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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

La guerra ortodossa

Fonte: "Arcobaleno di pace" luglio-agosto 1995
di Jim Forest, Segretario dell'Orthodox Peace Fellowship

Non importa a quale tradizione religiosa uno appartenga, le deportazioni nella ex-Yugoslavia che gli schermi televisivi ci mostrano ogni giorno sono una visione dolorosa che pone sotto accusa tutti noi, ma ogni tanto penso che sia particolarmente triste per quelli di noi che sono ortodossi.

Da una parte, a meno che non si guardino i serbi attraverso degli spessi occhiali rosa, ci rendiamo dolorosamente conto che molti (secondo la gran parte della stampa occidentale) dei crimini di guerra sono stati commessi dai serbi - e sappiamo che tra i combattenti serbi ci sono quelli che si considerano "difensori dell'Ortodossia."

Dall'altra, siamo sempre consapevoli che l'Occidente usa due pesi e due misure. Qualsiasi male commesso dai serbi tende a diventare un titolo di testa, mentre i crimini di guerra commessi da non ortodossi, siano essi provenienti da culture nominalmente considerate musulmane o cattoliche, ricevono poca attenzione dalla stampa o addirittura vengono descritti in termini favorevoli. Nello sforzo giornalistico durato diversi anni per semplificare un evento complesso, i mass media hanno gradualmente creato lo stereo tipo del serbo-selvaggio, e della chiesa serbo-ortodossa come complice della "pulizia etnica".

Sotto questa interpretazione unidimensionale della guerra civile nei Balcani, si scoprono ferite vecchie ma non ancora rimarginate nella carne dell'Europa.

 

Essere serbi, essere ortodossi

Una di queste è la millenaria divisione che taglia in due la cristianità: ad ovest cattolici, ad est ortodossi. Un altro fattore è l'antica lotta tra l'islam e la cristianità. Fu nei Balcani che l'islam penetrò più profondamente in Europa. Sia i serbi che i croati hanno cupi ricordi di ciò che accadde durante il periodo del dominio turco, e temono che quegli eventi possano ripetersi. Anche se non è una guerra di religione, l'attuale guerra fa leva sulle passioni religiose. Non è casuale che gli edifici più frequentemente saccheggiati dai vincitori in ogni zona di combattimento sono i luoghi di culto degli sconfitti.

Un equivoco che potrebbe facilmente essere eliminato è l'idea che la chiesa ortodossa serba detenga un ruolo di primo piano nella vita e nella politica serbe. In realtà la Serbia è una delle nazioni più secolarizzate d'Europa. Le politiche antireligiose di Tito ebbero più efficacia di quelle di Stalin, Cruscev o Breznev nell'Uniove Sovietica. Pochi sono i serbi battezzati (la stima comune è del 5%) e ancor meno quelli praticanti. A Belgrado è più facile che venga messa in mostra pornografia hardcore che qualcosa di religioso. Molte chiese serbe si trovano in un impressionante stato di abbandono, compresa la cattedrale di Belgrado; proprio di fronte all'ufficio del patriarca Pavle.

Non è neanche corretto pensare che la chiesa ortodossa serba sia stata una grande sostenitrice della guerra. Nel 1992 il Santo Sinodo stabilì di aggiungere diverse petizioni alla Grande Litania durante la liturgia. Una di queste invoca il Signore per "tutti coloro che commettono ingiustizie contro il prossimo, sia causando sofferenze a orfani sia spargendo sangue innocente o rispondendo con odio all'odio" e chiede che "Dio li induca a pentimento, illumini le loro menti, i loro cuori e le loro anime con la luce dell'amore anche verso loro nemici."

 

La condanna di tutti i mali

Parlare di amore per i nemici non è così facile. In seguito all'attacco croato sulla popolazione serba nella Slavonia occidentale nel mese di maggio, il Santo Sinodo della chiesa ortodossa serba emanò un comunicato in cui si stimavano in 5.000 i serbi uccisi e in 12,000 i profughi.

È degno di nota il fatto che nel comunicato i vescovi non si limitavano ai crimini di guerra commessi a danno dei serbi, ma si spingevano oltre condannando le azioni di rappresaglia intraprese da parte serba: l"'insensato" bombardamento di Zagabria e "gli atti irrazionali e vendicativi commessi da profughi disperati e impazziti" contro i cattolici nella Kraijna bosniaca. Venivano citate diverse azioni violente contro i cattolici, compresa la distruzione di un monastero cattolico, il rapimento di suore da due conventi, la demolizione di diverse chiese, in una delle quali - "ciò che è più terribile," affermava il comunicato del Sinodo - un prete e una suora sono stati arsi vivi. I vescovi concludevano: "Il male è male, chiunque lo commetta o verso chiunque venga commesso. Si può spiegare, ma non giustificare. Ricordando questa verità a chiunque commetta il male, inclusi coloro che lo commettono per vendetta e per disperazione, il Sacro Sinodo esprime allo stesso tempo il suo sconcerto per il sistematico silenzio della stampa internazionale sulla terribile tragedia che si è abbattuta sulla popolazione innocente della Slavonia occidentale, la tragedia di un crimine che equivale al genocidio, e per il fatto di aver rivelato soltanto le ripercussioni di questo crimine, un crimine che continua. Una cosa è chiara: :finché non vengono riconosciute le radici del male che ha luogo nei territori della ex-Yugoslavia, sarà impossibile trovare la strada che conduce alla reciproca comprensione e alla risoluzione della tragedia vissuta da tutti i nostri popoli."

La maggior parte degli occidentali sarebbe sorpresa se conoscesse la persona che guida la chiesa ortodossa serba. Il patriarca Pavle ha spesso condannato la guerra, invocato il pentimento e perdono reciproci, avversato l'uso di metodi cruenti per la creazione della Grande Serbia, ha incontrato i leader cattolici, musulmani ed ebrei nel tentativo di promuovere la cooperazione interreligiosa, ha preso parte ad iniziative di pace del Consiglio Mondiale delle Chiese, e ha ripetutamente richiesto negoziati di pace. "Il male e l'odio creano solo nuovo male e nuovo odio," ha affermato Pavle a maggio. "Se questa guerra continua, gli unici vincitori saranno il demonio e il male, non popoli o nazioni. I nostri popoli dovranno vivere sotto lo stesso sole, dovranno bere la stessa acqua del fiume Sava e pregare lo stesso Dio."

Il patriarca è uno dei pochi vescovi che io abbia incontrato e che mai potrebbe essere descritto come un arrogante circondato dal lusso. Uomo modesto e gentile, a Belgrado è famoso per il fatto di muoversi in tram. Quando, lo scorso anno, ho intervistato alcuni dissidenti a Belgrado, la cosa peggior che ho sentito dire su di lui mi è stata riferita dal direttore di Radio Stazione B92: "Il patriarca è più in cielo che in terra". Si potesse dire lo stesso di tanti leader religiosi! Nonostante il patriarca Pavle sia decisamente più un pastore che un politico, egli e i suoi colleghi vescovi sono diventati sempre più aperti nelle critiche a Slobodan Milosevic. l'8 agosto, dopo l'attacco croato alla Krajina e l'enorme esodo serbo che ne conseguì, i vescovi chiesero a Milosevic di dimettersi e rivolsero un appello ai leader politici perché formassero un nuovo governo.

 

I veri eroi

Dietro il loro appello c'era la rabbia nei confronti di Milosevic che per anni si era impegnato a difendere i serbi dovunque vivessero nella ex-Yugoslavia, per poi ignorarli nell'ora del bisogno. Invece di aiutare i serbi della Croazia e della Bosnia mentre abbandonano le loro case, il governo di Belgrado sta facendo del suo meglio per tenerli fuori della Serbia - ed ogni rifugiato serbo di sesso maschile che riesca ad entrare in Serbia può star sicuro che sarà rinviato nelle zone di guerra come coscritto.

Tuttavia, al suo interno, la chiesa serba è divisa.

Alcuni vescovi e pastori ritengono loro dovere avallare i metodi militari nella difesa di quei luoghi, in Bosnia e Croazia, dove i serbi vivono tradizionalmente, hanno chiuso un occhio sui crimini di guerra commessi dai serbi e hanno all'occorrenza benedetto armi e combattenti (i pastori della chiesa cattolica romana hanno fatto lo stesso talvolta; se lo abbiano fatto i loro colleghi musulmani non lo so, ma la cosa non sorprenderebbe). Poco notati dai mass media sono invece i pastori ortodossi impegnati a fondo nel soccorso alle vittime della guerra e nell'opera di riconciliazione.

All'interno della più ampia comunità ortodossa, ci sono coloro che sperano che, invece di arrendersi alla militarizzazione e a una mentalità guerrafondaia, la chiesa serba si spinga ancora più avanti nella sua opposizione alla guerra e nel tentativo di scoraggiare i combattenti serbi.

Un appello inviato dal Movimento Ortodosso per la Pace al patriarca Pavle in luglio propone che il Santo Sinodo "dichiari che ogni battezzato che spari o faccia violenza contro non-combattenti, che ponga la popolazione di città e paesi sotto assedio, che impedisca la distribuzione di cibo, medicine e altri beni di prima necessità, che commetta atti di violenza contro la popolazione civile o contro soldati prigionieri, che scacci dalle loro case gli appartenenti ad altre etnie, viola la legge di Cristo, non è ammessa a ricevere la comunione e non potrà riceverla se non dopo un sincero pentimento. Sia a tutti chiaro che la chiesa chiama tutti i suoi figli al rispetto del benessere del prossimo, qualunque ne sia la religione o l'appartenenza etnica". Durante una conferenza tenuta al congresso ortodosso europeo nel 1993, il metropolita Giovanni di Pergamo affermò che "l'essenza del peccato è la paura dell'Altro, che è parte del rifiuto di Dio. Una volta realizzata l'affermazione del "sé" attraverso il rifiuto e non l'accettazione dell'Altro - questo è ciò che Adamo scelse di fare nella sua libertà - è del tutto naturale e inevitabile che l'Altro diventi un nemico e una minaccia."

La verità del giudizio del metropolita Giovanni è scritta nel sangue e nelle case devastate dal fuoco nella ex-Yugoslavia, dove sempre più persone sono spinte da politici demagoghi, dalla propaganda, dalla pressione sociale e dalla miseria pura e semplice a definire se stessi secondo etichette nazionali restrittive, sebbene le tre maggiori fazioni in lotta parlino leggere variazioni della stessa lingua e sebbene milioni di quelle persone siano una misto di serbi, croati e bosniaci. In tale guerra fratricida, i veri eroi non sono i soldati ma coloro che si rifiutano di odiare o di abbandonare il loro prossimo.

 

traduzione dall'inglese di Francesco Scaglione

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