Interessi economici e salute
La Chiesa e la nuova economia del paese
L'economia del Perù, che si fondava essenzialmente sull’agricoltura e sull’allevamento, dipende oggi dall’attività estrattiva, che rappresenta ormai la metà delle esportazioni», spiegava nel luglio 2004 Yuri Cahuata, responsabile dell’Area di terra ed ecologia della Commissione episcopale di azione sociale, organismo della Conferenza episcopale peruviana (CEP).
Lo sfruttamento delle miniere
In effetti negli ultimi dieci anni l’aumento della domanda internazionale, l’incremento dei prezzi dei metalli e le condizioni favorevoli poste dalla legislazione nazionale, che consente concessioni di durata illimitata e con imposte bassissime (3 dollari l’anno per ettaro di terra), hanno fatto crescere notevolmente il settore minerario, che attira il 15% degli investimenti stranieri e riguarda 230.000 km2 contro i 60.000 destinati alle coltivazioni.
Tuttavia l’apertura e lo sfruttamento delle miniere hanno spesso provocato seri problemi sanitari, sociali e ambientali: distruzione delle produzioni tradizionali di sussistenza, espropriazione delle terre dei contadini, aumento della povertà, ridotta creazione di posti di lavoro (gli occupati sono circa 90.000, l’1% della popolazione economicamente attiva), inquinamento di acqua, suolo e aria, esaurimento dei bacini idrici, precarietà occupazionale, evasione fiscale e corruzione di funzionari pubblici. Sono quindi proliferati i conflitti, non di rado molto aspri, il più delle volte tra le popolazioni locali e le imprese. Nel 2005 ne erano in corso quasi una trentina, in alcuni casi con l’intervento militare a difesa degli impianti e l’assassinio di dirigenti dei movimenti sociali.
L’aggravarsi della conflittualità ha portato alla costituzione di un Coordinamento nazionale delle comunità danneggiate dall’attività mineraria, alle cui attività anche molti parroci e vescovi prendono parte, svolgendo una complessa opera di discernimento circa i diversi modelli di sviluppo e circa alcune questioni che necessitano di una certa preparazione tecnica, di accompagnamento dei settori sociali penalizzati, d’informazione ed educazione ecologica, di lotta per la giustizia e la pace, di mediazione tra soggetti e interessi contrapposti, di promozione del dialogo in vista di soluzioni eque e sostenibili.
Due situazioni esemplari, ma differenti, riguardano la zona metallifera di La Oroya, nel centro del paese, e il progetto «Rio Blanco», nella regione nord-orientale.
Due situazioni: La Oroya…
Il complesso metallurgico di La Oroya, uno dei più importanti del paese, che produce soprattutto piombo, zinco, rame, oro e argento, di proprietà di una società statunitense prima e di una compagnia statale poi, fu acquistato dalla Doe Run nel 1997 con l’impegno di realizzare un programma di adeguamento e gestione ambientale da 174 milioni di dollari (un terzo dei ricavi annui dell’impianto) entro il 2007, per affrontare gli elevati livelli di inquinamento da sostanze tossiche. Le percentuali di piombo, arsenico, cadmio e diossido di zolfo nelle acque del fiume Mantaro risultavano infatti tre volte superiori a quelle raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità, con gravi danni per gli individui più deboli, a cominciare dai bambini, i quali quasi nel 100% dei casi presentavano sintomi di avvelenamento da piombo (responsabile di problemi comportamentali, deficit intellettivi e difficoltà di sviluppo).
Alla fine del 2004, però, la Doe Run aveva domandato al governo di rinviare la scadenza del piano di bonifica al 2011 per la mancanza delle risorse economiche necessarie, avvertendo che se tale richiesta fosse stata respinta avrebbe dovuto sospendere l’attività estrattiva, lasciando senza lavoro 4.000 minatori e danneggiandone altri 50.000 dell’indotto. La popolazione aveva bloccato le strade a sostegno dell’impresa, ma la polizia era intervenuta contro i manifestanti, provocando due morti.
L’arcivescovo di Huancayo, mons. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, ha quindi suggerito l’avvio di un «dialogo autentico, responsabile, solidale e pacifico tra le parti», fondato sul principio per cui «la vita e la salute sono al di sopra di qualunque altro diritto», proponendo di realizzare congiuntamente uno studio analitico sull’inquinamento ambientale e di concordare una soluzione integrale, tale da garantire anche la stabilità dei posti di lavoro e il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Coinvolgendo anche la Chiesa presbiteriana e l’organizzazione non governativa Oxfam international, il prelato ha perciò affidato la ricerca, con l’approvazione del Comitato di etica dell’Istituto nazionale di salute, all’Università di Saint Louis (retta dai gesuiti), negli Stati Uniti, dove ha sede la Doe Run, e al Centro di controllo e prevenzione delle malattie di Atlanta (Missouri, USA), dichiarando di sperare che la soluzione dei problemi ambientali di La Oroya possa servire «da modello di collaborazione tra enti pubblici, privati e religiosi nella lotta contro l’inquinamento».
Nonostante la popolazione fosse molto divisa tra chi temeva di restare disoccupato, al punto da attuare nuove proteste nel marzo 2005, e chi ha presentato ricorso alla Commissione interamericana dei diritti umani dell’Organizzazione degli stati americani per ottenere un intervento a tutela della propria salute, in agosto la ricerca indipendente è partita.
Mons. Barreto Jimeno, che è anche coordinatore del Tavolo del dialogo e della non violenza che riunisce, oltre alla diocesi, il governo regionale e oltre 60 tra amministrazioni municipali, associazioni professionali, università, organizzazioni sindacali e della società civile, ha chiarito: «Vogliamo che La Oroya continui a essere il cuore dell’attività mineraria, ma garantendo la salute dei cittadini. Il Dio della vita e della giustizia è al nostro fianco, affinché cerchiamo di contribuire a risanare la nostra terra, fare della nostra regione un luogo abitabile, dignitoso e salubre».
I risultati sono arrivati in dicembre, due giorni dopo che le autorità avevano concesso alla Doe Run la proroga chiesta. E hanno confermato la presenza nel sangue degli abitanti della zona di livelli «estremamente alti» di piombo, antimonio, cadmio e altri metalli, tali da provocare malattie cardiache e renali, malformazioni genetiche, tumori ai polmoni e alla prostata.
D’altro canto, già nel maggio del 2004, in qualità di vicario apostolico di Jaén, lo stesso Barreto Jimeno, insieme a mons. Oscar Rolando Cantuarias Pastor e mons. Daniel Turley Murphy, rispettivamente arcivescovo di Piura e vescovo di Chulucanas, aveva chiesto al governo di dichiarare i territori delle tre giurisdizioni ecclesiastiche nel nord-est del Perù «non adatti allo sfruttamento minerario», denunciando come le autorità statali avessero «dato in concessione aree urbane e agricole senza tener conto della diversità e fragilità degli ecosistemi» né del parere delle amministrazioni locali, mentre le imprese minerarie erano «entrate nelle loro concessioni senza informare le popolazioni né dialogare prima con esse».
I vescovi avevano poi invitato l’esecutivo a «valorizzare gli ecosistemi della regione nord-orientale» e, «davanti alla frammentazione sociale e al moltiplicarsi dei conflitti nelle comunità in cui operano le compagnie minerarie», a «ricostruire la convivenza mediante processi di dialogo trasparente che prevedano l’ampia partecipazione dei cittadini».
Nella regione, infatti, tra il 1999 e il 2002 il progetto minerario di Tambogrande, promosso dalla canadese Manhattan minerals, aveva suscitato forti proteste, culminate nell’assassinio di un agricoltore; la resistenza della popolazione poi aveva costretto la compagnia a rinunciare al progetto, non senza però che questa avesse prima messo in atto una forte campagna di diffamazione nei confronti di mons. Cantuarias.
…e il progetto «Rio Blanco»
Forti di questo esempio, da oltre due anni, migliaia di contadini delle province di Ayabaca, Huancabamba, San Ignacio e Jaén, organizzati in gruppi di autodifesa civile, si sono mobilitati per impedire all’impresa mineraria Majaz di avviare il progetto «Rio Blanco», finalizzato allo sfruttamento del maggiore giacimento di rame del Perù, perché questo si trova nella parte alta dei bacini idrografici dei fiumi Quiroz e Chinchipe, due tra i più importanti della regione, che verrebbero gravemente inquinati. Inoltre il metodo estrattivo «a cielo aperto» comporterebbe la distruzione di migliaia di ettari di bosco umido.
Le prime proteste, nel marzo del 2004, provocarono la morte di un manifestante, ucciso dalla polizia, e poi l’avvio di trattative tra le comunità e la Majaz, con la mediazione, chiesta dal governo, della Pontificia università del Perù. Il negoziato si era però arenato e per sbloccarlo all’inizio di agosto del 2005 i comuneros hanno organizzato una grande marcia, anche questa volta duramente repressa dalle forze dell’ordine con un saldo di un morto, sette dispersi e decine di feriti. Pochi giorni dopo a San Ignacio è stato aggredito il viceministro dell’Energia e delle miniere, Romulo Mucho Mamani.
Alcuni organi di stampa e funzionari governativi hanno accusato mons. Turley e mons. Francisco Muguiro Ibarra, provicario apostolico di Jaén, di aver finanziato la manifestazione e aizzato i contadini. La Società nazionale del settore minerario, petrolifero ed energetico che riunisce le imprese private ha addirittura annunciato l’invio di una protesta formale alla Santa Sede.
In loro difesa è, però, subito intervenuto il presidente della CEP, mons. José Hugo Garaycoa Hawkins, vescovo di Tacna e Moquegua, il quale ha chiarito che i due prelati «in nessun modo hanno contribuito a promuovere il conflitto e la violenza» e che la loro presenza «sul luogo e nel mezzo di questa difficile situazione risponde all’interesse di promuovere la pace e il dialogo al fine di trovare vie di soluzione in un contesto in cui purtroppo alcuni settori hanno posizioni rigide che non cercano il necessario e urgente consenso».
D’altro canto lo stesso Ministero dell’energia e delle miniere aveva chiesto a mons. Turley di partecipare alla Commissione di dialogo tra governo, impresa e contadini. E il vescovo ha ripetuto che «lo sfruttamento minerario della zona dovrebbe essere condizionato a un rigoroso studio di impatto ambientale realizzato in coordinamento tra governo e contadini». Ciononostante la campagna di diffamazione prosegue su alcuni mass media, tanto che un canale televisivo nazionale ha accusato mons. Muguiro di far parte di «una tenebrosa rete di narcoterrorismo».