Joan Baez: Io canto per la Pace
Joan Baez: da 45 anni voce simbolo delle campagne per i diritti civili
«Canto la Pace»
di Emilia Patruno
Il tempo non ha scalfito gli ideali di Joan, che continua a cantare la speranza che per gli abitanti della Terra la pace sia lunica via possibile per un mondo più giusto.
«Mi scuso per quello che il mio Governo sta facendo al mondo». La
più nota folksinger degli anni 60 continua a rappresentare laltra
faccia dellAmerica. QuellAmerica che, nonostante la tragedia delle
Torri Gemelle, grida "no" alla guerra e invita il popolo americano
e non solo, a non abbassare mai la bandiera della pace. Joan Baez in Italia
è una notizia, è un ricordo, è unoccasione per ascoltare
buona musica. Da Saint-Vincent (ospite di Aosta Classica, una bella rassegna
di musica, teatro, cinema), Joan Baez ripete che vale la pena di tentare la
pace, sempre.
Tanti anni sono passati da quel lontano esordio, nel 59, al Folk festival di Newport davanti a 250 mila persone. Joan allora era una bella ragazza, florida, passionale, furente. È tuttora una bella donna. Meno fremente, meno incavolata, meno paffuta. I capelli sale e pepe hanno preso il posto dellindomita chioma, latteggiamento è quello di una saggia donna di mezzetà, che ha avuto le sue soddisfazioni familiari e persino un nipotino, che è tutta la sua vita.
Un certo tipo di abbigliamento fatto di gonnelloni colorati e zoccoli ha lasciato il posto a una mise elegante, vagamente esotica, nei colori delle spezie, lunico tocco bizzarro è un incredibile numero di braccialettini tibetani di legno e pietre dure. Alla conferenza stampa, a differenza delle star americane, che guardano nervose lorologio e quando scatta il quarto dora di intervista inflessibilmente abbandonano i giornalisti, lei è disponibile, cordiale e poco incline alla lagna.
«Mi scuso per il mio Governo»
Certo, si comincia con una dichiarazione inequivocabile nei confronti del suo Paese: «Its disgusting, è disgustoso, quello che sta facendo il mio Governo nel mondo. Mi scuso, anche se sarà difficile rimediare a tanta violenza».
Gli ideali sono sempre gli stessi, e a Joan Baez sta ancora bene di essere la voce simbolo delle campagne per i diritti civili, portabandiera di ideali di pace e di amore universale che, attraverso la musica, sfociano in un reale attivismo a sostegno dei movimenti. Oggi i suoi compagni di viaggio e di lotta sono altri (alcuni sono morti, come Woody Guthrie, «il nonno di tutti noi», dice, il grande maestro country cui dedica sempre una canzone nei concerti), primo fra tutti Michael Moore, regista del film Farenheit 9/11 (e di Bowling a Columbine), nuovo simbolo americano antimilitarista e anti-Bush, con il quale ha un grande rapporto di amicizia, e con il quale (e questa è una notizia) ha in progetto «un nuovo lavoro».
«A Michael, che riceve centinaia di migliaia di e-mail al giorno», dedica, nel concerto serale di Saint-Vincent, Joe Hill, la storia di trasformazione di Josef Hillstrom, operaio svedese emigrato a New York agli inizi del secolo scorso, cantastorie e pioniere della lotta sindacale in America, ingiustamente condannato a morte per omicidio e rapina a mano armata e giustiziato nel 1915 a 34 anni (trattamento subìto in seguito anche dagli italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, protagonisti di unaltra struggente canzone cantata dalla Baez, scritta nel 70 da Ennio Morricone).
Una casetta sullalbero
Il tempo non ha scalfito gli ideali di Joan, che continua a cantare la speranza che per gli abitanti della Terra la pace tra i popoli sia lunica via possibile. Già, cantare. «Anche se andare ai concerti o farli non significa molto, in sé. Bisogna prendere dei rischi. Nessun cambio sociale è senza rischi. Non vorrei che fosse come per "Live Aids", il concertone... dove lunico rischio è non essere invitato».
Le chiediamo di Bob Dylan, suo grande amore, e Joan glissa, anche perché la relazione fu spesso tempestosa, e alla fine si concluse per divergenze di opinioni su tante cose, prima fra tutte la droga. «Io non ne ho mai fatto uso», taglia corto. «E oggi vivo per mio figlio, cui è stato portato via qualcosa negli anni 70, e per il mio nipotino. Ho una casetta su un albero, nella quale mi piace dormire; faccio meditazione, ho sconfitto attacchi di panico e fobie. Uso il cellulare, ma a volte lo dimentico in macchina. E quando lo riprendo non ascolto mai i messaggi in segreteria»..