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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Nonviolenza e partecipazione. Pace e Guerra, Chiesa e Vangelo

Mons. Tommaso Valentinetti
Arcivescovo di Pescara-Penne e Presidente di Pax Christi Italia

Vi chiedo scusa se le riflessioni di questa mattina sono un po’ frammentarie, ma sapete che in questi giorni ho dovuto cambiare sede e ho fatto tutto di corsa.

Quelli che l’anno scorso erano a Ragusa ricorderanno che al Convegno prima della marcia per la pace, incalzato dalle domande di Don Ciotti, mi lasciai scappare una parola che questa mattina vorrei riprendere con maggiore convinzione. Mi lasciai scappare che prima poi sarebbe arrivato qualcuno all’interno della vita della chiesa che avrebbe parlato di nonviolenza e che avrebbe fatto la scelta anche della dimensione della nonviolenza con l’autorevolezza, non voglio dire con l’autorità, di chi parla a nome del Signore, di chi parla a nome del Vangelo e di chi parla a nome della Chiesa. Proprio per cercare di capire se tutto questo è possibile e se realmente ci sono i presupposti perché questo accada, mi sono andato a prendere il testo che credo voi conosciate già, cioè il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, edito dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ed ho incominciato a vedere se ci fosse la parola nonviolenza. Vi dico subito che i miei sforzi sono andati delusi nel senso che non si trova una volta la parola nonviolenza. Si parla di nonviolenza, ma siamo ancora in un contesto di guerra, di riarmo o se volete di violenza. Ci sono però delle parole, ci sono delle frasi che sono importanti da interiorizzare e da capire perché costituiscono un presupposto fondamentale affinché la riflessione su questo argomento cresca e continui, perché il cammino di riflessione, anche del magistero della chiesa, su questo discorso possa progredire.

Ho trovato due numeri, vi prego di segnarveli, poi ve li andrete a guardare più approfonditamente sul compendio. Il numero 496 e il numero 498 del Compendio recitano in questo modo:

«La violenza non costituisce mai una risposta giusta». Affermazione precisa e categorica. E poi c’è la spiegazione di questa affermazione: "la Chiesa proclama con la convinzione della sua fede in Cristo", si mettono in gioco degli elementi importanti, la convinzione della sua fede in Cristo che è l’essenziale della Chiesa, "e la consapevolezza della sua missione", la consapevolezza di che cosa significa oggi essere chiesa dentro una storia, "che la violenza è male", è una dichiarazione forte; "che la violenza come soluzione ai problemi è inaccettabile, che la violenza è indegna dell’uomo" ; poi aggiunge: "la violenza è una menzogna poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità, la violenza distrugge ciò che sostiene di difendere la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani " (n. 496) (tutta la citazione in corsivo è presa dal discorso di Giovanni Paolo II presso Drogheda, in Irlanda, il 29 settembre 1979; un riferimento è anche al n. 37 della "Evangelii Nuntiandi" di Paolo VI del 1976) .

Dunque, ci sono affermazioni molto chiare e molto precise riguardo al problema della violenza e alla negazione della violenza. Esse riconducono a due elementi fondamentali: alla dimensione della fede e alla dimensione della missione della chiesa. Dunque se è vero che il Signore Gesù, quando ci ha lasciati, ci ha detto "andate in tutto il mondo e battezzate nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo", ci ha detto che questa è l’essenza della fede, ci ha detto "fate discepoli tutte le genti", ci ha comunicato la conseguenza del mandato alla Chiesa. E’ cioè connaturale, dentro la storia e la Chiesa, vivere, in negativo, il rifiuto della violenza ma soprattutto vivere, in positivo, la dimensione della nonviolenza. Questa è la prima affermazione chiara, precisa, che proviene dal magistero della Chiesa.

Seconda affermazione: anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, nonviolenti, i profeti non armati sono i profeti nonviolenti, se capisco bene il significato delle parole. Aggiunge un passo di Giovanni Paolo II, tratto dal discorso pronunciato alla Pontificia Accademia delle Scienze il 12 novembre del 1983, di una autorevolezza non indifferente: "Anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca". La nonviolenza o i profeti non armati sono oggetto di scherno in ogni epoca. Questa è la vicenda della storia. Questa è una dimensione che non possiamo negare. Incontriamo poi una spiegazione con un’altra lunga citazione presa dal Catechismo della chiesa cattolica: "coloro che per la salvaguardia dei diritti dell’uomo rinunziano all’azione violenta e cruenta (quindi chiaramente assumono la dimensione della nonviolenza) e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza della carità evangelica purchè ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza che causa rovine e morti".

Io credo che ci siano i chiari presupposti perchè possiamo camminare su questa dimensione della nonviolenza. Chiari presupposti perchè la riflessione del magistero della chiesa continui ad approfondire e ad andare avanti.

Vi leggo rapidamente anche il 498 perchè c’è un’altra bella affermazione riguardante la guerra nucleare che si collega alla bellissima frase di Paolo VI nella "Populorum Progressio": "il nuovo nome della pace è lo sviluppo".

"La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza", poiché "la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto". E’ quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: "Per questo, l’altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo". (n. 498) (con riferimenti ai nn. 51 e 52 della "Centesimus Annus" di Giovanni Paolo II, del 1991)

Perchè dico approfondire e andare avanti nella riflessione della chiesa? Perchè sappiamo molto bene che su questo tema, come su altri temi del magistero della chiesa, c’è un itinerario da fare. Possiamo oggi dire che la chiesa su questi temi dice le stesse cose che diceva, ieri sera ce l’ha ricordato Mons. Bettazzi facendo riferimento alle crociate, cinque secoli fa? Assolutamente no! C’è stato un progresso nella riflessione, c’è stato un approfondimento nella comprensione della dimensione evangelica. C’è un andare sempre al di là e in profondità di fronte agli scenari che l’umanità di volta in volta presenta agli occhi della chiesa e davanti agli occhi dei credenti. Ma, c’è una riflessione che sale anche dall’accettazione di un senso comune di fronte ai problemi e di fronte alle questioni. Allora se noi poniamo il problema della guerra, della pace, il problema, direi, della violenza e della nonviolenza, in maniera sempre più efficace e (e qui mi riallaccio alla prima relazione di ieri mattina), in maniera sempre più attiva e sempre più partecipativa, noi all’interno della vita della chiesa, possiamo essere sempre profeti? Profeti non solo perchè prendiamo continuamente posizioni di rottura ma "profeti del quotidiano" che, purtroppo, molte volte sono oggetto di scherno e probabilmente non vengono capiti dalla situazione e dal contesto globale.

Perchè dico questo? Perchè credo che di fronte ai contesti internazionali, la riflessione stessa della chiesa stia cambiando, o per lo meno si stia guardando con diversità alla realtà del mondo che ci circonda. In fondo, questo me lo confermava qualche amico che lavora dentro alcune dimensioni della chiesa come il rapporto con gli stati, in realtà l’interesse di una contrapposizione a livello internazionale è sempre stato quello che ha generato i conflitti. Pensiamo alle grandi contrapposizioni all’interno dell’Europa nel secolo scorso, nell’800; pensiamo alla grande contrapposizione che si è venuta a creare anche all’interno dei blocchi est-ovest e nel momento in cui questi blocchi sono caduti. Non è fantapolitica. L’attenzione si sposta sempre alla ricerca della contrapposizione.

Noi assistiamo, oggi, alla ricerca del nemico, stiamo cercando il nemico su cui sparare. Oggi, purtroppo, culturalmente il nemico si sta chiamando Islam. Sappiamo anche molto bene che alcune frange dell’Islam non fanno niente per non essere nemico, ma oggi il nemico si chiama Islam. E fra poco che nome avrà? Fra poco avrà nome Cina o altro.

Quale sarà il nome della contrapposizione che in realtà lo scenario mondiale vuole in qualche modo prospettarci? Ieri Enrico Peyretti ha citato questo bellissimo libro di Thomas Merton "La pace nell’era post-cristiana" che, come vi ha già detto, è girato prima della stesura della "Pacem in terris" come ciclostilato. Io sono stato colpito molto da una pagina di Thomas Merton su questo discorso che stiamo sviluppando:

"Dovrebbe essere ovvio dalla confusione morale e mentale del nostro tempo, che la presente crisi mondiale è ben peggiore di un puro conflitto politico ed economico (questo è stato scritto nel 1960 probabilmente). Va molto al di là delle ideologie. E’ una crisi dello spirito umano. E’ uno sconvolgimento totalmente morale della razza umana, che ha perso le proprie radici religiose e culturali. In realtà conosciamo solo parzialmente le cause di questo sconvolgimento. Non possiamo fingere di avere una piena comprensione di quello che sta accadendo in noi stessi e nella nostra società. Ecco perchè la nostra disperata fame di soluzioni chiare e definitive ci induce, a volte, in tentazione. Semplifichiamo eccessivamente. Cerchiamo la causa del male e la troviamo, qua o là, in una particolare nazione, categoria, razza, ideologia e sistema. E scarichiamo su questo capro espiatorio tutta la forza virulenta del nostro odio, misto di paura e di angoscia, sforzandoci di sbarazzarci del nostro terrore e della nostra colpa, distruggendo l’oggetto che abbiamo arbitrariamente scelto come incarnazione di tutto il male. Lungi dal curarci, questo è solo un altro parossismo che aggrava la nostra malattia.

Il male morale del mondo è dovuto all’alienazione dell’uomo dalla verità più profonda, dalle fonti della vita spirituale interiore, e alla sua alienazione da Dio. Coloro che si rendono conto di questo tentano disperatamente di persuadere e illuminare i loro fratelli, ma siamo in una posizione radicalmente diversa dai primi cristiani che rivoluzionarono un mondo pagano essenzialmente religioso con il messaggio di una religione nuova di cui non si era mai sentito parlare.

Noi, al contrario, viviamo in un mondo postcristiano irreligioso, in cui il messaggio cristiano è stato ripetuto più e più volte, finché è arrivato a sembrare vuoto di qualsiasi contenuto comprensibile a orecchie si chiudono alla parola di Dio prima ancora che sia pronunciata. Nelle menti dei nostri contemporanei "cristiano" non è più identificato con "novità" e "cambiamento", ma solo con la statica conservazione di strutture antiquate" (pp. 233-234).

È una analisi contestualizzata dentro una situazione in cui la guerra nucleare sembrava a portata di mano e si prospettava la grande obiezione di coscienza alla guerra nucleare. Ma queste riflessioni sono veramente importanti per chiarire anche la situazione in cui viviamo. Di fronte a questa provocazione, quale può essere il nostro compito, quale può essere la nostra partecipazione? Credo che la nostra partecipazione debba svilupparsi in due direzioni.

1- La prima: la novità del Vangelo. Avere il coraggio di incarnare nella nostra esperienza una novità del Vangelo. La preparazione al convegno di Verona della chiesa italiana sta riproponendo alle chiese diocesane di ripercorrere l’itinerario della prima lettera di S. Pietro. Nella prima lettera di S. Pietro, capitolo I, c’è una bellissima espressione riguardo ai cristiani: "i cristiani sono stranieri e pellegrini". Non possono essere diversamente che stranieri e pellegrini. La nostra novità evangelica sta nel vivere una "vita altra" come dice spesso Enzo Bianchi. Una vita cioè che in qualche modo sia alternativa, non per distinguerci e non per creare il ghetto dei santi, non lo siamo. Siamo troppo impastati di peccato e bisognosi anche noi di riconciliazione, ma dobbiamo avere il coraggio di incarnare una dimensione di "una vita altra" in questo pellegrinaggio. "Una vita altra" significa anche accettare la logica di essere minoranza, la logica di essere realmente pochi, la logica di compiere dei gesti che certamente possono sembrare incomprensibili. Significa, in sostanza, accettare la logica della nonviolenza, significa accettare di essere disarmati di fronte a tutta la realtà della vita, anche di fronte alla realtà della informazione. Ieri sera ci è stato detto qualcosa, ma forse si può dire qualcos’altro su questa dimensione del disarmare la realtà dell’informazione o disarmare il nostro stesso stare dentro le varie strutture e dentro i vari consessi con una regola fondamentale,

2- e questo è il secondo punto su cui sostanzialmente come chiesa dovremmo tentare di riflettere e di impegnarci. Ritengo necessario stare dentro le varie strutture e i vari consessi con la regola fondamentale della sinodalità, sempre più diffusa all’interno delle nostre comunità cristiane. Su questo io ringrazio gli amici di Bologna che mi hanno provocato con una riflessione che abbiamo fatta a 40 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II. Qui si gioca, cari amici, il nostro essere oggi chiesa in questo contesto, senza rimanere abbarbicati dentro le nostre realtà di chiesa perchè il nostro pensiero deve diventare un pensiero che entra dentro la vicenda delle nostre comunità. Sinodalità significa non la somma dei pensieri, non la sommatoria, più più più (come diceva don Tonino Bello quando spiegava la trinità: non uno più uno più uno, ma uno per uno per uno). Realmente la sinodalità è uno per uno per uno per uno, soggetti che interagiscono all’interno del cammino di chiesa. È chiaro che dobbiamo avere il coraggio di proporre questa dimensione dentro le nostre comunità cristiane, dobbiamo avere il coraggio di proporlo dentro i nostri stessi gruppi, perché disarmare il gruppo, anche un punto pace, significa avere il coraggio di metterci a pensare insieme. Giovanni ieri ci ha richiamato fortemente alla dimensione che, purtroppo, può anche essere nostra, di una violenza interna; probabilmente non ce ne rendiamo conto e non ce ne accorgiamo. Ma il vivere dentro questa logica sinodale probabilmente ci darebbe la possibilità di esprimere una dimensione di chiesa, di cui oggi la chiesa ha bisogno e che noi dobbiamo portare avanti.

Con quale stile? Con stile nonviolento. Perché? Perché il cristiano, e qui faccio ancora riferimento a Merton, è un pacifista ma nell’accezione probabilmente che ha spiegato ieri sera don Luigi Bettazzi. I cristiani credono che Cristo sia venuto in questo mondo come principe della pace. Noi crediamo che Cristo stesso sia la nostra pace. Crediamo che Dio abbia scelto per se stesso, nel corpo mistico di Cristo, un popolo eletto rigenerato dal sangue del salvatore e vincolato dalla sua promessa battesimale a muovere guerra al male e all’odio che sono nell’uomo e a contribuire e a istituire il regno di Dio e della pace. Effettivamente, per secoli i profeti dell’Antico Testamento aspettarono con ansia il regno della pace, il regno di Dio. I primi cristiani avevano piena convinzione che, poiché il Cristo risorto aveva ricevuto dominio su tutto il cosmo e mandato il suo spirito ad abitare negli uomini, il regno di pace fosse già stabilito nella chiesa. Con altre parole questo lo dice anche San Leone Magno nella bellissima lettura del breviario di oggi:

Ora, per onorare la presente festa (Natale), che cosa possiamo trovare di più confacente, fra tutti i doni di Dio, se non la pace, quella pace che fu annunziata per la prima volta dal canto degli angeli alla nascita del Signore? La pace genera i Figli di Dio, nutre l’amore, crea l’unione; essa è riposo dei beati, dimora dell’eternità. Suo proprio compito e suo beneficio particolare è di unire a Dio coloro che separa dal mondo del male.

Quelli dunque che non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono nati (cfr Gv 1,13) offrano al Padre i loro cuori di figli uniti nella pace. Tutti i membri della famiglia adottiva di Dio si incontrino in Cristo, primogenito della nuova creazione, il quale venne a compiere non la sua volontà, ma quella di chi l’aveva inviato. Il Padre infatti nella sua bontà gratuita adottò come suoi eredi non quelli che si sentivano divisi da discordie e incompatibilità vicendevoli, bensì quelli che sinceramente vivevano ed amavano la loro mutua e fraterna unione. Infatti quanti sono stati plasmati secondo un unico modello, devono possedere una comune omogeneità di spirito. Il Natale del Signore è il Natale della pace. Lo dice l’Apostolo: "Egli è la nostra pace, egli che dei due popoli ne ha fatto uno solo" (Ef 2,14), perché sia giudei che pagani, "per mezzo di lui possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito" (Ef 2,18) (tratto da: Disc. 6 per il Natale 2-3,5; PL 54, 213-216).

Leone dice in maniera molto bella che il Signore ha fatto questa scelta in maniera chiara. Vi esorto ad andare ad approfondire anche questi filoni della patrologia che dà dei chiari e forti input a favore di questa spiritualità della pace. Certamente questa è la strada da percorrere anche per il nostro cammino, per il nostro itinerario.

Concludo con un impegno concreto e serio più di natura politica che non di natura ecclesiale. Nel messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale c’è un fortissimo richiamo al problema del disarmo. Credo che questa sia una pista su cui dobbiamo lavorare. C’è già stato ricordato che del disarmo non parla più nessuno, eppure le spese militari oggi sono diventate drammatiche. Nella conferenza stampa di presentazione del messaggio, il cardinale Raffaele Martino ha dato queste cifre che io vi leggo perché vengono da una voce più che ufficiale. Il Santo Padre prende atto, direi con soddisfazione, del fatto che il numero dei conflitti sia calato, però di contro prende atto con rammarico dell’aumento delle spese militari e della produzione e commercio delle stesse, con riferimento al dato che nel 2004 la spesa militare degli Stati, di tutti gli stati del mondo, ha superato la somma di un trilione di dollari; circa cento 160 dollari per ogni abitante del pianeta; fate la divisione. L’utile ottenuto dai primi 100 produttori e fornitori di armi nel 2003 ha avuto un incremento del 25% rispetto a quello del 2002, mentre il loro utile complessivo del 2004 equivale alla somma del PIL dei 61 paesi più poveri del mondo.

Quale futuro di pace sarà mai possibile se si continua ad investire nella produzione di armi e nella ricerca applicata a costruirne di nuove, non tenendo in considerazione il sano principio di sufficienza che la sapienza bi-millenaria della chiesa ha formulato per questa materia? E praticamente con lo stesso rammarico il papa prende atto che il discorso della messa al bando di qualsiasi arma di distruzione di massa e il discorso della stesso disarmo globale ristagna presso la comunità internazionale da moti anni e non è più nella agenda dell’ONU. Questo è l’impegno che noi dobbiamo prendere: ce lo chiede il papa, non lo facciamo per noi, ce lo chiede il papa.

Scusate della confusione dei pensieri che ho messo insieme, ma ve li offro così come mi sono venuti.


Intervento al convegno di Pax Christi "Infaticabili provocatori di nonviolenza, il nesso fra le "piccole" e le "grandi" scelte" (Trento, 29-31 dicembre 2005).

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