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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Antonella Borghi

La fuga di El Chino

"Il Regno" n. 22 del 2000

La crisi politica e istituzionale che dalla fine di agosto attanaglia il Perù ha subìto nelle scorse settimane un’accelerazione tanto clamorosa quanto imprevista. Il 20 novembre scorso, il presidente Alberto Fujimori, che ad ottobre aveva preannunciato la volontà di non portare a termine il suo terzo mandato presidenziale e di convocare nuove elezioni per l’aprile del 2001, ha inopinatamente presentato da Tokio le proprie dimissioni. Dopo una giornata di dibattito infuocato, il Congresso peruviano le ha respinte, preferendo la formula della destituzione per "incapacità morale" del padre-padrone del Perù, al potere dal 1990.

Automaticamente, la carica è stata assunta ad interim dal presidente del Congresso, Valentín Paniagua, che ha subito formato un governo provvisorio di tecnici e di personalità di forte autorevolezza morale, primo fra tutti il premier, Javier Pérez de Cuéllar, già segretario generale dell’ONU per due mandati consecutivi a partire dal 1982.

Può nascere la democrazia

Ufficialmente, l’inattesa decisione di Fujimori è stata motivata con il venir meno al Congresso di una maggioranza a lui favorevole. Perú 2000, la coalizione di partiti che lo aveva sostenuto la scorsa primavera (consentendogli di accedere a un terzo mandato presidenziale, pur fra mille polemiche e accuse di brogli da parte del suo diretto antagonista, Alejandro Toledo) poteva contare ormai solo su 44 dei 120 deputati complessivi, dopo la defezione di 16 congressisti rimasti fedeli a Vladimiro Montesinos, l'eminenza grigia a capo dei servizi segreti peruviani, già braccio destro di Fujimori, al centro di una turpe vicenda di corruzione politica (ma si parla anche di traffico d’armi e di droga).

Dopo il rifiuto dello stato panamense di concedergli asilo politico, Montesinos era rientrato clandestinamente in patria alla fine di ottobre, mettendo in subbuglio il governo di Fujimori, già alle corde per la crescente ondata di risentimento popolare e per il dissenso suscitato internazionalmente dalle degenerazioni della sua amministrazione. Dopo le dimissioni del vicepresidente Francisco Tudela, che aveva definito "nefando" il ritorno in patria di Montesinos (una vera e propria "offesa alla coscienza della nazione") e la condanna espressa da César Gaviria, segretario generale dell'OSA (Organizzazione degli stati americani), Fujimori aveva messo le mani avanti nei confronti delle forze armate, in passato fedeli a Montesinos, annunciando la destituzione dei comandanti delle tre armi (esercito, marina e aviazione) e proponendo una data precisa per la convocazione di nuove elezioni generali (il 9 aprile del 2001), a cui lui non avrebbe partecipato.

In quell’occasione, Fujimori si era impegnato a garantire la democraticità del processo elettorale, la riforma del sistema giudiziario, una maggiore libertà per la stampa e il reintegro del Perú nella Corte interamericana dei diritti umani, da cui il paese era uscito per protesta nel giugno del 1999 (cf. Regno-att. 18,1999,594). Si era poi affrettato a revocare la promessa di amnistia fatta a metà ottobre a favore dei militari condannati per reati commessi nel quadro della lotta al narcotraffico, un provvedimento che aveva allarmato la Chiesa e le organizzazioni di difesa dei diritti umani, perché avrebbe comportato un colpo di spugna ai gravi crimini commessi dall'esercito sotto il pretesto della lotta alla droga (come in passato era successo con la lotta al terrorismo).

L’annuncio del ritiro di Fujimori ha colto molti di sorpresa, ma l'auspicio di tutti, adesso, è che si possa consolidare il cambiamento finalmente avviato, in modo che le prossime elezioni (confermate per il 9 aprile prossimo) inaugurino veramente un nuovo corso per il travagliato paese andino, che, dopo gli anni del risanamento finanziario conseguito a caro prezzo da Fujimori, si trova di nuovo alle prese con una forte recessione economica, aggravata dall’aumento del debito estero. Nel frattempo, i poveri del Perú (cresciuti, secondo una ricerca pubblicata lo scorso settembre, dal 50,7% di tre anni fa all'attuale 54,1%) aspettano, e sperano che almeno una parte dei molti milioni di dollari intascati da Montesinos nei suoi loschi traffici (c’è chi parla di un miliardo) possa essere destinata ad alleviare la loro miseria.

La Chiesa e la democrazia

La Chiesa peruviana, dal canto suo, ha continuato anche in questi mesi di terremoto politico a richiamare i responsabili peruviani della cosa pubblica al dialogo e al confronto per il bene della nazione (cf. Regno-att. 18,2000,628). Nella Chiesa peruviana è in atto un riequilibrio della linea politica dopo l’eccessiva esposizione a favore del regime corrotto di Fujimori da parte di mons. Cipriani, arcivescovo di Lima. L'occasione più significativa è stata quella dello scorso 16 ottobre, quando il presidente della Conferenza episcopale peruviana, mons. Luis Bambarén, ha celebrato una "Messa per il Perú", a cui sono stati invitati tutti i partecipanti al Tavolo del dialogo, l'importante negoziato avviato il 4 settembre scorso sotto l'egida dell'Organizzazione degli stati americani (OSA), che ha visto seduti insieme a discutere per diverse settimane i rappresentanti del governo, delle opposizioni e della società civile peruviana. Come è sua abitudine ormai da diverso tempo, la Conferenza dei vescovi peruviani – una delle poche istituzioni che ancora godono di qualche prestigio e autorevolezza morale in un paese in preda alle convulsioni – aveva ricordato alla classe politica il dovere di "rispondere alle aspettative di milioni di peruviani, che non possono continuare a vivere nell'incertezza e nello sconcerto".

Dopo la svolta clamorosa di fine novembre, se non altro, il processo virtuoso della democratizzazione sembra avviato, anche se la situazione interna resta assai confusa. Se all’estero i giornali si sono preoccupati soprattutto di capire quale sarà il destino di Fujimori (si parla di richiesta di asilo politico al Giappone, che consentirebbe a "el chino" – come veniva familiarmente chiamato l’ex presidente – di sottrarsi a eventuali procedimenti giudiziari in patria per abuso di potere, corruzione e sparizione di cittadini peruviani), all’interno del paese è stato Mario Vargas Llosa a dare voce alle preoccupazioni di chi ha a cuore le sorti del Perù. "La paralisi istituzionale – ha dichiarato lo scrittore – sta mettendo a dura prova l’economia. Il paese ha bisogno che l’ordine venga ripristinato al più presto".

articolo tratto da Il Regno logo

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