Tigri, bonzi e pastori
Una nazione in fermento, una chiesa prudente
Di ritorno dal Laos, dove ci si protegge dal turista, arriviamo nello Sri Lanka, dove si vuol mostrare al turista che è protetto. Come scendi dall'aereo, la tensione che attraversa lo Sri Lanka ti raggiunge, mascherata appena da un maquillage di discrezione: numerosi agenti, controlli non formali, niente assembramenti. Nessuno può raggiungere l'interno dell'aeroporto. Anche fr. Gabriele, salesiano, venuto ad accoglierci, ha atteso un chilometro più in là l'arrivo della navetta che trasporta pochi per volta tutti i passeggeri. Già nei 10 km che raggiungono Negombo, sede del Don Bosco Technical Centre, troviamo un paio di posti di blocco con uomini armati dietro garitte di sacchi di sabbia.
La gente ha ormai imparato a convivere con un regime di allarme, e le strade sono nonostante tutto invase da un traffico non zeppo ma molto rumoroso e sgarbato, il commercio è debole di qualità ma consistente in quantità. "Business as usual", "tutto normale", anche se "vai a Colombo senza sapere se torni a casa". L'attentato alla sede della Banca centrale di Colombo, il 31 gennaio scorso (200 morti e 1.500 feriti) ha cruentemente richiamato la dimensione nazionale del conflitto con i tamil del nord-est, non confinabile a nord-est.
Su quasi 18 milioni di abitanti i tamil sono meno di 3 milioni (il 18% ca.), distinti fra i tamil stanziatisi a nord fin dai primi secoli dell'era cristiana e i cosiddetti "tamil dell'India", condotti sull'isola nel secolo scorso, durante il periodo coloniale inglese, per lavorare nelle piantagioni di tè. Ci sono differenze sensibili fra le due etnie. Un sacerdote italiano ci diceva che i tamil stanno ai singalesi come, in Europa, i tedeschi agli italiani; quanto ad affidabilità, "se devi scegliere un maggiordomo, vai tra i tamil", si dice. Con la differenza che qui i singalesi sono in posizione di potere. Si tende a far passare la connotazione di singalese e buddhista tra le caratteristiche del cittadino-tipo dello Sri Lanka,1 gli altri sono considerati "ospiti" per gentile concessione. In realtà l'isola, denominata Ceylon fino al 1972, ospita con percentuali significative, oltre a due razze, anche quattro delle grandi religioni: buddhismo, cristianesimo, induismo e islam. Il singalese è prevalentemente buddhista; il tamulico più frequentemente induista. Cristianesimo e islam sono diffusi fra entrambi. Per quanto riguarda il cristianesimo, sembra vi sia una specie di maggiore disponibilità culturale fra i tamil, anche se, dal punto di vista delle cifre, la maggior concentrazione di cristiani si registra nell'arcidiocesi di Colombo, zona a predominio singalese, nella quale sono censiti 600.000 cattolici, più della metà del totale nello Sri Lanka.
Conflitto etnico aperto
Fra le etnie il conflitto è aperto. Le azioni di guerriglia condotte dai tamil e i tentativi di repressione dell'esercito hanno già causato in 12 anni più di 50.000 morti e almeno mezzo milione di profughi. Il governo tenta di descrivere il conflitto in corso facendo passare l'analogia anche terminologica con la lotta sostenuta a sud contro lo JVP (Janatha Vimukthi Perumana, Fronte di liberazione del popolo, gruppo nazionalista della maggioranza singalese), che negli anni fra il 1968 (quando nacque come partito maoista) e il 1978 ha causato non meno morti. L'informazione governativa definisce "terrorismo" e non guerra civile le azioni del gruppo armato LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam, Tigri tamil per la liberazione dell'Eelam), ma è uno dei "sofismi contro una vera pace", come sosteneva Paul Caspersz sul quotidiano cattolico Messenger. Il gesuita fondatore di Satyodaya – un'organizzazione che opera nella zona di Kandy soprattutto con i lavoratori delle piantagione di tè – elenca altri sei "sofismi": "2. il conflitto linguistico è stato risolto col tredicesimo articolo aggiunto alla Costituzione. I tamil non hanno più motivo di lamentarsi; 3. singalesi e tamil convivono pacificamente nel sud del paese. A Khettarama giocano perfino assieme a cricket. Dunque: nel paese non esiste un problema etnico; 4. non possiamo far nulla; ci resta solo di vedere come il paese perisce e tutto finisce in un disastro; 5. dite ai tamil di lasciar perdere la richiesta di uno stato proprio e tutto andrà per il meglio; 6. sta alla popolazione tamil del nord, est e sud dire ai Tamil tigers: fermate la guerra! 7. lasciate fare l'esercito. Annienterà i Tamil tigers e dopo potremo vivere felici per sempre" (cf. Betlemme 97(1994), 11, 13).
L'elezione alla Presidenza della repubblica della signora Chandrika Bandaranaike Kumaratunga (62% dei suffragi, con la maggioranza ottenuta in tutte le regioni)2 aveva consentito la sottoscrizione di una tregua a due condizioni da attuare entro il 19 aprile 1995: smantellamento della base militare di Poonneryn e la concessione della libertà di movimento ai membri del LTTE nelle zone del nord-est. La conferenza episcopale aveva giudicato favorevolmente il piano di pace: "Uno sforzo coraggioso fatto dal governo per arrivare a una soluzione, attraverso un decentramento del potere verso la periferia senza minare la sovranità del paese".3 I guerriglieri, però, lo vedevano "come un'imposizione – dice mons. J. Rayappu, vescovo di Mannar – una cosa che viene dall'alto e che non è stata elaborata insieme... D'altra parte, la presidente non ha una sufficiente forza politica per imporre il suo piano neanche al sud. E ha contro una buona parte dell'esercito" (cf. Segnosette (1996) 7, 24).
Con una lettera al presidente del 18 aprile, Vellupillai Prabhakaran, leader del LTTE, dichiarava di recedere unilateralmente dall'accordo non avendo il governo ottemperato le condizioni entro i tempi stabiliti (cf. Asia News (1995) 6, 14). Risultato: reintroduzione dell'embargo sulle merci e sulla pesca e nuova offensiva militare (denominata Rivirasa, Sole nascente), culminata con la conquista cruenta di Jaffna il 2 dicembre 1995. Al 15 dicembre, fonti governative contavano 270.897 profughi, in crescita di 4.000 ogni giorno. L'evacuazione, secondo una ricostruzione condotta dai padri gesuiti, è stata una delle più imponenti. Alla gente sono state concesse soltanto due ore per abbandonare la città. Ora il governo invita la popolazione a tornare. "La gente non ha intenzione di tornare per trovarsi sotto l'occupazione militare – sostiene L. Thilakar, portavoce dei ribelli – Sanno bene cosa è successo a Batticaloa subito dopo l'ultimo attacco delle forze speciali: 30 civili hanno perso la vita" (Eglises d'Asie (1995) 211, 12). Le imboscate all'esercito continuano a nord-est.
Il conflitto a oltranza e la strategia del terrore condotta dal LTTE attraverso attentati (non escluso il ricorso a ragazzi-bomba) mettono in evidenza la debolezza del governo e del suo pugno di ferro, ma stanno anche scollegando il braccio armato dalla base; le tigri combattenti sono sempre più avviate a un destino analogo a quello dei khmer rossi in Cambogia: ridotte le motivazioni ideologiche ed etniche, l'obiettivo primo resta la garanzia di potere su un territorio.
È in corso la revisione della Costituzione, attraverso la quale si prevede di concedere maggiori autonomie alle province. Il progetto è in linea di principio apprezzabile e anche le controparti etniche e religiose (compresa la chiesa cattolica) ritengono si sia sulla strada giusta, ma sono ancora molte le ambiguità. Il criterio sovrastante della "sicurezza pubblica", ad esempio, si è visto già altrove essere piuttosto vago e disponibile all'interpretazione di chi effettivamente gestisce, attraverso l'esecutivo, tale sicurezza.
Conflitto religioso mascherato
Se fra le etnie è guerra aperta, fra religioni il conflitto è mascherato. Su un punto l'accordo interreligioso è visibile: le festività. Lo Sri Lanka è tra i paesi con il più alto numero di festività infrasettimanali mediamente una ogni due settimane dal momento che le solennità di tutte e quattro le religioni si sono sommate nel calendario civile. Certo è ben poca cosa, di fronte a una supremazia ben arroccata del binomio singalese-buddhista. Il vero motore del potere è il "clero" buddhista. Il governo non ha forza sufficiente per opporvisi. L'idea, nata in ambiente anglicano, di costituire un partito cristiano (United Christian Congress) ha visto la conferenza episcopale cattolica dissociarsi.4
Le forme attraverso le quali viene esercitata una superiorità di fatto sono subdole. Ad esempio: laddove vi sono le condizioni perché si esprima una maggioranza di religione diversa dal buddhismo sono stati modificati i collegi elettorali. Così lungo la costa sud-occidentale, dove i cattolici contano la presenza più concentrata, i collegi elettorali, prima orientati per fasce parallele alla costa, sono stati ridefiniti a spicchio, dalla costa verso l'interno. Non ti viene negato il diritto di fondare un giornale indipendente, ma poi ti trovi bloccate le importazioni della carta.
Non sono permesse scuole dell'obbligo gestite dai religiosi. Nell'organizzazione cattolica, il diritto di proprietà è riconosciuto solo alle diocesi; a queste vengono intestati gli immobili e le attività degli istituti religiosi, costretti poi a regolare il regime patrimoniale attraverso accordi privati. Un percorso alternativo per poter essere soggetti di proprietà è la costituzione in ente morale; ma il riconoscimento di questo titolo è naturalmente a discrezione dell'amministrazione governativa, che, in ogni caso, può renderti la vita difficile. "La contraddizione è – ci spiega uno dei religiosi che opera nella scuola – che poi i nostri istituti sono molto stimati. Basti dire che alcune figure di spicco dell'amministrazione centrale, fra cui il presidente e il primo ministro, hanno beneficiato della formazione in scuole cattoliche".
Il buddhismo come dimensione religiosa è tuttavia in calo. I giovani ne sono sempre meno attratti, a causa di un mancato rinnovamento delle sue forme e anche della sua dottrina. Rimane l'apparato clericale capace di custodire privilegi; non più capace di dettare ethos. Tutte le religioni, per la verità, si scontrano con la cultura occidentalizzante, ormai predominante anche qui, almeno per quanto riguarda il primato dell'economico, l'affanno per il benessere, la competizione accesa.
Vittime di una cultura estranea
Le splendide spiagge tropicali, dorate attorno a Colombo, bianche più a sud, lentamente degradanti verso un oceano non troppo turbolento; il clima caldo, ma asciutto e ventilato della stagione invernale; le bellezze di una natura turgida e versatile all'interno; le vestigia di una storia non senza splendori fanno dello Sri Lanka una meta turistica di prim'ordine, soprattutto per gli europei in fuga dai rigori dell'inverno del nord. La vita costa relativamente poco (uno stipendio mensile decente si aggira sui 60$), anche se nei confronti dello straniero qui considerato sinonimo di denaro facile si azzardano tariffe moltiplicate.
Insieme al turismo naturale è arrivato anche quello snaturato. Il forte potere d'acquisto del denaro straniero, combinato con una miscela di povertà e nuovi imperativi economici, ha creato le condizioni per uno sfruttamento diffuso. La prostituzione infantile è fenomeno emblematico. Alcune spiagge sono conosciute per la facilità dell'adescamento. Al sud è cosa tanto nota da poter trovare madri che "offrono" le proprie figlie e i propri figli. Lungo le spiagge di Negombo sono ormai i ragazzini stessi che si presentano. La piaga è seria. Le autorità pubbliche ne sono consapevoli, ma al di là di un presidio formale delle spiagge non vanno: troppi interessi in gioco, specialmente da quando la guerriglia del LTTE ha parzialmente scoraggiato il turismo... E poi la corruzione resta argomento di un certo peso. A Negombo tutti conoscono nome e cognome di un anziano svizzero che ha corrotto decine di bambini, ma non è direttamente perseguibile e per di più sufficientemente protetto da amicizie negli ambienti che contano.
Il bambino adescato conosce un'improvvisa ricchezza, che gli conferisce autorità nel giro dei pari, e non è raro che, in mancanza di riferimenti educativi stabili, alla fine diventi egli stesso reclutatore. Quelli maggiormente esposti al rischio sono i senza-famiglia. Sono molti, per almeno tre ragioni: quelli che hanno effettivamente perso uno dei genitori, quelli provenienti da famiglie smembrate e i cosiddetti "orfani di Dubai", cioè coloro il cui padre ha lasciato il lavoro in patria ed è emigrato – spesso verso i paesi arabi, appunto – dietro la prospettiva di un salario tanto elevato da sognare di poter mettere insieme una piccola fortuna in poco tempo. "Poi torno e siamo sistemati per sempre", ci si dice; ma poi non sempre la fortuna si accumula, non sempre il padre torna o non sempre torna alla propria famiglia. E intanto i figli restano per strada.
I salesiani hanno visto in questi ragazzi un appello forte rivolto al loro apostolato specifico. Insieme a US-Aid hanno messo insieme un gruppo di intervento e sensibilizzazione che è riuscito a ottenere dalla polizia l'uso di una ex villa coloniale fuori Negombo. Vi operano uno street-walker, che avvicina i gruppi di ragazzi "a rischio", e un educatore che cura la formazione scolastica e umana dei ragazzi. Siamo andati a visitare il Rehabilitation Centre. Abbiamo trovato quindici ragazzi che stavano giocando a cricket. Il più piccolo non aveva ancora 10 anni. L'interno della "villa" (che doveva aver conosciuto una certa ricchezza) era malandato: le pareti denunciavano gli anni, soffitti e pavimenti precari; una cucina arredata solo da un vecchio caminetto in pietra grezza; banchi, tavoli e letti improvvisati. Eppure una certa ostinazione nel darvi ordine e decoro. "Questa casa è per i ragazzi un'alternativa preferibile", preferibile al niente e soprattutto al "nessuno" di quella vita per strada che li aveva abbandonati a esperienze traumatiche anche per un adulto.
I ragazzi, che volontariamente accettano di frequentare il centro, vi risiedono per un anno, durante il quale ricevono un supporto riabilitativo mentre anche le famiglie d'origine vengono avvicinate per un'azione sul contesto. Al termine hanno un posto assicurato – le iscrizioni sono richiestissime – al Don Bosco Technical Centre, dove frequentano un corso professionale di almeno un anno. Praticamente tutti, con un diploma del Don Bosco, trovano lavoro anche ben retribuito. Una volta occupati o giunti vicini ai 18 anni si possono ritenere fuori dal giro a rischio. L'iniziativa funziona. A parte il primo anno, che ha pagato le incertezze dell'avviamento, la percentuale di successo è quasi piena. Il vescovo, inizialmente timoroso per la cattiva luce che l'iniziativa indirettamente gettava sul malcostume della città a maggioranza cattolica, ora collabora fattivamente.
Ripensare la missione
Non è così scontata la collaborazione fra religiosi e diocesani e non è così scontato, in Sri Lanka, che la chiesa si esponga in iniziative forriere di possibili attriti col governo.5 Il clero è in grandissima parte locale; come in India, ora è molto difficile l'ingresso di missionari stranieri. I seminari sono due: quello nazionale a Kandy e, per ragioni contingenti, quello tamil a Jaffna. Dappertutto si richiede, nonostante qualche resistenza degli studenti, la conoscenza di singalese, tamil e inglese.
L'azione missionaria conserva la memoria delle diverse impostazioni date dalle tre ondate successive di colonizzazione: i portoghesi agli inizi del 1500, gli olandesi a metà del 1600 e gli inglesi alla fine del 1700. Con i portoghesi arrivarono i cattolici, che hanno portato "una religiosità molto popolare", ci spiega p. Perniola, un anziano gesuita dedito alla ricostruzione documentale della storia della chiesa sull'isola. Gli olandesi imposero il calvinismo come religione di stato e perseguitarono i cattolici, "i quali si chiusero in una religiosità intimista. La libertà di religione introdotta dagli inglesi – che però elevarono l'anglicanesimo a religione di stato – trovò il clero impreparato: avrebbe voluto libertà di religione solo per i cristiani, non anche per musulmani e indù". Ora la chiesa cattolica è rimasta piuttosto chiusa e schiva, evita il conflitto ed è restia ad alzare la voce per difendere i diritti propri o altrui. A differenza degli anglicani, i cattolici non hanno insegnato ai laici a prender la parola. Di fronte all'accusa, tanto vaga quanto vuota, di proselitismo, si preferisce far marcia indietro. "È umiliante fare ciò che è politicamente conveniente, non ciò che è corretto", diceva il rettore dell'Aquinas di Colombo (cui è stato negato lo statuto di Università cattolica).
La visita del papa nel gennaio dell'anno scorso ha avuto risonanza esterna soltanto per la fittizia contestazione da parte dei buddhisti. Giudicata da laggiù risulta essere stata un grande successo. Troppo, tanto da pizzicare l'emulazione dei bonzi, che hanno organizzato subito dopo alcune imponenti manifestazioni religiose popolari (come l'esposizione del celebre Dente del Buddha custodito nel bellissimo tempio di Kandy), alle quali la partecipazione sarebbe stata in diversi modi "sollecitata".
Alla missione-conquista – impostazione che andava certo rivista – è subentrata una pastorale-amministrativa. Il clero, specialmente nelle città, è tentato di ridurre l'attività pastorale entro orari di ufficio, di concedersi ampi spazi di riposo settimanale e di vacanza. "Una volta c'era modesta formazione teologica, ma ottima formazione spirituale. Oggi anche la seconda si è intiepidita... Si prega meno... Non si trova un buon direttore spirituale", sono commenti raccolti qua e là. Nei collegi che abbiamo visitato noi, abbiamo trovato al contrario fervore e rigore. L'orario della giornata è intenso, la formazione esigente. La catechesi, di cui sono centri d'animazione, vede una partecipazione numerosa e laboriosa. Può darsi che alla nostra mentalità tornino poco comprensibili gli "esami" e le "gare" di catechismo, ma faceva un certo effetto vedere un nugolo di ragazzi e ragazzi sparsi lungo i corridoi, una domenica mattina, per sostenere il test scritto.
Se si è affievolito lo spirito dell'annuncio e l'invito alla conversione lo si deve in parte alla convinzione induista della presenza di Dio in ogni uomo e alla radicata enfasi buddhista sull'etica e sulla spiritualità interiore. In parte costituisce ostacolo lo sdoppiamento della lingua, fra tamil e singalese, fra ufficiale-locale e internazionale (inglese), per cui anche la traduzione dei testi risulta onerosa. È stata però anche scoraggiata l'elaborazione di una teologia locale. Una teologia necessariamente "in dialogo", soprattutto con la cultura buddhista e con il contesto sociale. A.J.V. Chandrakanthan, professore di teologia e docente dell'Università di Jaffna, ha condotto un approfondito esame sui numerosi documenti della conferenza episcopale e giunge, tra le altre, a questa conclusione: "Più i vescovi sono entrati nel contesto e più sono divenuti consapevoli della missione della chiesa locale",6 scoprendo contemporaneamente la difficoltà di rispondervi, però anche "più significativamente abbiamo compreso che man mano cresceva la loro apertura al contesto venivano meno atteggiamenti trionfalistici, gerarchici e autoritativi". Il dialogo, per essere tale, dovrà partire da un'approfondita identità cristiana locale. P. Perniola, che ha maturato la saggezza disincantata di chi si è messo alla scuola della storia, chiede maggiore fiducia: "lasciateci tentare una nostra teologia. Forse faremo degli sbagli e ci si potrà correggere. Ma forse che la teologia europea non ha mai sbagliato?".
1 Il buddhismo, diffuso fra il 69% della popolazione, è dal 1972, anno della costituzione della Repubblica dello Sri Lanka, religione di stato. Gode di privilegi e finanziamenti governativi, ma "è profondamente diviso fra la corrente tradizionale che rifiuta ogni politicizzazione e la corrente modernista che vede molti bonzi e monaci impegnati in azioni politiche". Ci sono "6.000 monasteri buddhisti con circa 25.000 monaci. Ogni monastero ha una sua "Dhamma school" per insegnare ai ragazzi la dottrina del Buddha. Queste scuole sono finanziate dal Ministero degli affari culturali" (Asia. Storia, politica, religione, EMI, Bologna 1994, 249).
2 Il presidente della Repubblica è anche capo dell'esecutivo e dura in carica 6 anni. Il primo ministro è attualmente la madre del presidente, signora Sirimavo Bandaranaike. Il governo è sostenuto dall'Alleanza del popolo, coalizione di centro-sinistra guidata dallo SLFP (Sri Lanka Freedom Party, Partito della libertà), la quale occupa 105 dei 225 seggi. Alla coalizione i rappresentanti tamil garantiscono l'appoggio esterno.
3 La chiesa svolge ruoli di mediazione attraverso varie iniziative (cf. Mondo e missione (1996) 2, 68). Sono isolate posizioni come quella di don S. J. Emmanuel, fondatore a Jaffna del Centre for Better Society, che ha dato pubblico sostegno alla lotta del LTTE e avrebbe definito "martiri" i giovani attentatori suicidi.
4 Nel comunicato del segretario generale della Conferenza episcopale cattolica dello Sri Lanka, mons. M. Ranjith, si legge fra l'altro: "Ci trova a disagio la notizia che tale partito politico intenda usare la croce come simbolo sullo stemma del partito. Protestiamo fermamente contro simile attentato alla sacralità di questo simbolo della nostra fede"... (cf. Messenger 18.2.1996, 1)
5 I sacerdoti secolari sono 430 e 270 i religiosi (i più numerosi sono i gesuiti, i salesiani, gli OMI e i silvestrini); 238 i fratelli e 2.180 le religiose. 11 le diocesi (l'ultima, Ratnapura, è stata eretta all'inizio dell'anno).
6 Catholic Revival in post-colonial Sri Lanka. A Critique of Ecclesial Contextualization, Social and Economic Development Centre, Colombo 1995, 159. A proposito di difficoltà collegiali, si dice che il papa, incontrando i vescovi durante la sua visita, abbia chiesto loro: "Ma voi vescovi siete uniti?". La risposta imbarazzata sarebbe stata: "Santità, non abbiamo mai affrontato insieme l'argomento...".