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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Gustavo Gutiérrez

Vergogna

"Se l'assassinio è definito per legge un eccesso..."


Vergogna,1 una profonda e incontenibile vergogna noi peruviani viviamo in questi giorni. Invocando parole di grande contenuto umano e cristiano, come riconciliazione e perdono, è stata legalizzata l'impunità di gravi delitti comuni, ivi inclusi infami assassinii. Con una evidente forzatura verbale, a dir poco, essi sono stati qualificati come eccessi commessi nell'esercizio di alcune funzioni. Funzioni che consistono sebbene suoni sarcastico ricordarlo nel difendere la vita e i diritti di tutti i cittadini.

È possibile tutto
Poco tempo fa si era diffusa la voce che un progetto in questa direzione era pronto per essere proposto al Congresso. La cosa sembrava talmente irreale che in molti ci domandavamo se era semplicemente l'idea di qualche politico stravagante di quelli che si muovono al di fuori di ogni etica desideroso di acquistare meriti, o se eravamo davanti a qualcosa motivato da interessi di breve periodo nella lotta politica e inventato a proposito.

La mattina del martedì ci siamo svegliati con una terribile e incredibile realtà, dal sonno del riposo siamo passati a un incubo. Non si trattava di un peregrino sondaggio d'opinione e di una vana o malintenzionata speculazione. Era qualcosa di premeditato che veniva tenacemente portato a compimento. Lo stupore suscitato dal contenuto del progetto, nonché il modo in cui è stato presentato, ha accompagnato per ventiquattro ore la disperata speranza che la legge non venisse promulgata. Ma l'ingiustizia non ha tardato a essere legalizzata; l'impunità si è travestita da riconciliazione. Un preteso perdono ha pericolosamente aperto la porta a nuovi ed esecrabili abusi e crimini. A questo si unisce l'ambiguità di una cattiva redazione, intenzionale o spontanea, del testo di legge che consente le più arbitrarie interpretazioni.

Sebbene ci sia doloroso riconoscerlo, tutto sembra possibile nel Perù di oggi. Il deliberato proposito di confondere, come ha osservato il card. Vargas Alzamora, mettendo nello stesso calderone presunti delitti d'opinione o altri fatti simili con dei reati indicibili già condannati o in fase processuale porta a pensare in questo senso. La confusione è senza dubbio un'offesa a persone onorabili e degne di rispetto. Ma non possiamo dimenticare che la cosa più grave consiste nel pretendere di rendere accettabili, attraverso di essa, grazie al "fragore della battaglia", degli assassinii che nella maggior parte dei casi colpiscono persone, alcune delle quali bambini, appartenenti al mondo dei poveri e dell'insignificanza sociale. "Non c'è giustizia per i poveri", diceva lapidariamente un testimone degli avvenimenti dei Barrios Altos. Non ci soffermiamo ora in una analisi minuziosa di questa affermazione, essa viene da un sentimento profondo e si esprime con un grido. Una cosa è certa: i poveri sono state le prime e le più numerose vittime dei vari tipi di violenza che abbiamo vissuto nel paese.

Etica e politica
Ogni tentativo di evacuare l'etica dalla politica va contro la politica stessa. Quest'ultima si colloca infatti nell'ambito della convivenza sociale di esseri liberi e responsabili e si orienta al bene comune, di cui uno degli aspetti essenziali è il rispetto per i diritti umani, cominciando dal primo di essi: il rispetto per la vita, violato dalla legge in questione. La dimensione etica è dunque costitutiva della persona e della sua vita nella società. E in questo deplorevole caso ci troviamo appieno, al di là delle decisioni politiche, di fronte a una questione etica. Non c'è modo di nascondere questa realtà: alcune posizione durante il dibattito al Congresso sono state significative in proposito. Questa è la ragione dell'indignazione che hanno cominciato a manifestare persone e istituzioni, le quali mantengono tra loro legittime divergenze politiche su più di un tema. Con questo tipo di misure si beneficiano talora oscuri e meschini interessi politici e personali, ma non la società nel suo insieme. Nelle attuali circostanze, se qualcuno cercava di avvelenare la vita del paese e di chiuderne l'orizzonte, non poteva scegliere un mezzo migliore per farlo.

Uno straordinario sforzo dell'opinione pubblica, il macabro ritrovamento di resti umani mutilati e bruciati, la tenacia e il coraggio di alcune persone, da tempo hanno vinto la resistenza a indagare e ad accusare i responsabili degli assassinii de La Cantuta. Si pensava che questo fatto potesse aprire la possibilità di conoscere con certezza quanto è accaduto nei Barrios Altos e in tanti altri casi (senza dimenticare quello dei penitenziari), nonché condurre al giudizio e alla condanna dei responsabili. Questi morti lasciano dei sepolcri vuoti che secondo la presente legge bisognerà insabbiare, ma non per questo essi cesseranno di essere testimoni dell'assenza di buon senso, di sensibilità umana e dei più elementari principi morali che non possiamo altro che biasimare e rifiutare.

Per giustificare tali atti non si chiami in causa il terrorismo sanguinario che abbiamo dovuto subire in questi anni. Non fosse altro perché sarebbe un insulto alla memoria di quanti civili e militari hanno dato la vita combattendo il crimine occultato con sembianze politiche, o che ne furono vittime. Proprio perché costoro ci stanno a cuore ci opponiamo a che vengano usati mezzi simili a quelli che impiegarono i loro assassini. Si dice spesso che il terrorismo, malgrado dia ancora qualche segno di vita (o di morte, se vogliamo essere esatti), è stato sostanzialmente sconfitto. Non possiamo desiderare altro che sia così. Nessuno vuole tornare a vivere quanto è stato sperimentato per più di un decennio. Ma, proprio per questo, deploriamo che al sacrificio in vite umane e beni materiali, che alle sofferenze e ai danni provocati dal terrorismo, si aggiunga quella che potremmo chiamare (e ci scusiamo del brutto neologismo) una "senderizzazione" mentale di molti peruviani. Ci riferiamo alla posizione che induce a pensare che solo la violenza, la mano dura su chicchessia, l'assassinio a tradimento possano risolvere situazioni difficili. Se questa mentalità ci invade e diventa comportamento tollerato o giustificato, la violenza terroristica avrà ottenuto la sua vittoria più grande e perversa. Dobbiamo impedire una simile eventualità.

Con questa condotta non apriremo degli alvei nei quali possa scorrere acqua destinata a dare vita alla terra, e a coloro che si nutrono di essa, ma delle fosse comuni nelle quali si accatastano cadaveri insepolti. Ci preoccupa che queste misure aumentino le distanze, i timori e anche gli odi tra i peruviani, e provochino il terribile sentimento di vergogna di appartenere a una società che calpesta i più elementari valori umani. Con quale autorità morale domanderemo di fare luce e punire i casi di corruzione che hanno invaso i mezzi di informazione in queste ultime settimane?

Non è in causa la facoltà costituzionale del Congresso di concedere un'amnistia (all'interno dei confini costituzionali, si intende), è in questione la misura di eticità in base alla quale l'oblio, il colpo di spugna, sia possibile non per fatti politici, ma per delitti comuni della rilevanza di quelli che tutti conosciamo.

Se il paese non ci sta a cuore...
Se il paese ci sta a cuore; vale a dire, se ci interessa ciascuna delle persone che in esso vivono, non possiamo rassegnarci di fronte a quello che si vuole presentare come un dato di fatto, inevitabile, e a cui tutti dobbiamo sottometterci senza fiatare. Le leggi sono opera umana e possono essere revocate. Spetta ai giuristi segnalare le vie concrete per farlo, ma l'esigenza di un cambiamento è evidente. Naturalmente ci sono anche delle ragioni politiche ed economiche, nazionali e internazioni, che stimolano a imboccare la via della giustizia nel nostro ordine legale. Altri con maggiore competenza si incaricheranno di renderle note.

Da parte nostra ci interessa sottolineare che, come hanno recentemente ricordato i vescovi della Commissione permanente della Conferenza episcopale peruviana, "solo a partire dalla verità, dalla giustizia e dalla misericordia che Dio ha posto nel cuore dell'uomo, possiamo porre i fondamenti di un'autentica riconciliazione" (comunicato del 16 giugno). Riconciliazione e perdono sono due grandi termini e temi umani e cristiani. Per questo non possiamo giocare con essi e disonorarli ponendo il loro fondamento nella menzogna e nell'ingiustizia. Se lo facciamo, come nel caso che stiamo esaminando, staremo sostenendo "un contro-valore sociale: la morte e il disprezzo per la vita" (ibid). La vita di tutti, ma in particolare dei più poveri e indifesi.

Di questo si tratta, infatti, del valore che diamo alla vita umana, alla vita in generale, nel Perù di oggi. Ciò che ci induce a rifiutare dal più profondo di noi i crimini del terrorismo, ci impedisce ora di avvallare la legalizzazione dell'impunità di fronte ad altre forme di assassinio.

Resti chiaro che stiamo alludendo a casi che sono stati giudicati, o che dovrebbero esserlo, in tutta trasparenza; considerati i diritti di difesa di chiunque e puniti con il rispetto dovuto all'imprescrittibile dignità umana di ogni persona. Pensiamo che in una società che si rispetti nessuno possa fare giustizia con le proprie mani. E che nessuno possa maltrattare una persona punita dalla giustizia: la sua colpevolezza non le fa perdere la sua condizione di persona. Nel dire ciò pensiamo a tutti coloro, comunque una minima parte di quanti presero parte a fatti perseguibili, che sono stati dichiarati responsabili e hanno ricevuto una pena; pensiamo certamente anche a quelli che sono stati appena amnistiati. L'omicidio è condannabile non solo in quanto commesso contro un innocente e questo aumenta indubbiamente la sua gravità ma perché commesso contro una persona umana e, per un credente, contro un figlio di Dio. Agli organi della giustizia, e solo a questi, compete il giudizio e l'eventuale pena.

La riconciliazione nazionale è certamente una meta. Ma è anche un processo, deve essere costruita con passi giusti e fermi. Per cominciare richiede un largo consenso basato su un esigente stile democratico nella convivenza sociale e non misure intempestive che intralciano l'andare e allontanano gli obiettivi da raggiungere. Con esse non avanziamo, piuttosto arretriamo. Arretriamo anche quando si pretende di equiparare la legge di pentimento (che escludeva proprio i casi di assassinio) all'attuale amnistia. Bisogna spiegare alla popolazione per quali ragioni e con quale rispetto per la giustizia e l'equità si dettano le norme per la vita nella società. Diversamente, quando si risponde a privilegi ottenuti con la forza o con un'altra forma di potere, i risentimenti inquinano una situazione già tributaria di ingiusti squilibri storici.

La riconciliazione non solo deve essere vista come un processo di convergenza di volontà nel rispetto dei diritti di tutti. Essa richiede tempo, ma anche che si vada alle radici dei nostri mali sociali. L'immensa povertà del popolo peruviano non giustifica in alcun modo la violenza terrorista, ma è una coltivazione che deve essere eliminata perché può dare luogo a pericolosi germogli. La riconciliazione nazionale passa per il riconoscimento effettivo di tutti alla vita, al pane, a un tetto, alla salute, al rispetto, a una esistenza dignitosa.

Voglia Iddio che questo doloroso e difficile episodio della vita del paese scuota le coscienze. È necessario un grande movimento nazionale che reclami l'obiezione alla legge la cui promulgazione motiva queste righe; ma che vada al di là. Che le forze sane del paese che hanno cominciato a reagire di fronte a questi fatti, e che vengono da settori diversi della vita del paese vadano lucidamente alle cause remote dei nostri problemi. Si tratta di una ricostruzione della vita della nazione che richiede lo sforzo sereno di tutti, civili e membri delle forze armate. Le esclusioni sono mutilazioni che non possiamo permetterci.

Abbiamo bisogno di pacificazione, ma soprattutto di pace. E lo sappiamo: non c'è vera pace se non è fondata nella verità e nella giustizia. Incamminarsi sulla strada per ottenerla significa cominciare a perdere l'angosciante sensazione di vergogna che minaccia di paralizzarci.

1 Pa’ginas n. 134, agosto 1995, 6.


articolo tratto da Il Regno logo

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