli scontri di frontiera mettono in moto la macchina da guerra dell'Ecuador. Nelle strade appaiono carri armati e autoblindo, nelle maggiori città, soldati in tuta mimetica e mitragliatori si pongono a guardia di uffici pubblici, banche e ponti. Gli stipendi dei dipendenti pubblici vengono bloccati temporaneamente per far fronte all'improvvisa emergenza. Alla frontiera intanto si combatte. Qualche elicottero viene abbattuto e qualche decina di soldati muore sacrificata all'altare degli interessi dei politici e delle forze economiche che prendono parte al conflitto. Questo gioco macabro porta, calcolando spese vive e mancati guadagni indiretti causati dal calo del turismo e dalla paura di instabilità che spinge investitori stranieri ad aspettare tempi migliori, a una perdita giornaliera di circa 12 milioni di dollari. Questa nuova perdita imprevista causerà ulteriore povertà in un'economia fragile e di piccole dimensioni come quella ecuatoriana.

Ora è stato firmato un accordo di pace che si spera possa in futuro portare a una risoluzione definitiva e accettata da ambo le parti e che stabilisca con esattezza i confini dei due stati, ma in questo senso non esiste nessuna garanzia e alla frontiera anche in questi giorni si sono succedute sparatorie e incidenti malgrado la presenza di osservatori militari rappresentanti dei cinque paesi garanti.

L'esperienza di quest'anno dimostra che non tutte le forze in campo salutano con dispiacere l'arrivo di una guerra piccola come questa. L'esercito vede il suo prestigio, ultimamente in calo, aumentare enormemente e nessuno per almeno dieci anni potrà metterne in dubbio l'utilità e l'esigenza di garantirne un suo rafforzamento e quindi un consolidamento delle spese statali da investire nella difesa militare.

Il presidente Durán Ballén vive una stagione di nuova popolarità e nessuno ora si ricorda degli ospedali con infrastrutture insufficienti o delle scuole, dove mancano materiali didattici, ma dove vengono appesi volantini con scritto: "Distruggiamo il nemico peruviano".

Dall'altra parte della frontiera il presidente Fujimori è ritornato in testa in tutti i sondaggi e forse sarà rieletto.

Ora che la guerra appare conclusa e il pericolo è passato si è scatenato il business. Le banche pubblicizzano nuove forme di credito destinando una parte dei proventi all'esercito perché sia sempre assicurata un'adeguata difesa della patria. Analogamente, una catena di fast food presente nelle maggiori città ha creato un "hamburger per la pace" dove per ogni hamburgher di questo tipo venduto si prevede di destinare una percentuale dei proventi a favore dell'esercito mentre in televisione uno spot pubblicizza un detersivo adatto per lavare le sporche divise dei militari nella giungla. Lo spot termina con un gruppo di militari che corrono in maglietta bianca pulitissima in mezzo a un fiume. Grazie a tutto questo i produttori e venditori d'armi non potranno che compiacersi. La sconfitta più grande è quella della solidarietà. Ora l'odio per la gente del paese vicino è ancor più aumentato e il nazionalismo, l'amore verso la patria e la propria bandiera potrà essere sempre più facilmente utilizzato ogni qualvolta un governo sarà alle prese con qualsiasi tipo di problema interno. Inoltre molta gente degli strati più poveri della popolazione sono ora più che mai convinti che questi problemi si possano risolvere solo con l'uso della forza delle armi e non con un'adeguata azione politica e diplomatica. Questa cultura della guerra e della forza ha per questa gente una grande influenza che ha come conseguenza un atteggiamento sempre più aggressivo nei rapporti quotidiani fra le persone.

Una voce di speranza viene dalla chiesa ecuatoriana che sempre in questi mesi ha preso una netta posizione a favore della pace. I presidenti delle conferenze episcopali delle due nazioni hanno scritto un documento congiunto richiamando alla pace e alla fratellanza esistente fra i due popoli, ed è stato ampiamente diffuso. Per la chiesa cattolica si profila un futuro fatto di decisioni e scelte forti. Infatti accanto a sacerdoti e vescovi che hanno sposato e vivono in pieno la realtà dei poveri e degli indigeni, restano presenti nella realtà ecuatoriana esponenti della gerarchia ecclesiastica, ordini religiosi e sacerdoti che accettano connivenze con il potere politico ed economico che da sempre gestisce i propri interessi violando i diritti delle classi più povere. Esiste un discusso progetto per rendere entro l'anno la religione cattolica materia obbligatoria nelle scuole ecuatoriane. Non vorremmo che questo fosse un'occasione per il potere politico per contrattare e assicurarsi l'appoggio o il disinteresse della chiesa nelle questioni sociali e del lavoro che minano i diritti delle persone.

Babahoyo, provincia de Los Rior (Ecuador), 6 aprile 1995


articolo tratto da Il Regno logo


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