Perù-Ecuador: Applicare la pace
Il 18 gennaio scorso Ecuador e Perú hanno formalizzato la demarcazione definitiva di un tratto del confine comune ai due paesi. I presidenti, Jamil Mahad e Alberto Fujimori, hanno guidato la cerimonia in una radura della selva amazzonica nei pressi di Lagartococha. Si tratta del primo passo concreto per l’applicazione dell’Accordo di pace definitivo firmato a Brasilia il 26 ottobre 1998, dopo tre anni di negoziazioni e a partire dalla dichiarazione di pace di Itamaraty (17.2.1995).
Il ruolo dei vescovi
L’annosa questione relativa alla frontiera tra Perú ed Ecuador – che ha dato luogo a numerosi recenti conflitti, l’ultimo dei quali nel 1995 –, ha avuto soluzione grazie alla mediazione di Brasile, Argentina, Cile e Stati Uniti, nonché all’interessamento diretto del Vaticano. Non a caso il presidente brasiliano Cardoso, presidente del gruppo dei paesi garanti, alla firma dell’accordo ha voluto espressamente menzionare la costante sollecitudine di Giovanni Paolo II per favorire tale intesa. Per quella occasione, accanto ai presidenti di Brasile, Argentina, Cile, Bolivia, Colombia, Venezuela, al rappresentante personale di Bill Clinton e ai reali di Spagna, sedevano anche il presidente del CELAM, mons. Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga e il card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero, latore di un messaggio pontificio. In esso il papa si associava alla gioia dei due popoli "tanto amati, e uniti da molti vincoli comuni di fede cristiana e di cultura".
Importante, nell’intera questione, l’atteggiamento dei vescovi dei due paesi, chiamati appositamente a colloquio dal segretario di Stato, il card. Sodano, nel corso del sinodo per l’America del dicembre 1997. La tesi sostenuta da entrambi gli episcopati, anche presso i rispettivi governi, è stata quella che una parziale rinuncia rispetto alle rivendicazioni di ciascun paese val bene la pace. Così il card. Vargas Alzamora, presidente della Conferenza episcopale del Perú: "noi peruviani abbiamo dovuto cedere qualcosa, perché quando due parti negoziano, la soluzione perfetta non c’è mai. (…) Tuttavia, tutti dobbiamo appoggiare pienamente questa decisione perché il suo frutto è la pace definitiva con una nazione sorella". E così mons. Mario Ruiz Navas, presidente della Conferenza episcopale dell’Ecuador: "La decisione non soddisfa tutte le nostre aspirazioni, ma è certamente meglio della minaccia del fantasma della guerra".
Malgrado le prospettive aperte da un contributo di 500 milioni di dollari – offerto dal presidente della Banca interamericana di sviluppo (BID) per la promozione economica e sociale di un’area che, attorno ai 1.700 km di frontiera tra i due paesi, coinvolge circa 4 milioni di abitanti –, il problema attualmente più urgente è quello di un tempestivo sminamento del territorio, onde evitare che il conflitto ora concluso lasci dietro di sé altre vittime.