Disarmo e diritti umani
Intervento della Santa Sede alla 63ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu
Disarmo e diritti umani
Intervento pronunciato il 6 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, durante il primo Comitato della 63ª sessione ordinaria dell'Assemblea generale dedicato al tema del disarmo.
Presidente,
fra due mesi celebreremo il 60º anniversario della Dichiarazione Universale
dei Diritti dell'Uomo. Questo evento ci invita a un impegno rinnovato per il
disarmo, lo sviluppo e la pace. Tutti gli Stati sono chiamati a promuovere il
disarmo e la non proliferazione come elementi chiave per un ordine internazionale
in cui i diritti e le libertà fondamentali di ogni persona possano essere
pienamente realizzati.
La pace e la sicurezza sono minacciate dal terrorismo e, ancor di più,
da una violenza diffusa, dal mancato rispetto dei diritti umani e dal sottosviluppo.
Poiché la persona umana è il fine ultimo di tutte le politiche
pubbliche, una regolamentazione degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione
devono avere un approccio interdisciplinare o, cosa ancora più importante,
umano. Senza considerare l'impatto etico, psicologico, economico e sociale degli
armamenti, le politiche sul disarmo e la non proliferazione divengono una gara
di tregua armata fra Stati.
Infatti, si crea un conflitto fra sicurezza e politiche militari. La comunità
internazionale lotta contro il terrorismo nucleare attraverso l'adozione di
norme severe che mettono al bando la produzione, il possesso e il trasferimento
di queste armi, ma, al contempo, non pochi Stati perseguono il rinnovamento
o l'acquisizione di arsenali nucleari a livello nazionale. Di conseguenza, sembra
emergere una specie di conflitto fra politiche di sicurezza e sviluppo. Gli
Stati, e in particolare le maggiori potenze, aspirano nel settore nucleare a
un'estrema libertà nazionale e, al contempo, a forme incisive di monitoraggio
internazionale e regionale.
Ciò spiega anche in gran parte lo scarso interesse nell'osservare completamente
il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (Tnp) e nel raggiungere
il quorum per l'entrata in vigore del Trattato per la messa la bando totale
dei test nucleari (Ctbt).
Ciò contraddice lo spirito delle Nazioni Unite e non è il modo per edificare una pace duratura. La regolamentazione delle armi, il disarmo nucleare e non la proliferazione sono elementi chiave per una strategia globale a favore dei diritti umani, dello sviluppo e dell'ordine internazionale.
Nonostante la tendenza negativa del multilateralismo, la scorsa primavera a Dublino, un gruppo di 107 Stati, con il sostegno di 20 osservatori fra Stati, organizzazioni internazionali e una coalizione di organizzazioni non governative, ha adottato la Convenzione sulle munizioni a grappolo, che verrà firmata il 3 dicembre 2008 a Oslo. Quale membro del gruppo centrale del Processo di Oslo, la Santa Sede è particolarmente lieta di questo risultato. Questa nuova Convenzione, oltre a colmare una grave lacuna nel diritto umanitario, offre una soluzione incisiva e realistica a un problema permanente caratterizzato non solo dall'uso indiscriminato di munizioni a grappolo, ma anche dal fatto che queste ultime possono rimanere inesplose nel terreno per molti anni e, se urtate, possono colpire in modo devastante la vita quotidiana dei civili.
Il Processo di Oslo non solo è un importante progresso politico e legale,
ma è anche un segnale d'allarme. Di fatto, come la Convenzione sulle
mine antiuomo anche la Convenzione sulle munizioni a grappolo è stata
negoziata e adottata al di fuori della Conferenza sul disarmo. Come evidenziato
dalla 62º Assemblea generale, il multilateralismo è il "principio
centrale per risolvere i problemi relativi al disarmo e alla non proliferazione"
(risoluzione 62/67). La Santa Sede condivide questa idea e sostiene il progetto
di una quarta sessione speciale dell'Assemblea generale sul disarmo che potrebbe
promuovere il multilateralismo nelle organizzazioni internazionali e in particolare
nella Conferenza sul disarmo.
Dobbiamo invertire la tendenza erosiva del multilateralismo nell'ambito della
regolamentazione degli armamenti, del disarmo e della non proliferazione. La
Conferenza sul disarmo non ha un programma di lavoro da più di dieci
anni e la mancanza di volontà politica nella comunità internazionale
relativamente a questi progetti è sconcertante. È ben noto che
si possono fare più progressi con un approccio basato sul dialogo responsabile,
onesto e coerente e sulla cooperazione di tutti i membri della comunità
internazionale che con approcci contrastanti e non concertati.
L'adozione del Trattato sul commercio delle armi è incerta. Una maggiore
trasparenza, data l'accresciuta complessità del commercio di armi legata
anche a un aumento dello scambio di cosiddette merci e tecnologie "a doppio
uso", contribuirebbe a un'autentica sicurezza e a porre le premesse di
una futura limitazione del commercio di armi. In questa prospettiva sembra opportuno
richiamare la risoluzione 62/13 dell'Assemblea generale che parla di "informazione
oggettiva su questioni militari, inclusa la trasparenza delle spese militari"
e la risoluzione 62/26 che parla di "legislazione nazionale sul trasferimento
di armi, strumenti militari e merci e tecnologie a doppio uso".
Infine, il disarmo sta diventando una questione sempre più complessa
che ci riporta a problemi più generali come quello della riforma di questa
Organizzazione, della riforma procedurale e strutturale della Conferenza sul
disarmo, la tendenza a sovrapporre le economie civile e militare e la scarsa
coerenza delle politiche adottate nei settori strategici.
In questo contesto, la Santa Sede si rivolge alla comunità internazionale per una maggiore sensibilità e rinnovati sforzi per la promozione della coesistenza pacifica e la sopravvivenza dell'intera famiglia umana e ritiene che la formula migliore del successo sia la cooperazione fra gli Stati, le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali e la società civile.
Grazie, presidente
(da L'Osservatore Romano - 23 ottobre 2008)