Mayerly Sanchez e il suo sogno
Colombia. Una giovane giornalista alla "periferia" del mondo
Il sogno di Mayerly
di Renzo Giacomelli
Si è ribellata alla violenza cieca che dilaga nei quartieri degradati di Bogotá impugnando l’arma della pace, e un periodico fatto dai bambini...
Ha vent’anni, vuol fare la giornalista e intanto si prepara al mestiere
dirigendo in Colombia Gestores de paz (Gestori di pace), un periodico fatto
dai bambini per i bambini. È anche presidente d’una associazione
che ha lo stesso nome del giornale e raggruppa quindicimila ragazzi e giovani
impegnati da alcuni anni nell’autoeducazione alla pace.
Mayerly Sanchez vive a Soacha, popoloso quartiere della periferia di Bogotá. Racconta: «Avevo 12 anni quando, in uno scontro di bande giovanili, fu accoltellato Milton Piraguata, il mio più caro amico. Lui non c’entrava per niente. Con altri ragazzi era sceso in strada a vedere cosa stava succedendo e capitò in mezzo a una terribile zuffa. Eravamo cresciuti insieme in quel quartiere, che in pochi anni si era popolato di sfollati dalle zone di guerra. Un quartiere di baracche, fino a poco tempo fa privo di acqua corrente e di elettricità. Dopo il tramonto, noi bambini non potevamo uscire di casa: era alto il rischio di incappare in bande armate o nei gruppi di "pulizia sociale", formati da paramilitari».
Dopo Milton, nel quartiere morirono violentemente altri giovani. «Allora noi ragazzi», continua Mayerly, «incominciammo a chiederci cosa potevamo fare per cambiare le cose. Ci riunimmo in una cinquantina nella sala messa a nostra disposizione da Marta Avril, una volontaria dell’organizzazione umanitaria Visión mundial. Decidemmo, con l’appoggio di altri organismi, come l’Unicef, che bisognava chiamare i bambini e i ragazzi a un referendum sui nostri diritti: alla vita, alla pace, all’educazione, a un’esistenza serena in famiglia, a un ambiente pulito. Dal febbraio all’ottobre 1996 andammo nelle scuole, nelle chiese, nelle piazze e nelle case a spiegare che bisognava opporsi alla violenza e costruire insieme la pace. Qualche giorno, prima del referendum, fissato per il 25 ottobre, un gruppo armato scrisse ai dirigenti d’un organismo che ci appoggiava intimando di bloccare la consultazione. Gli adulti si spaventarono e volevano mandare tutto all’aria. Noi ragazzi decidemmo che bisognava andare avanti. Il referendum si fece, votarono in 2.700.000, e quello fu uno dei pochissimi giorni in cui in Colombia nessuno morì ammazzato».
Con altre associazioni giovanili, Gestores de paz raggiunsero altri traguardi: l’eliminazione della leva obbligatoria per i minori di 18 anni, la possibilità di essere consultati prima del varo di leggi riguardanti l’infanzia e la gioventù, maggiore impegno degli organismi competenti nella difesa dei diritti violati. «Il nostro impegno principale», precisa Mayerly, «è l’autoeducazione alla convivenza pacifica. Nelle nostre riunioni, nelle attività ricreative, attraverso il giornale, ripetiamo costantemente questo messaggio: noi rendiamo più serena la nostra società se rafforziamo i rapporti di pace nella nostra famiglia, nel vicinato, nel quartiere. Insistiamo su un altro punto: se siamo pochi a volere la pace, i violenti possono eliminarci, ma se siamo tanti, è impossibile che ci uccidano tutti».
Nel 1997, l’anno dopo il referendum dei bambini, e sull’onda di questo, si tenne in Colombia un’altra consultazione popolare, chiamata "Mandato della cittadinanza per la pace". Votarono dieci milioni di giovani e adulti. «Sono manifestazioni simboliche, che non cambiano la società dall’oggi al domani», osserva lucidamente Mayerly, «ma servono ad accrescere il ripudio della violenza e dicono che la maggioranza dei colombiani non si sente affatto rappresentata dai gruppi armati, siano essi guerriglieri o paramilitari».
Mayerly frequenta il terzo anno di giornalismo all’Università cattolica Javierana, dove ha ottenuto una borsa di studio finanziata da Visión mundial e dalla Cnn. Fin da piccola ha sempre sognato di fare la giornalista. Può stupire, in una Colombia che è in cima alla lista dei Paesi con il maggior numero di giornalisti ammazzati. «Non ho paura», afferma la ragazza, e nel suo sguardo limpido c’è serena determinazione, non vanteria. «Non ho paura perché io vorrei fare un giornalismo che sia anche di denuncia, se necessario, ma soprattutto di segnalazione dei molti semi e gesti di speranza che esistono nella nostra società, anche se non riescono a venire alla ribalta».
All’Onu per parlare di pace
L’impegno per l’educazione alla pace ha portato Mayerly a partecipare a convegni internazionali. Qualche anno fa è stata in Olanda, dove (e di questo si vanta) ha conosciuto due Nobel per la pace, Rigoberta Menchú e il vescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu. Nel 2002 ha parlato all’Onu della situazione dei bambini in Colombia e in America latina. Ha ricevuto, a nome di Gestores de paz, premi dalla regina di Svezia e dal Governo spagnolo. L’ultimo premio, ritirato qualche settimana fa, è lo "Zolfanello d’oro", attribuito dal Comune piemontese di Dogliani a chi "incendia" la vita pubblica con iniziative positive.