Memoria per non morire
Occorre un compromesso fra governanti e governati, che devono impegnarsi per la rigenerazione morale della nostra patria e il pieno recupero della istituzionalità. L'auspicio dei vescovi del Perú all'indomani dell'elezione a presidente di Alejandro Toledo, uscito vincitore dal ballottaggio del 3 giugno scorso contro Alan García (cf. Regno-att. 12,2001,412), è stato condiviso dalla stragrande maggioranza dei cittadini e anche dei politici peruviani, che sembrano avere unanimemente imboccato la strada del ritorno alla democrazia e del ripristino della legalità istituzionale, dopo il decennio nero dell'amministrazione Fujimori.
La Commissione della verità
Uno dei segnali più convincenti della volontà di svolta e di rinnovamento è dato dalla creazione di una "Commissione della verità", istituita a seguito di un lungo e pensoso dibattito interno (che sembra essere quasi del tutto sfuggito agli osservatori internazionali) dal presidente del governo di transizione Valentín Paniagua (eletto ad interim alla fine dello scorso novembre dopo la fuga all'estero e la destituzione di Fujimori; cf. Regno-att. 22,2000,767). Il 4 giugno, a poche ore dalla chiusura dei seggi e a un mese e mezzo dal passaggio delle consegne al neoeletto Toledo (che s’insedierà ufficialmente il 28 luglio prossimo), Paniagua ha istituito per decreto la tanto auspicata Commissione investigativa che dovrà far luce sui tanti (forse troppi) episodi di violenza verificatisi nel paese andino nell'arco di un ventennio, a partire dal maggio 1980 (data che segna il ritorno del potere nelle mani dei civili dopo una serie di regimi militari, nonché l'approvazione di una nuova Costituzione e la nascita del movimento terroristico maoista "Sendero luminoso") e fino al novembre 2000. Sono in questione, dunque, non solo gli anni bui del fujimorismo, ma anche i governi che lo avevano direttamente preceduto, l'ultimo dei quali (1985-1990) guidato proprio da Alan García, antagonista di Toledo alle recenti presidenziali.
I membri della Commissione, sette in tutto, sono stati nominati dallo stesso Paniagua lo scorso 6 luglio, tenendo conto dei suggerimenti e dei molti desiderata espressi dalle organizzazioni della società civile, nonché da istituzioni quali la Conferenza episcopale e il Consiglio nazionale evangelico, i cui membri, insieme a quelli del Coordinamento nazionale per i diritti umani, sono stati spesso in prima linea nella difesa della vita e della dignità delle vittime. Era circolato con insistenza il nome di mons. Luís Bambarén Gastelumendi, attuale presidente della Conferenza episcopale peruviana, che però è rimasto fuori.
È comunque stato designato un esponente della Chiesa cattolica nella persona di padre Gastón Garatea, il quale subito dopo la nomina ha dichiarato che la Commissione (presieduta dal rettore della Pontifica università cattolica di Lima, Salomón Lerner Febres) non avrà come fine precipuo quello di "trascinare i militari sul banco degli accusati", bensì quello di "riscattare i valori di ogni individuo per prendere coscienza di chi siamo e di chi vogliamo essere". Non un revanchismo fine a se stesso, dunque, ma la ricerca della verità per poter offrire alle vittime "una qualche forma di riparazione per giungere a una valida riconciliazione".
Sino a che punto?
Di fatto, stando al dispositivo del decreto presidenziale, i compiti della Commissione sono ben circoscritti e non devono sconfinare nell'ambito di pertinenza del potere giudiziario. È bene sottolineare, inoltre, che essa è chiamata a stigmatizzare gli atti di violenza da qualunque parte venissero, sia dalle forze dell'ordine, sia dai gruppi terroristici di estrema sinistra, sia dalle formazioni paramilitari. Gli obiettivi da perseguire nei 18 mesi concessi alla Commissione per assolvere il proprio mandato (prorogabili di altri cinque, ma che, a detta di quasi tutti gli osservatori, restano sempre troppo pochi) sono dunque i seguenti:
a) analizzare le condizioni politiche, sociali e culturali, che, insieme ai comportamenti dei singoli e delle istituzioni, hanno contribuito alla tragica situazione di violenza venutasi a creare in Perú;
b) aiutare gli organi giurisdizionali competenti a far luce sui crimini e le violazioni dei diritti umani, cercando di determinare la condizione attuale delle vittime e, nei limiti del possibile, i presunti responsabili;
c) elaborare proposte di riparazione per restituire dignità alle vittime e ai loro familiari;
d) suggerire riforme istituzionali, legali, educative o di altro genere, come garanzia di prevenzione, affinché tali raccomandazioni possano essere recepite da iniziative legislative, politiche o amministrative;
e) la Commissione si concentrerà in particolare su omicidi, sequestri, sparizioni forzate, torture e altre lesioni gravi, prevaricazioni dei diritti collettivi delle comunità andine e indigene del Perú, e altre violazioni dei diritti umani.
La Commissione potrà avvalersi della consulenza di esperti e periti dei più diversi ambiti disciplinari (avvocati, sociologi, psicologi, esperti di medicina e antropologia forense). Al termine del suo lavoro, che sarà prevedibilmente difficile e insidioso (tanto che l'esecutivo ha predisposto ingenti misure di sicurezza per tutelare quanti si troveranno a rimestare nel verminaio della politica peruviana degli ultimi decenni), la Commissione dovrà produrre un rapporto finale da presentare al capo dello stato e che verrà poi reso pubblico. Tutti i materiali documentari raccolti durante le inchieste dovranno rimanere strettamente riservati e saranno affidati alla Defensoría del Pueblo (un'istituzione di carattere civile per la difesa dei diritti umani). Il potere esecutivo sarà poi tenuto a seguire le indicazioni e raccomandazioni della Commissione nella misura in cui esse siano compatibili con la legge.
Qualità morale di un paese distrutto
Durante la campagna elettorale, Alejandro Toledo si era dichiarato a favore di una simile iniziativa, impegnandosi con i familiari dei desaparecidos a facilitare la ricerca della verità sulla sorte dei loro cari. "Quando esiste volontà politica e si dispongono strumenti d’indagine adeguati, è possibile stabilire la verità su fatti che in precedenza erano rimasti occulti", si legge in un numero dell'autorevole rivista peruviana di studi Páginas dedicato interamente al dibattito sulla Commissione della verità (25[2001] 168, aprile 2001). Nelle stesse pagine c'è però chi esprime qualche dubbio sulla reale volontà dei politici di "smuovere le acque" e "complicarsi la vita", prevedendo che "con il passare del tempo le resistenze aumenteranno, soprattutto a livello statale". È quindi un'ottima cosa che la Commissione sia stata istituita dal governo di transizione, i cui interessi non saranno legati ancora per molto ai destini del Perú.
Della Commissione fanno parte anche una parlamentare eletta con il partito di Fujimori, Perú 2000 (la quale prese però le distanze dal governo dopo lo scandalo di cui fu protagonista Vladimiro Montesinos) e un ingegnere di Ayacucho, padre di uno dei capi di Sendero luminoso. L'auspicio di tutti, adesso, è che la Commissione riesca a districarsi nella moltitudine di casi da investigare. Le cifre sono da capogiro: 25.000 morti, 4.200 scomparsi, 700.000 rifugiati interni (soprattutto indigeni delle Ande) e 25 miliardi di dollari di danni materiali. Uno dei sette membri della Commissione, l'antropologo Carlos Ivan Degregori, considera "praticamente impossibile indagare su tutto, ma di fronte ai tentativi fatti in questi anni per mettere a tacere la verità, qualunque progresso è positivo".1 Degregori avanza la proposta di istituire delle commissioni di appoggio regionali, specie nella zona di Ayacucho, che fu tra le più martoriate dal fuoco incrociato di Sendero luminoso e delle forze dell'ordine. In questo modo, con personale locale, sarebbe forse più facile contattare e coinvolgere nel processo investigativo le comunità andine, specie le più isolate, che spesso parlano solo quechua e non capiscono una parola di spagnolo.
Una strada in salita
La strada sembra essere tutta in salita, ma il sentimento comune della popolazione è che il lavoro si debba fare, costi quello che costi (e, a proposito di denaro, si spera anche in finanziamenti da parte della comunità internazionale). "Solo attraverso questo modo di guardarci allo specchio _ ha dichiarato il presidente della Commissione, Salomón Lerner _ riusciremo ad accettare quello che, come società, abbiamo vissuto e sofferto. Solo così si potrà aprire davanti a noi un futuro davvero democratico, solidale e di sviluppo. Non possiamo vivere sulla base di menzogne e di verità occulte".
L'America Latina annovera già una serie di esperienze analoghe, da quella argentina del 1983 sui desaparecidos; a quella cilena, che ha appena compiuto dieci anni; nonché quelle ormai concluse di Guatemala ed El Salvador. Per nessuno di questi paesi è stato facile lavare i panni sporchi accumulatisi in anni di dittature e di guerre civili. In Perú la congiuntura interna in questo delicato passaggio di riconversione democratica è particolarmente difficile: sul piano economico, nei primi 4 mesi del 2001 il PIL è calato del 2,2% e i poveri sono saliti al 54% dell'intera popolazione. Il terremoto dello scorso 23 giugno, seguito da numerose scosse d’assestamento, non ha certo contribuito a sollevare gli animi di una popolazione già da lungo tempo in preda a un malessere sociale diffuso, alla disillusione, all'apatia. Il lavoro che attende il presidente Toledo si annuncia arduo, e il compito più duro, per dirla con le parole dei vescovi, sarà quello di "ridare al popolo la speranza e risposte concrete alle sue legittime aspirazioni di lavoro e diminuzione della povertà".
1 La República 8.7.2001.